
Un cappello pieno di monete
di Giovanni Chiarini
Illustrazione di Coito Negato
A vederlo da lontano, il barbone steso fuori dal supermercato sembrava morto. A vederlo da vicino, invece, stava solo dormendo profondamente. Se ne stava sdraiato sopra le grate di ferro, avvolto nelle sue coperte e con la bocca spalancata. Quel giaciglio di fortuna non era proprio una camera di albergo a cinque stelle, ma il calore che proveniva dai sotterranei lo aiutava sopportare il gelo della notte. A scaldarlo realmente, però, c’era il cartone di vino che comprava tutte le sere poco prima dell’orario di chiusura.
Una mattina, il barbone aprì gli occhi ancora appiccicati dal sonno e si alzò con il busto. Si passò una mano fra i capelli unti e agitò la confezione del vino. Il rumore cavernoso gli fece capire che ne doveva comprare un’altra al più presto. La sua attenzione si volse allora al cappello porta spiccioli di fronte a sé. Lo guardò. C’era qualcosa di strano. Il cappello doveva essere rivolto verso l’alto invece, quella mattina, era girato verso il basso.
Il barbone si diede una bella grattata interrogativa sulla fronte e lo sollevò. Per poco non ci rimase secco dallo stupore: sotto al cappello c’era una scintillante ed enorme montagna di monete. Si guardò intorno sospettoso e ci si buttò sopra come un rapace si getta su un coniglio. Le contò velocemente: erano poco meno di una decina di euro. Dopo tanti anni, finalmente, la fortuna cominciava a girare anche per lui. Incrociò le braccia dietro la testa in segno di vittoria, chiuse gli occhi e, senza accorgersene, si riaddormentò. Sognò di essere in un vitigno a pestare uva, circondato da bellissime donne.
Il risveglio, però, non fu altrettanto bello. Si era dimenticato di nascondere i soldi e un ladruncolo qualunque probabilmente ne aveva approfittato. Mancava già qualche moneta dal totale. Imprecò ad alta voce, incurante delle occhiate dei clienti che stavano entrando nel supermercato in quel momento.
Poco male, nel cappello restavano ancora diversi soldi da spendere. Fece per metterli in tasca quando, dall’alto, un’immensa ombra oscurò il sole. Alzò lo sguardo, aspettandosi di vedere la solita guardia da supermercato in cerca di gloria, invece si trovò davanti una signora di mezza età.
Era piuttosto corpulenta, i capelli biondi appena usciti dalla messa in piega le scendevano sulle spalle, acconciati in eleganti boccoli. Al collo portava una bella collana di perle bianche e, sul naso, un paio di occhiali scuri con la montatura dorata. Stringeva con forza una borsetta di coccodrillo con entrambe le mani.
La signora rimase a fissarlo da dietro le lenti nere, impassibile e inquietante. Il barbone ricambiò lo sguardo con gli occhi giallastri e venati di rosso. Provò ad abbozzarle un ghigno sdentato. Rimasero così per qualche secondo prima che la donna aprisse bocca.
«Scusi ha per caso una moneta da imprestarmi, gentilmente?» e, mentre diceva queste parole, la donna si era già abbassata sul cappello, allungando la mano grassottella e costellata di anelli di ogni colore, e aveva afferrato qualche monetina. Nonostante la stazza era dannatamente veloce. Il barbone non ebbe neanche il tempo di replicare che la signora aggiunse: «Sa, per il parcheggio. Siamo nel terzo millennio e le macchinette ancora non accettano la carta di credito. Roba da matti, guardi». La borsetta si aprì con un clic e gli spiccioli sparirono al suo interno. E così sparì pure la corpulenta signora.
La seguì con lo sguardo mentre andava via. I ricchi erano tutti uguali, più soldi avevano e più ne volevano. Lanciò un’altra imprecazione, niente di notevole, giusto per essere sicuro di avere l’ultima parola.
Tornò a guardare il cappello e fece di nuovo il conto. Il bottino era praticamente dimezzato. Mentre rifletteva su cosa comprare al supermercato, fu affiancato da un bel paio di scarpe in pelle scamosciata. Attaccate a quelle belle scarpe c’erano due gambe rivestite di seta blu e, ancora più su, un cappotto di pelle scuro.
L’uomo misterioso accanto a lui teneva le mani a mezz’aria e le tormentava nervoso. Le gambe gli tremavano leggermente, come se volesse scappare via da un momento all’altro. Si guardava intorno furtivo, e poi improvvisamente si inginocchiò accanto al barbone. Si asciugò la bocca con il dorso della mano e gli disse: «Scusi se la disturbo, ma ha per caso una moneta da imprestarmi, gentilmente?»
Il barbone inconsciamente abbassò gli occhi sul cappello. L’uomo misterioso passò direttamente alle maniere forti, e allungò il braccio. Anche lui, come la corpulenta signora, fu veloce come un fulmine. Il barbone si vide scomparire un’altra manciata di monete da sotto il naso.
Ci fu un tentativo di reazione, ma il sonno e la fatica della nottata precedente ne condizionarono l’esito. Le mani del barbone non fecero neanche in tempo a sciupare la lucidatura perfetta delle scarpe del ladro perché l’uomo misterioso era già lontano. Camminava spedito con le mani in tasca e la testa bassa. Prima di voltare l’angolo, inforcò un paio di occhiali da sole e scomparì nel nulla.
Sapeva che non lo avrebbe sentito, ma il barbone gli lanciò comunque l’ennesimo insulto da lontano. Ormai nel cappello non c’era rimasto molto. Non volle perdere tempo a contare le monete, le strinse così forte che il pugno iniziò a tremare.
Con la mano libera si tirò su. Barcollando entrò nel supermercato e si diresse al reparto degli alcolici. Afferrò rapido il suo solito cartone di vino, e con passo marziale si posizionò in fila alla cassa. Attese paziente il suo turno. Usò pure uno di quei cosi di plastica che servono per distinguere le spese.
Osservò impassibile il cartone bianco e viola che veniva trascinato dal nastro nero fino alla cassa. La signora lo prese svogliata e lo passò sul laser. Il prezzo brillò sullo schermo e senza neanche guardarlo disse: «Uno e novantanove, grazie».
Il barbone finalmente aprì la mano e lasciò cadere le poche monete rimaste sul piattino di plastica di fronte a lui. La cassiera, sempre senza guardarlo, le raccolse e iniziò a infilarle in cassa, mentre le contava.
Arrivata all’ultima, finalmente gli rivolse uno sguardo di rimprovero. Ingoiò la gomma da masticare e gli disse: «Mancano trenta centesimi… signore».
Quelle parole furono il colpo di grazia per il povero barbone. La sua rabbia esplose in una serie di imprecazioni sconnesse. Parlò di parcheggi e di macchinette, di uomini misteriosi e signore corpulente.
La cassiera, spaventata, fece intervenire subito le guardie che lo sbatterono fuori dal supermercato insieme ai pochi spiccioli che gli erano rimasti.
Il barbone si lasciò cadere contro il muro: era stravolto, ma sapeva che non poteva vincere quella battaglia. Aveva toccato il cielo con un dito e poi era piombato nuovamente sulla terra.
Sconfitto, raccattò le monete sparse sul marciapiede. Le sistemò con cura in tasca e si aggiustò le coperte sulle gambe. Scosse un’ultima volta il cartone del vino. A giudicare dal rumore, forse c’erano rimaste ancora un paio di sorsate.