THREEvial pursuit


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Three Faces presenta THREEvial pursuit: una serie di articoli tra il serio e il faceto sulle tematiche più disparate!

 

2 Ottobre 2023C4: fine di una bella avventura e un nuovo inizio per Three Faces Dopo esserci presi un po’ di tempo per elaborare l’ultimo estenuante periodo e ricaricare le batterie, eccoci qua a ufficializzare ciò che chi ci segue più assiduamente già sa: C4 – Centro di Contaminazione Creativa e Culturale, quella che è stata la nostra casa per oltre un anno e mezzo, non riaprirà. La notizia è passata un po’ in sordina: abbiamo dato l’annuncio con un semplice post sui social a fine luglio e abbiamo celebrato la chiusura con una cena e con un ultimo evento, circondati dall’affetto dei soci e dei frequentatori più assidui. Sono stati momenti di grande commozione, ma altrettanto grande carica per il futuro. Ciò che vogliamo sia chiaro è che la chiusura di C4 non rappresenta affatto la fine della lunga storia Three Faces, ma un nuovo brillante inizio.Siamo qui infatti per spiegare le ragioni che ci hanno portato a questa decisione e regalarvi qualche piccola anticipazione sui nostri progetti futuri. Perché abbiamo chiuso C4 Per quanto riguarda la chiusura di C4 si è trattata di una scelta consapevole dopo mesi di attenta valutazione e autoanalisi di gruppo: a livello di frequentazione il supporto del pubblico non è mai mancato, così come non è stata una motivazione meramente economica a spingerci a questo passo. Il fondamento di questa scelta è puramente strategico: la gestione di uno spazio culturale indipendente com’è stato C4 è un processo profondamente impegnativo per un gruppo di volontari come quello che compone Three Faces, sia a livello di risorse umane che monetarie. Per garantire una sostenibilità economica, non avendo una grande disponibilità personale da investire e scarsissimi aiuti esterni, c’è da riempire un calendario di eventi, coordinare le varie realtà coinvolte, promuovere le iniziative, presenziare ogni giorno eccetera eccetera, per racimolare quasi 1500 euro al mese, tra affitto, utenze e materiali. Per il lato di gestione pratico poi, serve il lavoro gratuito di tantissime persone, che affiancano alla propria attività principale un onere non di poco conto. Le energie non sono infinite e qualcosa va, per forza di cose, sacrificato. Bene, dopo la suddetta analisi ci siamo resi conto che ciò che stavamo sacrificando era proprio la scintilla vitale di Three Faces, ciò che ci ha tenuto in vita per quasi dieci anni di attività associativa: la creatività. Rimettere al centro di Three Faces la creatività Le riunioni degli ultimi sei mesi si stavano trasformando in meri aggiornamenti sulla gestione quotidiana dello spazio e sull’organizzazione degli eventi che ospitavamo, molto spesso affidati ad altre realtà culturali. Ogni nuovo progetto, idea o collaborazione che non avesse direttamente un legame con C4 veniva automaticamente respinto, rimandato o accantonato per mancanza di energie. La nostra fiamma, come singoli e come gruppo, si stava lentamente spegnendo, soffocata dalla fatica e dall‘insoddisfazione.Da qui l’illuminazione: Three Faces è nata per creare contenuti, non per essere un contenitore. Back to the roots L’associazione e StreetBook sono nati essenzialmente perché il mondo culturale, per come ci appariva, ci annoiava mortalmente: siamo da sempre appassionati lettori, ma rifuggivamo le canoniche presentazioni di libri; siamo appassionati d’arte, ma i classici vernissage ingessati nelle gallerie ci facevano venire le bolle. Nel nostro piccolo, con arroganza giovanile e spirito punk, abbiamo per anni fatto ascoltare la nostra voce e mostrato il nostro metodo di approccio, facendo confluire nel tempo mille rivoli diversi accomunati da una sola volontà: mostrare che leggere un libro o godersi un quadro non sono attività da riservare esclusivamente ai banchi di scuola e delle università, che non sono attività “solo per intellettuali”, ma che possono arricchire chiunque, a prescindere dall’estrazione o dalla preparazione. Ecco, la gestione di C4 ci ha portato, per necessità, a ospitare eventi, presentazioni e attività che non avrebbero convinto i noi stessi più giovani. Proseguire su quella strada, alla lunga, avrebbe definitivamente spento la nostra fiamma vitale, vanificando la nostra esperienza e quello che possiamo offrire al nostro pubblico o allineando i nostri sforzi a ciò che invece volevamo cambiare agli albori dell’associazione. Quindi grazie C4, sei stato un capitolo bellissimo della storia Three Faces, un esperimento necessario per crescere e per conoscerci meglio. Grazie mille, ma ora voltiamo pagina e iniziamo un altro capitolo, che chiuda il cerchio con quello iniziale.Perché, anche a questo giro, col cazzo ci estinguiamo! Vuoi darci una mano? Vogliamo riportare il centro dell’attività associativa sulla ricerca di nuovi modi e linguaggi per promuovere la cultura, l’arte e il pensiero. Sul dove farlo lo valuteremo in seguito, prima concentriamoci sul cosa dire, poi sul dove. Anche se le idee in merito non mancano: per fortuna infatti negli ultimi anni sono nati vari altri luoghi a Firenze, impegnati nella nostra stessa missione e che sentiamo affini. Spazi e realtà con cui creare sinergie, collaborazioni e che possano ospitare i nostri nuovi contenuti.Quindi continuate a seguirci per sapere dove metteremo in pratica le nuove idee che partoriremo in questa rinascita! E, come sempre, aspettiamo a braccia aperte nuove teste e nuovi punti di vista: se vuoi farne parte manda una mail e vieni ad una delle nostre riunioni, d’ora in avanti totalmente improntate alla creatività e a nuovi progetti! [...] Read more...
18 Maggio 2023PerformIA Culture Artisti e AI (parte 3) Puntata 5 PerformIA Culture torna con una nuova puntata nel viaggio virtuale tra le opere di artisti che nel loro percorso creativo hanno deciso di sperimentare, esplorando la relazione tra capacità umana e tecnologia. Oggi approfondiamo il lavoro di Sofia Crespo, Harshit Agrawal e Tom White.  Le opere di Sofia Crespo sono caratterizzate, in modo particolare, da una forte interazione tra biologia, tecnologia e natura. Uno dei suoi principali interessi è studiare il modo in cui la vita organica utilizza meccanismi artificiali per simulare sé stessa ed evolversi, implicando l’idea che le tecnologie siano un prodotto della vita organica che le ha create e non un elemento distante e separato. Si fa portavoce di un punto di vista inclusivo sull’interazione uomo-tecnologia. La sua arte si concentra sulla creazione di organismi sintetici e di paesaggi digitali immaginari generati da algoritmi e da tecniche di machine learning. Le sue opere spesso prendono forma in immagini e sculture generative che sembrano mescolare elementi biologici e tecnologici in modo armonioso. Artisti e AI – Sofia Crespo Un aspetto interessante delle opere dell’artista è l’interazione tra le diverse parti delle opere stesse. Ad esempio, alcune delle sue sculture digitali sono composte da diverse parti che sembrano interagire tra di loro, creando un effetto di vita e movimento. In questo modo, Crespo esplora il concetto di simbiosi e di interazione tra diversi organismi. Le sue opere combinano tecniche avanzate di modellazione e stampa 3D, ad algoritmi e tecniche di machine learning per generare forme organiche e suggestive, come nella serie di sculture Symbiotic Spheres in cui organismi sintetici con strutture complesse e dettagliate che richiamano le forme della natura, sembrano vivere e respirare. In Botanica Absentia troviamo un’altra serie di sculture che rappresentano piante immaginarie, create attraverso la combinazione di elementi naturali e sintetici, che esplorano il concetto di ibridazione tra la natura e la tecnologia.  Harshit Agrawal è un artista che, attraverso le sue opere, esplora le relazioni tra l’uomo e l’ambiente, attraverso temi come la natura, la sostenibilità, la spiritualità e l’identità. Utilizza la tecnologia in diversi modi combinandoli tra loro e invitandoci a riflettere sul nostro rapporto con le nuove tecnologie. Spesso incorpora elementi di realtà mista a finzione per creare opere che esplorano la linea sottile tra reale e virtuale. Artisti e AI – Harshit Agrawal Nella serie Latent Landscapes, ad esempio, utilizza il tema del paesaggio reinterpretandolo attraverso l’uso delle GAN e modificando successivamente gli output generati, spingendosi al limite del processo creativo condiviso con la macchina. Nella serie Masked Reality Agrawal coniuga tradizione e Intelligenza artificiale in un’opera interattiva in cui il volto di uno spettatore si trasforma in tempo reale nell’immagine di maschera rituale indiana. Harshit Agrawal è un precursore nell’uso dell’AI con le sue opere, oltre a riuscire a combinare in modo assolutamente armonico tecnologia e tradizione.  Tom White è un artista neozelandese interessato a studiare attraverso strumenti di Intelligenza Artificiale come le macchine riconoscono, articolano e interpretano il mondo intorno a loro. La sua opera indaga lo sguardo algoritmico, man mano che la percezione della macchina diventa più pervasiva nella nostra vita quotidiana, il mondo visto dai computer diventa la nostra realtà dominante. White esplora questo fenomeno dando agli algoritmi una voce con cui parlare, creando stampe fisiche astratte, classificate e riconosciute in modo affidabile dalle reti neurali. Artisti e AI – Tom White Nella serie Synthetic Abstractions progetta sistemi di disegno che consentono alle reti neurali di produrre stampe a inchiostro astratte che rivelano i loro concetti visivi. Sorprendentemente, queste impronte sono riconosciute non solo dalle reti neurali che le hanno create, ma anche universalmente, dai sistemi di Intelligenza Artificiale che sono stati addestrati a riconoscere quegli stessi oggetti. Utilizzando il sistema di disegno fornito, le reti neurali esprimono direttamente in semplici disegni a inchiostro le proprie versioni di queste categorie, creando forme astratte che trasmettono la loro comprensione del mondo. La composizione, le linee e i colori sono scelti dalle reti neurali che tentano di fare in modo che il disegno rappresenti al meglio il concetto. Sebbene queste reti siano state addestrate solo su immagini del mondo reale, quando sono costrette a esprimersi in modo astratto sono in grado di creare forme più semplici che corrispondono alle loro rappresentazioni interne. Dopo aver effettuato una stampa, l’artista verifica che il disegno generato dal computer sia ampiamente riconosciuto da altri sistemi di visione di AI. Ad esempio, dai sistemi di riconoscimento delle immagini di Google e Amazon. Questo suggerisce all’artista che le forme sono compatibili con un linguaggio visivo universalmente riconosciuto dalle macchine. Per l’artista la capacità di rappresentare astrattamente concetti che a nostra volta riconosciamo, suggerisce che potremmo avere più cose in comune con le macchine che stiamo creando, di quanto realizziamo.  PerformIA Culture – Artisti e AI (parte 3) [...] Read more...
27 Aprile 2023PerformIA Culture Artisti e AI (parte 2) Puntata 4 PerformIA Culture prosegue con il percorso alla scoperta degli artisti che hanno deciso di sperimentare attraverso strumenti di intelligenza artificiale. È interessante osservare come molti degli artisti che operano in questo campo non nascano come tali, ma approdino al mondo dell’arte successivamente, ad esempio a seguito dei propri studi e della propria formazione scientifica. Un punto di vista molto interessante ce lo dà Mike Tyka, artista multidisciplinare che nasce come scienziato. Si forma, infatti, in Biochimica e Biotecnologia ed è proprio ispirandosi alla struttura delle molecole proteiche che realizza le sue prime opere d’arte. La sua produzione artistica coniuga la scultura tradizionale e la tecnologia moderna, come la stampa 3D e le reti neurali artificiali. Nella serie Sculture molecolari, le opere rappresentano proteine molecolari realizzate in vetro colato e bronzo e sono basate sulle precise coordinate di ogni rispettiva molecola, attraverso le quali esplora la bellezza nascosta di un microcosmo invisibile. Nella serie AI Deepdream, Tyka esplora il potenziale degli algoritmi DeepDream e delle GAN come mezzo e strumento artistico, attraverso la creazione di immagini create simultaneamente e sovrapposte: i risultati riportano a una dimensione onirica e allucinogena. Un altro artista che proviene dal mondo della ricerca scientifica è Memo Atken, ingegnere e informatico che da tempo lavora e sperimenta tecnologie in grado di creare immagini, suoni e installazioni, con l’obiettivo di arrivare al cuore della natura e della condizione umana, esplorandola in ogni suo aspetto e mostrandoci le infinite connessioni del mondo intorno a noi attraverso strumenti sempre nuovi. Affascinato dall’Intelligenza Artificiale e dal rapporto uomo-macchina, dà vita al progetto Learning to See, in cui il pubblico può modificare a piacimento una serie di oggetti disposti su una superficie inquadrata da una telecamera, le cui immagini vengono poi rielaborate da una serie di reti neurali addestrate con diversi set di dati che rimandano agli elementi naturali e allo spazio. In questa opera, utilizzando algoritmi di Machine Learning vengono generati output simili a quelli che potrebbero essere creati da un essere umano attraverso l’osservazione di ciò che lo circonda, invitandoci a riflettere sul tema della percezione e su come la nostra visione, così come quella della macchina, sia influenzata dal nostro pregresso, dal nostro passato. Nella serie Meditations, installazione audiovideo di lunga durata, Atken invita lo spettatore a intraprendere un viaggio spirituale attraverso l’osservazione di immagini e suoni in continuo mutamento, narrati attraverso l’immaginazione di una profonda rete neurale artificiale. Lo scopo è quello di farci percepire come la nostra esistenza sia strettamente connessa all’equilibrio evolutivo del mondo in cui viviamo. Tra gli artisti italiani che utilizzano strumenti d’innovazione tecnologica per la realizzazione delle proprie opere, troviamo Mauro Martino. Artista e scienziato, pioniere nell’uso delle reti neurali artificiali nel campo della scultura, Martino ha creato nuovi linguaggi espressivi fino ad arrivare alla realizzazione di opere materiche in stampa 3D, tra cui il David, realizzato ispirandosi dalla famosa opera di Michelangelo. Nell’opera Strolling Cities trova un punto d’incontro tra le nuove tecnologie e l’approccio umanistico in un progetto che unisce AI generativa, voce umana, poesia e paesaggio urbano. Le video istallazioni dedicate a dieci città italiane sono state realizzate alimentando le AI generative con set di dati composti, oltre che da milioni di immagini fotografiche inedite – scattate appositamente per la realizzazione del progetto – e da poesie e prose poetiche dedicate alle città. Per farlo, la macchina ha imparato ad assimilare stringhe di nomi, aggettivi e descrizioni proposte attraverso la voce umana: tutti dati che sono stati usati come input per immaginare paesaggi urbani. Alle scelte estetiche, quindi, è stata affiancata la tecnologia Voice-to-City, che permette di interagire con la macchina attraverso la voce e la poesia. In Strolling Cities le parole diventano immagini che la macchina genera agganciandole fra loro, codifica un linguaggio legato al paesaggio e genera immagini on the fly, imparando come si fanno le città e inventandole insieme alla voce dell’utente. Mauro Martino consente, attraverso l’opera, la fruizione di una nuova esperienza di poesia visuale realizzata insieme all’Artificial Intelligence. Queste sono le città che esistono e non esistono, e non ce ne saranno mai due uguali. Appuntamento al prossimo episodio di PerformIA Culture, in cui continueremo la nostra esplorazione alla scoperta degli artisti che usano le AI come fonte di ispirazione. [...] Read more...
16 Marzo 2023PerformIA Culture Artisti e AI (parte 1) Puntata 3 Continua il viaggio di PerformIA Culture alla scoperta del rapporto tra arte e tecnologia. La rubrica nasce all’interno del laboratorio creativo di PerformIA Festival, e in questo appuntamento parleremo degli artisti che negli ultimi anni hanno deciso di sperimentare con l’Intelligenza Artificiale. In questa tappa conosceremo: il collettivo Obvious, Mario Klingermann, Anna Ridler e Refik Anadol, tutti grandi innovatori che hanno aperto un nuovo sentiero nella produzione artistica. Artisti e AI – Collettivo Obvious – Ritratto di Edmond de Belamy Nel 2018 per la prima volta il grande pubblico sente parlare di arte generata da Intelligenza Artificiale, quando presso la prestigiosa casa d’aste Christie’s viene venduta a una cifra elevatissima quella che poi sarà considerata la prima opera di artistica generata da AI: il famoso Ritratto di Edmond de Belamy, parte di una serie di ritratti ideata dal collettivo francese Obvious. L’opera porta come firma l’algoritmo che lo ha generato ed è stata realizzata da una GAN (Generative Adversarial Networks), addestrata e alimentata da un set di dati composto da 15.000 ritratti dipinti tra il XV e il XX secolo. A prima vista, essa sembra inserirsi all’interno del filone della ritrattistica tradizionale, con il soggetto in posa, posizionato di tre quarti, in camicia bianca e abito scuro, ma a uno sguardo più approfondito si notano i contorni della figura poco definiti e i tratti del volto delineati sommariamente e sfumati, con i lineamenti che si perdono in una rappresentazione onirica del gentiluomo immaginario. Da questo momento in poi, com’era prevedibile, si sono aperte importanti discussioni e accesi dibattiti nel mondo dell’arte sull’importanza del fattore umano combinata alla macchina all’interno del processo di creazione artistica e sulla paternità delle opere realizzate da AI, su chi possa effettivamente definirsi l’artista, se l’uomo o l’Intelligenza Artificiale. Artisti e AI – Mario Klingemann – Memories of Passersby L’anno successivo, nel 2019, un’altra illustrissima casa d’aste Sotheby’s batte l’opera Memories of Passersby di Mario Klingemann, creata da un complesso sistema di reti neurali addestrato a generare un flusso infinito di ritratti inediti e irripetibili. L’installazione si compone di una consolle in legno, realizzata a mano, al cui interno si trova il cervello dell’intelligenza artificiale che crea, in continuazione e in tempo reale, volti maschili e femminili sempre nuovi e in costante mutazione, riprodotti sui due schermi collegati. Gli output che vediamo passare sugli schermi dell’opera, infatti, non sono combinazioni di immagini esistenti, ma immagini uniche generate dalla AI sul momento, grazie a uno specifico addestramento. Klingemann non solo sperimenta con più coraggio le applicazioni della GAN in campo artistico, ma utilizza per l’addestramento della AI un database molto più ampio e variegato, introducendo così una significativa imprevedibilità nel processo generativo. Artisti e AI – Anna Ridler – Fall of the house of Usher Il biennio 2018-2019 rappresenta quindi un momento fondamentale per l’ingresso delle opere d’arte create con AI, non solo nel mercato dell’arte ma anche nell’immaginario del grande pubblico, che si apre a una dimensione estetica completamente nuova e si lascia affascinare da scenari inediti e accattivanti. Un’altra artista che esplora le nuove tecnologie come fonte di ispirazione e strumento per la genesi delle proprie opere è Anna Ridler. Il suo è un approccio leggermente diverso, in quanto realizza personalmente i data set per addestrare le GAN che costituiranno il punto di partenza per la realizzazione delle sue creazioni. Nella costruzione di una delle sue opere ad esempio, Fall of the house of Usher, – film breve di animazione ispirato a una produzione cinematografica del 1928 a sua volta ispirata al racconto di Edgar Allan Poe – fa una ricerca estetica minuziosa, realizzando 200 dipinti attraverso cui la macchina viene addestrata per imparare a generare immagini che portino in sé l’essenza e lo stile dell’artista all’interno di una nuova dimensione narrativa. Anna Ridler addestra quindi la AI con le sue stesse opere e gli output generati avranno sempre una fortissima connessione con l’artista e non solo, mentre i training set diventeranno a loro volta una vera e propria opera d’arte nell’opera d’arte. Concludiamo la nostra prima carrellata di artisti con Refik Anadol, considerato pioniere nell’estetica dell’arte generata da AI. Definito anche l’artista dell’umanesimo digitale, Anadol parte come presupposto da una ricerca interdisciplinare sulla relazione tra mente umana, architettura ed estetica. Con le sue straordinarie performance e istallazioni invita il pubblico a immergersi e a immaginare incredibili realtà alternative in spazi contemporaneamente fisici e virtuali. Artisti e AI – Refik Anadol – Renaissance Dreams(Palazzo Strozzi – Collezione NFT, 2022 – Photo by ©ElaBialkowska OKNO Studio) Può essere definito un architetto di percezioni, che pone lo spettatore dentro l’opera per fargli sentire l’invisibile da tutte le dimensioni possibili. Per fare questo usa i dati disponibili intorno a noi come materia prima e li fornisce a complessi sistemi di reti neurali a cui le AI attribuiscono anche volumi, colori e suoni in una complessa elaborazione, in cui memoria collettiva, storia, arte e scienza si combinano alla tecnologia dando vita a nuove esperienze di tempo e spazio, in cui AI ed essere umano convivono in equilibrio. Anadol usa i big data come pigmento e dipinge con la AI, che definisce il proprio pennello pensante, creando imponenti, stupefacenti, alternative dimensioni. La sua arte digitale, fatta di colori luci e suoni, indaga i confini dello spazio e della veglia ricreando una collisione tra mondo virtuale e mondo fisico. (Continua…) [...] Read more...
9 Marzo 2023The other side of Exit Enter di Emanuele Iavarone Si è aperta il 3 Marzo 2023 alla Street Levels Gallery, The sign beyond the signature, letteralmente “Il segno oltre la firma”, celato e inedito ciclo artistico/espressivo dello street artist Exit Enter. Già noto al grande pubblico italiano e internazionale, l’artista è conosciuto per il suo celebre e iconico ‘omino’ ritratto nelle più molteplici situazioni e distribuito negli angoli più suggestivi, e non, di alcune tra le più belle città toscane, italiane ed europee. Con questa nuova esposizione Exit Enter tenta di rivelare alcune sfaccettature del suo mondo interiore, mostrandoci opere dalla natura ancestrale e istintiva prodotte in oltre dieci anni nel suo studio e mai esibite pubblicamente. Le Spiagge Bianche di Rosignano Solvay Classe 1990, Exit Enter nasce a Rosignano Solvay, una piccola frazione della provincia di Livorno, famosa per le sue Spiagge Bianche e il suo mastodontico stabilimento per la produzione della soda. In questo contesto marcatamente dualistico, in cui la natura del litorale livornese e l’architettura industriale si incontrano e si mescolano dando alla luce una tra le spiagge più particolari e controverse del mondo, cresceva e si contaminava il giovane artista. Possiamo solo immaginare come la quotidianità di un contesto così particolare possa aver influenzato il bambino Exit. L’animo dell’artista di oggi sembra infatti manifestarsi in una costante dicotomia. Già a partire dal nome, fatto di due parole semanticamente opposte, exit/uscire ed enter/entrare, per arrivare a quella che fino ad oggi è stata la sua espressione artistica, contraddistinta da una prima ed estroversa fase street e da questa seconda e introversa fase di lavori su tela. Seconda e intima fase che ha sempre accompagnato Exit Enter, ma che solo quest’anno ha deciso di rivelare. Gli anni passavano a Rosignano, finché nel 2009 Exit Enter fa una scelta che gli cambierà la vita: trasferirsi a Firenze per frequentare l’Accademia delle Belle Arti, dove incontrerà il Professor Saverio Vinciguerra, figura catalizzatrice nella vita dello studente Exit, che lo indirizzerà verso una forma artistica più legata all’astrattismo e a una ricerca caratterizzata da gestualità e sperimentazione, rappresentazioni primitive e simboliche. È proprio in questi anni che, tra i vari esperimenti su tela e i compulsivi disegni giornalieri sul suo sketch book, Exit Enter inizia a prendere forma. Altra fondamentale fase è quella di avvicinamento alla cultura dei rave party, il cui contesto sociale e la musica tekno ispirano all’artista molte delle sue prime opere. Exit Enter – The sign beyond the signature In questo contesto e con queste ispirazioni, taggandosi originariamente come ·K, Exit Enter inizia a uscire per strada con la necessità di esprimersi. È un periodo molto particolare, di ricerca, in cui le passeggiate notturne simboleggiano il suo personale modo di dare significato alla vita, ma rappresentano anche e soprattutto una via alternativa di espressione. Nasce così, da un desiderio inconscio di evasione, Exit. Nel 2013, con queste premesse, vediamo apparire per la prima volta nei suoi schizzi ‘omino’, inizialmente suo alter ego, che ben presto diventa un vero personaggio del panorama fiorentino, dando all’artista la possibilità di esprimere concetti legati all’amore e all’inclusione, ma anche critiche e punti di vista taglienti e sarcastici sull’attualità fiorentina e italiana. Liberando il suo personaggio in strada Exit permette alle persone di entrare nel suo immaginario. È proprio da questa alchimia di necessità vitali ed espressive che nasce e prende forma Exit Enter. Entrando nello spazio espositivo della Street Levels Gallery le opere temporalmente più datate di The sign beyond the signature sono Tempi Moderni, Metropolis, Filiforme e la serie di illustrazioni intitolata Cantieri Aperti (2014). Situate all’ingresso, quasi a voler introdurre i visitatori ai primi esperimenti dell’artista, sono opere fortemente influenzate dalla cultura rave, come si può notare dalle ambientazioni degenerate e volutamente distorte che rimandano ai muri di casse dei free party. Le architetture visibili risultano quindi essere approssimazioni astratte dei sound system, più meccaniche e robotiche, plasmando così un paesaggio urbano che si esprime su più livelli e con molteplici sovrastrutture. Exit Enter – Filiforme, Tempi Moderni e Metropolis (da sinistra a destra) Giunti nella seconda nicchia dello spazio espositivo, notiamo come rispetto alle prime tele, contraddistinte da una colorazione prevalentemente bianco nera, venga lasciato spazio a opere in cui Exit Enter fa irrompere i colori primari rosso, blu e giallo. In Nuvola rossa, Golden Bridge, Missing Lock e Urban Mayor (2015) possiamo apprezzare come la compenetrazione tra ambiente urbano e sound system sia ancora presente, ma con toni più leggeri, come se i colori andassero a stemperare quella cupa dimensione urbana descritta fino a quel momento dall’artista, e che tenta costantemente di ridefinire. Exit Enter – Nuvola rossa e Golden Bridge (da sinistra a destra) Proseguendo nel percorso espositivo tra l’ultima nicchia e la living room, completamente ristrutturata e solitamente chiusa al pubblico, si ritrovano due delle opere principali della mostra: The sign beyond the signature e Fuga interiore. La prima, prodotta nel 2021, dà il nome alla mostra ed è un’espressione artistica di puro e catartico istinto. Spray e pittura lavabile su tela, in un’alchimia di bianco e nero atta a mostrarci quanto per Exit Enter l’importante non sia sempre dare o veicolare un messaggio preciso, quanto ricordare a chi guarda, la potenza che può avere la pura gestualità istintiva. Il ritmo dell’artista, ricostruibile attraverso tratti, schizzi e graffi, ci mostra una composizione di segni equivalenti a una vera e propria sequenza ritmica. La seconda, Fuga interiore (2022), un’illustrazione con china su Fabriano F4, è l’unica opera dove appare chiaramente ‘omino’. Rappresenta un soggetto sproporzionato rispetto al bucolico paesaggio circostante che pare soffrire il peso della sua stessa forma, come un carico troppo pesante da portare sulle spalle. Scevro dell’estetica pop in cui siamo solitamente abituati a vederlo per le strade, ‘omino’, corpo filiforme definito solo dall’approssimazione della figura umana, vaga per una pianura piatta e industriale, lasciando traccia dietro sé solo per mezzo della sua stessa ombra. In quest’opera, a mio parere, traspare tutta la malinconia che l’artista ha accumulato nell’essere definito esclusivamente da una singola forma, ‘omino’ appunto, che gli è stata cucita addosso da più di 10 anni di carriera, ma che non riesce evidentemente a mostrare la totalità e la complessità delle emozioni e sensazioni dello stesso Exit Enter che gli ha dato vita. Exit Enter – Fuga interiore Ultime, in ordine temporale, sono le tre serie di opere create ad hoc per la mostra: Segni rossi, Segni bianchi e Segni mostri (2023). Distribuite tra la living room e l’ultima nicchia, oltre a essere le opere dalla natura più compulsiva e rapsodica della pittura dell’artista, sono il risultato diretto della scommessa fatta dalla Street Levels Gallery. Sì, perché tutto ciò non sarebbe stato possibile se i ragazzi dell’associazione A testa alta non avessero spronato Exit Enter a mostrarsi al pubblico nella sua dimensione artistica più intima, emotiva e istintiva che fino ad oggi giaceva chiusa in un magazzino e tra le idee dell’artista. Ascoltare Exit Enter raccontare il momento in cui, dopo anni, ha portato di nuovo alla luce i suoi vecchi lavori è stato emozionante. Sorrideva e sembrava leggero come solo la condivisione di un bagaglio artistico ed emotivo può dare. Exit Enter – Segni mostri Catalogo della mostra: https://www.streetlevelsgallery.com/wp-content/uploads/2023/03/The-Sign-beyond-The-Signature_Catalogo-Digitale.pdf Sito artista: https://exitenter.it/ All photos by Emanuele Iavarone [...] Read more...
9 Febbraio 2023PerformIA Culture Arte e AI Puntata 2 Nello scorso appuntamento con PerformIA Culture abbiamo osservato come il rapporto tra arte e tecnologia sia sempre stato forte e imprescindibile. Oggi questo rapporto si è ulteriormente evoluto raggiungendo il nuovo orizzonte dell’arte generata da intelligenza artificiale. Le prime domande che sorgono spontanee sono sicuramente: “In cosa consiste questo tipo di arte? Che cos’è l’intelligenza artificiale? Come si applica all’arte e quali sono le intelligenze artificiali che utilizzano gli artisti?” Vediamolo insieme.   Innanzitutto, c’è da sottolineare che spesso la Artificial Intelligence Art viene confusa con la Digital Art; tra le due, però, esiste una sostanziale differenza. Nella Digital Art, infatti, l’opera è definita computer assisted, ovvero viene generata dall’artista con l’ausilio di mezzi tecnologici digitali come, ad esempio, una tavoletta grafica; l’Artificial Intelligence Art, invece, è un’opera totalmente computer generated, nel senso che l’algoritmo d’intelligenza artificiale utilizzato non è solo un mezzo di cui si serve l’artista, ma ha una certa autonomia all’interno del processo creativo.  Giuseppe Ragazzini – PerformIA Festival 2022 L’intelligenza artificiale è definita come un insieme di sistemi informatici intelligenti in grado di simulare le capacità e il comportamento del pensiero umano. La disciplina legata al suo studio nasce circa alla metà degli anni ’50 del Novecento, quando vennero creati i primi programmi capaci di una qualche forma di “ragionamento”, in particolare legati alle dimostrazioni di problemi di geometria complessa. Negli anni ’80, poi, le intelligenze artificiali escono dalle accademie e trovano applicazione pratica in ambito industriale. Da questo momento assistiamo a numerosi utilizzi e implementazioni di tali sistemi fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui l’intelligenza artificiale diventa parte integrante della vita quotidiana, applicata alle situazioni più disparate. Anche nell’ambito artistico, da sempre particolarmente sensibile e all’avanguardia verso le nuove tecnologie, si manifesta forte l’esigenza di approfondire e sondare nuove possibilità espressive attraverso l’AI e di aprirsi a scenari estetici alternativi.  Nelle loro sperimentazioni, gli artisti utilizzano diversi sistemi di intelligenza artificiale, dagli algoritmi di segmentazione agli algoritmi trasformativi, ma la maggior parte di loro è affascinata in particolar modo dalle GAN – Generative Adversarial Networks (reti generative antagoniste): coppie di reti neurali con una struttura duale e interattiva che sono predisposte a una forma evoluta di apprendimento automatico, sconosciuta ad altre forme di intelligenza artificiale. La Macchina del Collage nel Metaverso – Giuseppe Ragazzini Le GAN hanno una struttura complessa; comprenderne il funzionamento ci consente di capire come mai gli artisti ne siano così affascinati e le considerino strumento prediletto nel percorso di concepimento artistico. Queste coppie di reti neurali sono composte da un algoritmo generator (generatore) e da un algoritmo discriminator (discriminatore) che si approcciano tra loro con una modalità antagonista. L’uomo – nel nostro caso, l’artista – inserisce all’interno del sistema un set di dati di riferimento e addestramento per la GAN (suoni, parole, immagini). L’algoritmo generatore inizierà a produrre la stessa tipologia di dati (suoni, parole, immagini) mentre l’algoritmo discriminatore scarterà tutti quelli che si scostano dal set predefinito, sino a quando non saranno rimasti solo quelli più simili ai suoni, parole e immagini di input. L’algoritmo generatore a un certo punto sarà stato addestrato dalla selezione dell’algoritmo discriminatore e riconoscerà i dati “giusti” da generare, per cui continuerà a produrre suoni, parole, immagini di output con caratteristiche analoghe a quelle dei dati utilizzati come riferimento. In questo modo è come se “ingannasse” l’algoritmo discriminatore stesso. Questo sistema dal carattere relazionale e instabile costituisce un elemento di grande interesse in quanto apre la strada a numerose possibilità espressive, con intenti anche molto diversi tra loro.  Nelle GAN il processo di rielaborazione dei dati, essendo affidato alla macchina, sfugge parzialmente al controllo umano, portando a risultati inaspettati con cui l’artista poi interagisce. A seconda del set di dati usato come riferimento all’interno del sistema, gli esiti saranno molto diversi tra loro: alcuni artisti inseriscono volutamente dati disomogenei, poco accurati o incoerenti con lo scopo di ottenere effetti meno prevedibili e controllati possibile; altri artisti utilizzano come set di riferimento elementi o immagini desunte dalle loro stesse opere così da ottenere output che mantengano il proprio stile, e che possano servire  come spunto di riflessione e nuovo punto di partenza e ispirazione.  Ogni processo creativo, per definizione, porta con sé una temporanea perdita di controllo e non è altro che il prodotto tra l’intenzione originaria dell’artista e la sorpresa di quello che l’opera d’arte diviene al termine del processo creativo. Nell’arte generata da AI, questo processo e questa consapevolezza vengono portati all’attenzione del pubblico. L’artista in un certo senso rinuncia al proprio ruolo di assoluto creatore e diventa co-creatore insieme all’AI, in un processo di genesi dell’opera più complesso che mette in luce la dinamica stessa della nostra vita e del mondo in cui viviamo.  [...] Read more...
8 Febbraio 2023Bye Bye THREEvial Cinque anni di THREEvial Pursuit. Li festeggiamo in maniera particolare, prendendoci una pausa, perché è stato un lungo viaggio e, visto che noi di viaggi ce ne intendiamo abbastanza, sappiamo che in ogni lungo viaggio che si rispetti, arriva un momento per sedersi e fermarsi a riflettere. E noi adesso ci fermiamo. Tranquilli, non è un addio, anche se scommettiamo che vi abbiamo fatto un po’ cacare sotto, nostri e nostre care THREEvialiste. Non vogliamo tediarvi con prolisse spiegazioni che giustifichino questa nostra decisione, anche se una spiegazione ve la dobbiamo. Per un lustro (chi l’avrebbe mai detto), ci siamo inventati un format nel quale abbiamo fatto confluire tutta la nostra follia, compresi i QuaranThreevial con i quali vi abbiamo allietato in un periodo particolare della vita di tutti noi. Il THREEvial è stato per molti una valvola di sfogo, uno spazio di espressione, un laboratorio all’interno del quale ogni autrice e ogni autore potesse tirar fuori il meglio che aveva dentro in totale libertà, su qualsiasi argomento ritenesse meritevole di essere messo a conoscenza del nostro pubblico. Vi abbiamo divertito e ci siamo divertiti, abbiamo sperimentato, ma ci siamo anche spesi per cause più grandi di noi e nel nostro piccolo abbiamo fatto informazione. Basterà andare a scorrere fra i vari articoli per rendervi conto di quello che THREEvial Pursuit è stato in questi anni. E adesso ci rendiamo conto che è arrivato il momento di reinventarlo. Non c’è nient’altro dietro alla nostra scelta, se non il bisogno fisiologico di riposarsi, rilassare la mente e ristorare lo spirito, guardarsi intorno e capire qual è la direzione che dovremo prendere. Alcuni continueranno il viaggio con noi, altri prenderanno altre vie e con loro ci scambieremo un abbraccio o una semplice pacca sulla spalla, augurandoci vicendevolmente buona fortuna e di incontrarci nuovamente, come già successo in passato con molti che hanno attraversato queste pagine. Li ringraziamo tutte e tutti, uno per uno. Ma soprattutto ringraziamo voi perché, al di là della retorica, potrà sembrare banale ma senza qualcuno che legge, scrivere è solo un esercizio di stile fine a sé stesso. P.S. Non pensate di esservi liberati del tutto di noi. Qua e là, quando meno ve lo aspettate, di mese in mese, lanceremo qualche THREEvial Off per ricordarvi di non dimenticarci. E questa sì, è una minaccia, perché torneremo. Bye bye [...] Read more...
20 Gennaio 2023La street art senza regole di RUN Intervista di Giorgio Silvestrelli Parte 2 RUN – Sheffield, 2022 (Parte 1) GS: La domanda delle domande: che cos’è per te la “street art”? Lo so, è sempre difficile dare una definizione alle cose perché, dal mio punto di vista, un po’ le spoetizza, però sono del parere che ognuno di noi abbia una sua personale definizione di street art. Vuoi dirci la tua? RUN: La street art non esiste. Per me è una definizione data dai media, dai giornali e dai mercanti d’arte. Mi sembra sia una semplificazione di un concetto libero, senza regole, che altrimenti prenderebbe troppo tempo per spiegarlo. La street art è un groviglio di scuole, stili e idee diverse. Poi, la sTr33T 4r7 pura, vera e propria, come la intende tanta gente, quasi davvero non esiste più! Dal momento che facciamo arte per il pubblico, entriamo a far parte di un sistema senza controllo. Siamo contro questo e contro quello, ma poi un artista si ritrova le sue opere in una sala da pranzo di un broker di banca e ciao alla controversia e al controcorrentismo. Fai un’opera contro il sistema economico e contro la guerra e poi te la ritrovi a un’asta di Christie’s a cento, mille o centomila dollari e qualcuno la compra dal tablet mentre aspetta l’aereo per Dubai. È tutta una controversia e niente ha più il senso di quando tutto questo è nato. Però andiamo avanti, perché è la passione, è inseguire un sogno, che importa più di tutto. RUN – Shenzhen, 2018 GS: L’essere umano è sempre al centro della tua ricerca. Parlaci di quei personaggi che vivono, grazie a te, sui muri di molte città del mondo. RUN: Io sono un artista figurativo. Mi interessa l’essere umano e l’umanità. Quindi, così come banalmente detto, la rappresento l’umanità. Il corpo può dire molte cose. Mi piace il fatto che muovendoci o formando una figura esprimiamo chi siamo e cosa proviamo. La danza, per me, è importante. La danza è collegata alla musica, che è tutto per me. Poi mi piacciono i volti nativi, amazzonici, con caratteristiche tipiche di una razza e di una cultura diversa. Mi attraggono culture che, quando crescevo, erano distanti e sconosciute dalla mia. Sono cresciuto in una società bianca, caucasica, italiana, abbastanza uniforme. Oggi il mondo è cambiato, nel bene e nel male. Il dilemma dell’integrazione. Va bene? Va male? Si può fare? Io dico di provarci. GS: Labbra grandi, testa senza capelli, bocca quasi sempre aperta, grosse orecchie. Hai capito di chi parlo? Ci vuoi parlare di lui? Ha un nome? Chi è? RUN: È “tutti, nessuno e centomila”! Ho imparato a dare questa definizione, imperfetta e inventata. Ora è difficile correggerla. Principalmente i personaggi che dipingo sono neri, vengono dalla giungla, quella verde di piante e alberi ma anche quella di cemento, di pali della luce e palazzi. Ci si sanno muovere nella giungla, questo è certo!La bocca, per me, è il buco da dove entra ed esce la vita. Con ogni respiro respingiamo la morte e la facciamo aspettare. GS: Di tutti i murales che hai realizzato in giro per l’Italia e per il mondo, ce n’è uno a cui sei particolarmente legato? RUN: Ultimamente sto sempre di più realizzando che quando arrivo davanti a un muro che sto per dipingere, mi immagino già il risultato finale. Forse sarà per l’esperienza che un po’ ho accumulato, ma oggi come oggi, il mio dipinto riesce a essere quasi esattamente come nella visione che ho prima di cominciare. Dei miei murales, forse vorrei distruggerne almeno la metà perché non mi piacciono più. Non solo dal punto di vista estetico, ma anche la motivazione che mi spinse a farli o il cosiddetto “messaggio” che mandano. Quando fai un disegno su uno sketchbook e questo viene male, nessuno lo vede. Come scrivere una cosa nel proprio diario segreto. Il muro invece sta là fuori. Tutti lo vedono e lo rivedono ogni volta che ci passano davanti. Ci vuole un forte ego ma anche tantissima umiltà. La performance della creazione del dipinto è la fase fondamentale, potenzialmente stressante ma ricca di ragionamenti veri e forti, dove la mente davvero si piega dalla fatica di capire tutto quello che accade nella superficie in cui uno sta lavorando. È “fatica intellettuale”: la tua mente si spreme tra equazioni di proporzioni, linee, operazioni matematiche, limitare e correggere gli errori. Sono molto legato a posti come Marocco e Senegal e Gambia, i lavori che ho fatto in Cina, in Italia e a Londra: tanti posti, tante facce, moltissimi incontri. Forse alla fin fine dipingo sulla strada per incontrare la gente! Uno sopra a tutti non saprei proprio dire. Ultimamente sto portando con me mio padre quando dipingo. Lui è un appassionato di fotografia, e viene con me a dipingere. Ci divertiamo un sacco e, a mia memoria, è il periodo migliore che stiamo trascorrendo. RUN – Londra, 2014 GS: Sempre più spesso anche i grandi brand si rivolgono agli street artist per realizzare dei murales/pubblicità. Tu cosa pensi al riguardo? RUN: Fuck the brand! And fuck who paint for them and that listen to them. Anche io l’ho fatto. Lo odio! Il brand non ha bisogno di me per vendere il prodotto e io non ho bisogno di loro. Stop. GS: Ci sono delle differenze tra il tuo lavoro in strada e quello in studio? Se sì, quali? RUN: Il lavoro in strada e in studio differiscono in dimensioni, sicuramente, in tempo di esecuzione e in energia meditativa. Io più vado avanti, più vorrei eliminare tutto quello che sta in mezzo alla dimensione del murales e alla dimensione cartacea. Nel senso che vorrei solo fare murales e piccoli disegni per pubblicare libri. È strano pensare che per fare un dipinto su un palazzo di cinque piani magari si impiegano tre giorni, mentre per fare un acquarello su un foglio di carta 35 x 50 cm ci vogliono due settimane. Un’altra grande differenza è che quando lavori in studio puoi chiudere la porta, spegnere il telefono e sai che nessuno interagirà con te. Mentre in strada sei in balia degli eventi, delle persone, della pioggia o magari di qualcuno che ti vorrebbe prende a pugni o che ti lancia una banana marcia. RUN – Pescara, 2022 GS: Ti diverti di più a preparare una mostra, quindi produrre molte opere diverse tra loro, o a dipingere un murale e realizzare così una sola grande opera? RUN: Questo dipende, ma la passione e l’impegno sono gli stessi. Ho sempre pensato che fare una mostra è un po’ come per un musicista fare un disco. Si mettono dentro diversi pezzi che sono come delle canzoni. Ma il disco ha un titolo e un tema. Come una vibrazione che passa attraverso l’intero ascolto. Ad essere sincero faccio più murales che mostre, questo è certo. Ma forse tutto questo un giorno cambierà. GS: Vorremmo una tua personale riflessione su quello che è oggi il mercato dell’arte contemporanea. Sempre più spesso gallerie e spazi espositivi realizzano mostre con al centro gli street artist. Tu cosa ne pensi? RUN: Mi piacerebbe aver studiato economia o banking e aver proseguito parallelamente con l’arte. Così avrei capito già da subito come funziona il mercato. La cosa è ancora un po’ nebulosa per me. Un amico artista di successo monetario incredibile, una volta ha provato a spiegarmi tutti i meccanismi ma era come riempire una brocca d’acqua con un buco sotto. Qualche goccia è rimasta ma non c’è stato verso di trattenerla. Quello che so è che la parola più efficace per il mio mondo è “controversia”. Io prima di essere artista, sono una persona. La persona che sono è generosa nel donare. Produco senza freno e mi piace cambiare stile, temi, segno e spaziare in discipline e tecniche diverse. Un po’ come se a un musicista la casa discografica imponesse delle regole perché alcuni versi e melodie vendono più di altre. Quello che so è che prima di fare soldi devi far fare soldi a tutti quelli che stanno intorno a te. Così queste stesse persone alzano il tuo tiro e allora diventi un “oggetto del desiderio degli altri”. Lo so che queste mie parole non sono chiare ma questo è tutto quello che posso dire sull’argomento. Ascoltatevi Here Today, Gone Tomorrow di Guru e Dj Premier (duo hip hop noto come GangStarr, ndr). Lì è spiegato tutto. RUN – Shmalkalden (Germania), 2021 GS: Venendo ai social. A mio parere veicolano moltissimo la street art ed è forse anche grazie a questo fattore se oggi è così popolare nel mondo. Tu che rapporto hai con i social? E con i tuoi fan e followers? RUN: Ok, questa è un’altra delle zone grigie della questione: i social. I social sono una gran cosa, ma sono anche la rovina di tutto. Mi diverto a postare foto e video ma, contemporaneamente, sento che non ho costantemente cose intelligenti o interessanti da dire. I social sono un animale che deve essere costantemente nutrito, il che toglie tempo ed energia a quello che più conta, cioè creare veramente nel mondo reale. GS: In questo momento a cosa stai lavorando? Ci sono novità in arrivo? RUN: Mentre ti rispondo, sono nel giardino di un hotel in Veneto dove oggi ho appena terminato un lavoro. Nelle prossime settimane farò un lavoro di scenografia e questa è una cosa buona per me! Mi serviva fare un lavoro che non fosse troppo dipendente dall’ispirazione artistica, ma principalmente manuale e commissionato. Poi mi piacerebbe iniziare un progetto di stampe serigrafiche con uno stampatore che ho conosciuto in Gambia anni fa. Nel frattempo sto lavorando anche a una pubblicazione e varie altre cose. Sono anche un papà e vorrei vedere la creazione crescere giorno dopo giorno. Per me la cosa più bella che ci sia. GS: Hai un progetto, un’idea nel cassetto che, per vari motivi, non hai ancora avuto modo di realizzare? RUN: Quello che non ho realizzato finora lo attribuisco al fatto che non è ancora arrivato il momento giusto. Ho fiducia che tutto quello che vorrò fare lo farò quando arriverà il momento e l’energia giusta. GS: Vuoi dire qualcosa ai lettori di questa intervista? Un suggerimento, un augurio, un saluto. Fai tu! RUN: Scoprite dove si trova la vostra energia. Si trova da qualche parte. Forse, come l’incantatore di serpenti, dovete suonare le note e la melodia giusta e poi lei verrà fuori. Nessuna paura!Ti ringrazio molto RUN per questa bella chiacchierata. Ci si vede in giro! RUN – Falconara (Ancona), 2018 [...] Read more...
18 Gennaio 2023La street art senza regole di RUN Intervista di Giorgio Silvestrelli Parte 1 RUN – Sheffield, 2022 Più passano gli anni e più mi trovo a voler approfondire e indagare quelli che sono stati i primi passi della street art in Italia. Sarà che mi sto facendo vecchio anche io, ma farmi un viaggetto nei “good old days” è sempre un’esperienza straordinaria. Con questo folle desiderio ho contattato un mio illustre compaesano, Giacomo Bufarini a.k.a. RUN, che da oltre 20 anni dipinge muri (e non solo). Preparatevi quindi per una corsa a perdifiato tra presente, passato e futuro grazie alle parole rilasciate da questo veterano dell’arte di strada. Pronti? Avete allacciato bene le scarpe? Si va!Giorgio Silvestrelli: Ciao RUN, come stai? Facciamo la presentazione ufficiale. Dicci chi sei e cosa fai. RUN: Mi chiamo Giacomo e finalmente mi danno l’opportunità di dire la mia. Come quasi tutti gli esseri umani ho amato disegnare fin da bambino, non mi sono inibito in questa attitudine col crescere e ho continuato a creare con la matita, fino ad oggi. Quindi vivo per dipingere e dipingo per vivere. Il fatto di portare avanti questa missione, che è quella di fare arte e di essermi creato un personaggio con un nome fittizio, mi fa sempre sentire bambino. Mi dà la speranza che io possa fare qualsiasi cosa e arrivare dovunque. È come una forza che viene da dentro e manda avanti i motori con una forte energia. L’energia si trasforma e diventa arte. RUN – Pescara, 2022 GS: I fatti non possono smentirci perché, a tutti gli effetti, sei uno dei pionieri della street art in Italia. Ma prima di passare a questo argomento ti chiedo le tue origini artistiche. RUN: Pioniere mi sembra un po’ come dire che sono un dinosauro. Uno non estinto spero (ride, ndr)! Io mi reputo in realtà un autodidatta, nel senso che ho imparato facendo e osservando. Sono stato fortunato, ho avuto una famiglia molto creativa. Mi ricordo mia madre che dipingeva per il suo negozio. Lei è un’artigiana e/o artista. Ho la memoria dei pennelli messi a lavare di fianco alle stoviglie in cucina, oppure certe volte sul tavolo da pranzo erano stesi delle porte o dei tessuti che lei decorava. Lei mi ha insegnato tantissime cose. Per esempio usava gli stencil, con cui faceva ripetizioni di immagini creando delle cornici intorno alle pareti delle stanze per i suoi clienti. Poi crescendo da adolescente ho conosciuto i graffiti ed è stato come essere colpito da un fulmine. Era una passione, un’ossessione, un amore nuovo. Li guardavo in giro (ce n’erano pochi al tempo) li guardavo nelle riviste di skateboard o in alcuni rari film. Sono originario della provincia di Ancona, sul mare. Lì c’era una cultura enorme e fortissima di hip hop e tutte le sue derivazioni (break dance, rap, e graffiti). Nel ’94 e ’95 è stato fatto un enorme festival di graffiti ad Ancona (Juice) per cui arrivarono artisti da tutta Europa e anche i più forti e famosi del tempo… Mode2 da Parigi, Ska di Milano (TDK) vari riminesi come Eron e Rok e molti, molti altri. Era incredibile, era come essere nel fulcro di quella cultura così fresca e creativa. Era una bomba, era pura eccitazione e fermento. Elettrizzato dalla mattina alla sera andavo solo pensando al giorno dopo e a quello che avrei disegnato. Però devo dire che il mondo dei graffiti mi è sempre stato ostile. Non ci sono mai arrivato ad essere un graffitaro rispettato, c’era talmente tanta competizione, stili e politiche, e io ero un frikkettone in confronto (ride, ndr). In fondo credo che, tutto quello che ho fatto nella vita e che continuo a fare, lo faccio da outsider da diverso. Non mi sono mai sentito a mio agio a mettermi un’etichetta o una definizione in quello che faccio. Ci ho messo tantissimo a definirmi artista. Prima era tutto un mugugnare parole parallele come illustratore, grafico, scenografo. Poi a un certo punto ho tagliato la testa al toro e ho accettato il termine. O al limite ripetevo, e dico ancora, “lavoro con l’arte”. GS: Per quanto riguarda i graffiti, segui ancora il movimento? Che idea ti sei fatto sull’attuale scena italiana e globale? RUN: Seguo il “movimento” con gli occhi, nel senso che li guardo, li osservo sempre e li uso per orientarmi quando sono in una città nuova, che non conosco. Ma non so molto a riguardo.Posso dirti che nei paesi dove c’è stata meno repressione contro le scritte e le tag, i writers hanno avuto l’opportunità di sperimentare e migliorare il loro stile e la loro personalità in quel tipo di arte. The thinker child – RUN – Croydon, 2018 GS: Vuoi raccontarci un aneddoto a cui tieni particolarmente di quel periodo storico? RUN: Una volta ho detto una piccola bugia a mia madre e ho bigiato la scuola. Con un compagno di banco e writer (Blast) siamo saltati su un treno per Roma. Suonavano i Rage Against The Machine al Villaggio Globale, il biglietto del concerto costava 5 mila lire. Quella sera ha diluviato e c’era talmente tanto fango e acqua che il concerto è stato cancellato. Così, con le persone che ci ospitavano nella Capitale, siamo andati a dipingere vagoni della Metro B. Devo ammettere che è stato super eccitante e non lo scorderò mai. Io non ero un campione di scritte su vagoni, mentre la gente che era con me lo faceva tutte le sere. Conservo ancora una foto della Metro dipinta. Al tempo scrivevo PAC, ma ho dovuto firmare DOZ che era un’altra mia tag. Questo perché a Roma c’era già una crew che si chiamava PAC quindi non potevo sfidarli cosi. Sono le politiche e le leggi della strada! Poi un’altra volta, un poliziotto in borghese mi diede uno schiaffone in faccia. Ero in un sottopassaggio nel mio paese. Terrorizzato, avevo 13/14 anni, era la prima volta che venivo beccato. Forse è stata anche l’ultima perché poi ho smesso di fare cose di nascosto e mi sono dedicato ad altro. Io non sono mai stato un writer, non so usare le bombolette, non ci ho mai provato tanto in realtà. GS: Al giorno d’oggi, secondo te, i graffiti mantengono intatta la loro forza di arte/cultura controcorrente? RUN: Controcorrente in che senso? I graffiti ci sono sempre stati (dagli anni ’70/’80) ma nel 2022 non credo si possano definire “controcorrente”. I graffiti sono un’arte che viaggia su di un binario e non si mischia con il resto, non tende la mano ad altro. Sono chiusi in sé. Io amo i graffiti, li guardo sempre e noto chi li ha fatti, il nome, lo stile ma non ho mai avuto pieno accesso in quel tipo di cultura. Credo di essere sempre stato un outsider in ogni tipo di gruppo/cultura/religione. GS: Dai graffiti alla street art. Vuoi raccontarci, dato che lo hai vissuto sulla tua pelle, questo importante cambiamento nel mondo dell’arte contemporanea? RUN: Dai Graff alla street art credo che il passaggio sia stato questo: gli artisti più timidi e maldestri o più strani, quelle persone che non entravano nel vestito stretto del’hip hop, che non volevano solo scrivere il loro nome a ripetizione hanno deciso di esprimersi, sempre all’aria aperta (come i graffers), inventando un linguaggio personale. Così è nata la street art ed è nata, diciamo, senza regole.Invece i graffiti ne sono pieni (di regole). La street art è senza regole, ecco cos’è il passaggio, o la differenza tra questi due linguaggi che hai citato. RUN – Rovigo, 2021 GS: Ci piacerebbe se ci raccontassi un po’ l’atmosfera di quei primi anni del 2000. Facci fare un tuffo nel passato! RUN: Tutto, a livello di arte, per me si svolgeva nei centri sociali, oppure per strada, oppure in case e fabbriche abbandonate in campagna o periferia. I CSA (Centri Sociali Autogestiti) erano una valvola di sfogo incredibile. Si poteva fare di tutto, o quasi, e si dipingeva sempre intorno a situazioni belle con gente creativa intorno. Io ho sempre preferito i centri con meno politica e più creazione e ricreazione per essere sincero. I miei anni 2000 me li sono fatti a Firenze, quindi Ex Emerson, Elettro+, CPA, e molti altri. A Bologna il Livello 57 e un po’ il Teatro Occupato. Il Forte Prenestino e lo Strike a Roma. A Falconara sono cresciuto al Kontatto (CSOA marchigiano, ndr), dove mi hanno svezzato concerti come quello dei Sud Sound System, dei Piombo A Tempo, dei 99 Posse e dei Villa Ada Posse. Questo era metà anni ’90 fino a due decadi fa. Insomma, i centri sociali, per me, erano le vere scuole per iniziare a crescere e capire cosa mi interessava. GS: Queste domande te le faccio non per sottolineare che sei un ragazzo che da oltre 20 anni dipinge in strada ma perché, molto spesso, chi segue oggi la street art pensa sia una cosa nata solo 10 anni fa o giù di lì. Tu come lo vivi il fatto che la street art appassioni tantissime persone in tutto il mondo? Che cosa le porta ad appassionarsi alla street art? RUN: Credo che la “street art” piaccia perché colora i muri grigi delle nostre città. Ma anche perché è un linguaggio immediato. Più o meno è come una pubblicità. Te la trovi davanti mentre cammini per strada quindi si suppone che ti debba dare qualcosa, un messaggio, una vibrazione, qualunque cosa. Può succedere che uno si leghi a un’immagine, nel senso che magari ti resta in mente e ti appassioni all’idea. Ci pensi per tutto il resto della giornata magari! Credo anche che un’altra ragione che fa appassionare la gente alla street art sia il fatto che le persone vogliono quello che non possono avere, quello a cui non hanno accesso. La street art ha come un profumo di estremo, di underground, di street food, qualcosa di sporco e pericoloso. Che poi, in realtà, non c’è e non c’era niente di pericoloso, ma chi si voleva sporcare le mani poteva avere accesso a un certo tipo di posti e vibrazioni. Bisogna anche essere aperti mentalmente e sopportare tutto quello che, generalmente, non ti viene servito su un piatto nuovo e pulito. Quindi per certe persone guardare o possedere un “pezzo” di questo mondo parallelo è come possedere un “modo di vivere” che non hanno mai potuto o voluto avere. Ora lo possono “avere” comprandolo su Artsy o a una mostra in una galleria di uno street artist. RUN – Bisenti (TE), 2022 GS: All’inizio del tuo percorso come street artist ti saresti mai immaginato che questa forma d’arte avrebbe avuto un impatto così grande sulla società contemporanea? RUN: Assolutamente no. Non era scritto da nessuna parte e io non avevo la sfera da chiaroveggente. Forse non ero lungimirante o forse non mi interessava proprio l’idea di cosa sarebbe accaduto un domani. Lo facevo perché mi piaceva, mi eccitava e mi divertiva. In un certo modo mi faceva anche sognare. Tuttora questa energia e rimasta immutata! GS: Dal tuo esordio a oggi che cosa è cambiato e che cosa è rimasto intatto nel mondo della street art? RUN: Beh oggi è cambiato un po’ tutto. Ma l’intento che mi fa andare a dipingere è rimasto lo stesso. Per essere senza filtri direi che: dipingo se mi pagano. Ma se mi piace un progetto o se semplicemente vedo un’opportunità su una superficie e non ci sono soldi, dipingo uguale, con lo stesso impegno e voglia. Il tempo è quello che mi manca adesso perché sono più grande e la vita si è complicata. Poi è strano, ma un murale può essere anche visto come una pubblicità di te stesso. Da una “pubblicità”, se questa funziona, nasce sempre qualcos’altro come un progetto o un lavoro grande e interessante. (Continua…) All photos by RUN [...] Read more...
12 Gennaio 2023PerformIA Culture Arte e tecnologia: cenni storici Puntata 1 Che cos’è la tecnologia?Un “settore di ricerca multidisciplinare con oggetto lo sviluppo e l’applicazione di strumenti tecnici, ossia di quanto è applicabile alla soluzione di problemi pratici, all’ottimizzazione di procedure, alla presa di decisioni, alla scelta di strategie finalizzate a dati obiettivi ” (fonte: Treccani). Nel corso della storia dell’uomo, la tecnologia ha assunto forme diverse in base alle conoscenze possedute nelle diverse ere. In ogni fase di sviluppo di nuove tecniche, sono nate parallelamente nuove forme di espressione del genio umano correlate a nuove scoperte e relative evoluzioni tecnologiche. Nella puntata zero di PerformIA Culture, abbiamo voluto esplorare come si è sviluppato il rapporto tra uomo e tecnologia, in particolare nel settore dell’Arte. La relazione tra arte e tecnologia – due ambiti che nell’immaginario collettivo appaiono molto distanti e quasi inconciliabili tra loro – ha, in realtà, origini profonde e lontanissime nel tempo. Fin dall’Età della pietra il rapporto tra uomo e tecnologia ha avuto un ruolo importante nello sviluppo dell’attività artistica, basti pensare che già a partire dal Paleolitico Superiore (40-30.000 anni fa) gli uomini erano in grado di lavorare la pietra per creare strumenti da incisione e utilizzare i pigmenti naturali per decorare le pareti delle caverne dando vita alle prime forme di arte parietale. Da sempre, infatti, gli artisti si sono basati sulle conoscenze tecnologiche e sull’ingegno per trovare i materiali e gli strumenti adatti a esprimere la propria visione del mondo, attraverso opere che sono determinate anche dagli strumenti e dai materiali a disposizione dell’artista e dalla sua abilità nell’utilizzarli e piegarli al proprio intento. Rewild-Protohumans seeding the A.I. by The Curators Milan (PerformIA Festival 2022) Nel corso dei secoli questo rapporto tra arte e tecnologia si è evoluto con maggiore consapevolezza fino ad arrivare al Rinascimento, momento in cui troviamo una sorta di sovrapposizione tra questi due aspetti. Tra gli artisti più significativi in questo senso troviamo Filippo Brunelleschi che sancisce definitivamente il passaggio tra Medioevo e Rinascimento, tra artista artigiano e artista scienziato: la sua opera artistica e architettonica, infatti, può essere letta come una ricerca di carattere scientifico, ed è con lui che il progetto inizia ad avere il primato sulla sua realizzazione. Con Brunelleschi nasce la prospettiva lineare intesa come insieme di procedure e proposizioni di carattere geometrico-matematico dei passaggi che consentono di costruire l’immagine di una figura-spazio tridimensionale su un piano bidimensionale. Altra personalità straordinaria di artista-scienziato, la cui opera è un intreccio tra arte, scienza e tecnologia, è Leonardo da Vinci. Egli mette la sua opera al servizio della conoscenza e della rappresentazione, indaga con sguardo attento, curioso e insaziabile il mondo e la natura, rivoluziona completamente la storia del pensiero e della scienza. Leonardo elabora l’esistenza di un’ulteriore prospettiva rispetto a quella lineare brunelleschiana, la prospettiva aerea, con la quale intende rappresentare il meccanismo della messa a fuoco così come l’occhio umano la percepisce, per cui le figure più lontane risultano più sfocate, riuscendo quindi a restituire la tridimensionalità nell’opera, senza ricorrere alle linee geometriche delle architetture ma sfocando le immagini in lontananza. Da questo principio derivano i suoi studi sulla prima camera oscura da cui secoli dopo, negli anni Trenta dell’800, nasce la macchina fotografica. Questo strumento, estremamente tecnologico per l’epoca, consentiva di documentare e catturare la realtà, e molti pensarono con sgomento che avrebbe sostituito integralmente la pittura. La fotografia in realtà ebbe un effetto propulsivo e andò ad affiancare le arti visive ispirando gli artisti a tecniche pittoriche completamente nuove. Gli artisti tendono ad andare oltre quello che l’occhio vede, superano la realtà per esplorare la percezione visiva come gli Impressionisti che, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, studiano e riproducono gli effetti del movimento e della vibrazione della luce e del colore sulle superfici. La Macchina del Collage by Giuseppe Ragazzini (Performia Festival 2022) Con l’avvento della società industriale, con la fotografia prima e con il cinema e i media poi, l’opera d’arte entra nell’epoca della riproducibilità tecnica. Lo sviluppo tecnologico investe i mezzi di produzione e riproduzione della comunicazione e della rappresentazione, dando vita quindi, a nuove forme di creazione e diffusione del lavoro artistico e a nuove concezioni rispetto alla funzione sociale dell’arte e dell’artista. A partire dal XX secolo, gli artisti sono affascinati dalla tecnologia, la assimilano e la utilizzano nella sperimentazione di nuove forme espressive, in molti casi diviene protagonista e soggetto privilegiato, come nel Futurismo che affonda i suoi principi nell’esaltazione della modernità. Il Cubismo stesso si fa portavoce di una realtà nuova, complessa, disgregata e sfaccettata che non può più essere rappresentata secondo i canonici strumenti pittorici e modalità espressive. L’arte inizia ad assumere su di sé nuovi scopi, passa da una funzione rituale e meramente rappresentativa a esprimere una funzione sociale, politica, dissacratoria, ed è in questo panorama che si colloca il Dadaismo, in cui per la prima volta l’opera è rappresentata da un’idea/concetto e non dà un’immagine. Dalla seconda metà del ‘900, questa complessa e duratura relazione tra arte e tecnologia si fa ulteriormente più stringente: ogni nuovo strumento tecnologico viene usato in ambito artistico con un’apertura verso panorami e scenari estetici sempre nuovi, l’arte contemporanea tende a divenire un tramite, un ponte tra tecnologia e società, con un occhio sempre più attento agli aspetti etici; ed è proprio in questo percorso che si inserisce l’arte generata da Intelligenza Artificiale, che si pone come obiettivo quello di indagare il rapporto tra uomo e società e le sue dinamiche nel contesto dell’evoluzione tecnologica, stimolando il pubblico a riflettere sulla percezione del mondo e di noi stessi. Gli artisti in questo senso fungono da coscienza collettiva, mettono in discussione, analizzano, ci pongono di fronte alle proprie riflessioni coinvolgendo in prima persona lo spettatore che, nella maggior parte dei casi, diviene elemento cardine dell’opera. L’uomo da mero spettatore diviene cioè protagonista e viene chiamato a interagire anche solo attraverso il suo sguardo. L’artista oggi lavora con la tecnologia proprio per darle un senso diverso dalla sua intrinseca finalità tecnica, la usa per definire e potenziare l’Essere , per scuoterci dal nostro torpore, per raccontare e spiegare il mondo in cui viviamo: un mondo così continuamente soggetto a cambiamenti e a trasformazioni tanto veloci e repentine, che quasi non ce ne accorgiamo. [...] Read more...
14 Dicembre 2022Carini e Coccolosi Intervista a Tullo Nanne x MaleDelto di Niccolò D’Innocenti Lunedì blu dall’Ep Coccole e biscotti di Tullo Nanne X MaleDelto 12 minuti. Sono bastati 12 minuti per stupirmi e lasciarmi a bocca aperta. Precisamente la durata dell’Ep Coccole e biscotti di Tullo Nanne X MaleDelto. Quando ho incontrato Nanne in Polveriera e mi ha parlato di questo progetto nato in collaborazione con MaleDelto, ero molto curioso. L’idea di un’intervista ci è sembrata la cosa più ovvia. Pochi giorni prima del nostro incontro ho ascoltato questi 12 minuti divisi in cinque canzoni e, pur conoscendo la musica di Nanne, sono rimasto colpito dalla complessità di questo disco che in pochi minuti riesce a toccare molte corde, non solo musicali, passando dai toni più scanzonati di Troppo cringe e Lunedì Blu, al ritmo e al testo più intimista di Boston George. Già da un primo ascolto, le mutevoli sonorità elettroniche di MaleDelto e i testi incalzanti di Nanne, mi sono entrati in testa e mi sono ritrovato a canticchiarli in vari momenti della giornata. Ho molto apprezzato il sostegno dimostrato all’Occupazione Corsica in Digos Boia e mi sono ritrovato in molte delle parole del disco, che mi risuonano ancora in testa mentre busso alla porta di Nanne. «Come è nato questo progetto, cosa vi ha spinto a produrre questo disco?» «Avevo smesso di fare rap da un po’, poi ho cominciato a uscire con MaleDelto (anche lui presente all’intervista, ndr), che sostanzialmente fa musica elettronica. E fai, non fai, parla, non parla, mi ha girato queste basi un po’ inusuali per i miei standard e rispetto le produzioni che mi faceva Pupet con la Tullo. Mi hanno incuriosito e mi hanno spinto a riniziare a fare musica adottando un personaggio diverso rispetto a quello che poteva essere il mio passato musicale. Anche perché, volente o nolente, siamo cresciuti e abbiamo deciso di uscire dai soliti schemi dell’hip-hop, mischiandolo con l’elettronica, il punk e tutto quello che fondamentalmente ci piace. MaleDelto è un polistrumentista incredibile, suona mille cose e ci siamo contaminati a vicenda. Viene dall’universo Dissidanza, dove è stato per qualche anno. Penso che il rap sia molto più libero adesso, con meno regole e canoni da rispettare. Ci siamo fatti ispirare da vari generi e abbiamo attinto un po’ qua e un po’ là, dalla trap al cantautorato. Comunque senza perdere le radici, anche questo lavoro è stato registrato e masterizzato da Pupet, che è stato fondamentale». «Siamo riusciti a far funzionare base e testo» continua MaleDelto. «Abbiamo lavorato su delle basi che avevo prodotto nell’ultimo periodo, da solo in casa, senza troppo pensare a un eventuale testo da aggiungerci. Musicalmente ho alternato sonorità più ritmate e più “stupide”, come Troppo cringe, ad altre con più pause, più basse come Intro, da fine serata diciamo. Infatti ha un’atmosfera diversa rispetto alle altre canzoni del progetto, è nata con l’idea di essere un break durante un dj set, è molto minimal come beat, molto “bassosa”. Poi Nanne ci ha cantato sopra e il pezzo è saltato fuori. Troppo cringe, invece, è più divertente. Per Lunedì Blu ho usato il piano come accompagnamento e Nanne è riuscito a trovare un testo che rimane molto in testa. Boston George è diversa ancora, ha un testo molto introspettivo e ho cercato di accompagnarlo al meglio. Fra l’altro il loop di sottofondo, una sirena, l’ho campionato da un video fatto mentre la polizia ci caricava durante la manifestazione del 30 ottobre. Ho cercato con l’accordatore che nota era e ci ho costruito sopra tutta la canzone». «Infatti farla live è sempre un casino: senza cariche, sbirri e sirene non so quando attaccare!» ghigna Nanne. «Approfitto per parlare anche di Digos boia che si apre con un saluto e il sostegno a Corsica 81. Anche in questo testo ritorna il tema della disobbedienza». «Penso che la polizia sia lo specchio e il braccio di una repressione molto più ampia, che comprende molti aspetti della vita, non ultimo quello economico. La dedica a Corsica ci sembrava doverosa, visto che l’abbiamo registrata nei giorni dello sgombero e della nuova occupazione sul tetto. Supportare questi spazi in una città come Firenze è fondamentale, senza questo tipo di spazi non sapremmo neanche dove suonare. Ci siamo formati sempre in questi circuiti un po’ fuori dalla legalità, durante Bloc party, taz e situazioni affini». «Pienamente d’accordo. Tornando al disco, come dicevamo prima, si sente una maggiore libertà rispetto ad altri tuoi lavori precedenti». «Ho scritto i testi già pensandoli sulle basi di MaleDelto, senza dover cercare uno schema o una metrica prettamente rap. È nato con l’idea di live, per questo dura 12 minuti, per non rompere i coglioni!» «Anche il flusso creativo per le basi» spiega MaleDelto «è stato molto libero. Mi sono uscite tutte più o meno negli ultimi sei mesi. Quando mi viene un’idea mi metto al pc e inizio a lavorarci, magari parto da qualcosa per arrivare totalmente da un’altra parte, come spiegavo prima per l’Intro: nata con l’idea di essere un break durante un dj set, è diventata una canzone. Un po’ per caso come per Digos boia, uscita mentre registravamo da Pupet: gli abbiamo chiesto di fare una strofa ed è diventato un featuring. Lunedì blu invece l’ho pensata subito come una pezzo da cantarci sopra». «Quando uscirà il disco?» «Il disco uscirà su Spotify inizio anno nuovo» spiega Nanne «ma intanto lo presenteremo al Fermino il 15 dicembre (domani, ndr) e da Ninotchka più avanti. In più il 19 gennaio inaugureremo una serie di serate al Combo a tema hip hop. E continueremo a suonare a tutti i bloc party e le feste che troveremo! Concludendo vogliamo ringraziare il già citato Pupet per rec, mix e master e la Bucci per il video Lunedì blu». [...] Read more...
8 Dicembre 2022PerformIA Culture Puntata 0 Compiamo oggi un ulteriore passo nella collaborazione tra PerformIA e l’associazione Three Faces, nata lo scorso settembre. PerformIA è il festival dedicato alle possibili espressioni di arte e Intelligenza Artificiale che unisce in un laboratorio creativo, artisti di varia estrazione e data scientists per creare prototipi e opere in cui il genio umano viene amplificato dalla tecnologia. L’evento rientra nella missione di diffusione della cultura dell’innovazione da parte di Polaris Engineering Spa – partner tecnologico per la digitalizzazione delle imprese in chiave X.0 – che ne è organizzatrice e promotrice. Siamo quindi lieti di entrare nel vivo del nostro progetto a quattro mani presentandovi PerformIA Culture, rubrica che nasce sulla scia dell’interesse generato dal Festival PerformIA e che ha come scopo quello di andare a indagare le relazioni e i rapporti che intercorrono tra la tecnologia e l’arte, tra innovazioni tecnologiche, Intelligenza Artificiale ed espressione artistica. Il Festival conta ad oggi sulla collaborazione di cinque realtà, tra artisti e gruppi di artisti, che hanno sviluppato e stanno lavorando su prototipi nati da vari background: De_Sidera di Nàresh Ran e AION Collective – PerformIA Festival 2022 La Macchina del Collage è la creatura di Giuseppe Ragazzini, artista visivo e pittore, in grado di generare tramite algoritmi AI collage di volti umani a partire da un database di immagini, mixando le singole parti del volto umano, mantenendone dimensione, proporzione e posizione e dando alle opere finali una firma artistica unica; De_Sidera è il progetto nato con Nàresh Ran e sviluppato insieme ad AION Collective, un astrolabio intelligente in grado di riconoscere e far suonare le stelle della volta celeste in un concerto perpetuo, associando a ciascuna di esse una frequenza selezionata dal proprio database, da cui l’Intelligenza Artificiale attinge per prendere parte alla sinfonia; MetaMoreFaces è la performance della compagnia teatrale Interazioni Elementari, che sfrutta un algoritmo AI per generare video che mostrino lo scorrere del tempo sul volto degli attori, in modo da accompagnare i monologhi come scenografia dinamica espressiva; REWILD: PROTOHUMANS SEEDING THE A.I. è la new entry del collettivo artistico The Curators Milan, i quali puntano l’attenzione sul tema del cambiamento climatico e chiedono all’Intelligenza Artificiale di mostrarci attraverso video e istallazioni artistiche come sarebbe la Natura pura e incontaminata e quale sarà, invece, lo scenario futuro se l’intervento dell’uomo continuerà a compromettere l’equilibrio naturale della Terra. Queste sono solo alcune delle possibili espressioni del connubio tra arte e tecnologia che abbiamo esplorato attraverso il Festival PerformIA e che riprenderemo all’interno di un percorso più ampio nella rubrica PerformIA Culture. Vedremo come due mondi, apparentemente lontani e inconciliabili, così distanti non lo siano affatto, anzi trovino il modo di dialogare tra loro generando esiti sorprendenti e inaspettati. Nella storia, la categoria degli artisti si è mostrata una delle più ricettive ai cambiamenti, alla dinamica evolutiva della società e ha sempre guardato con grande interesse all’innovazione e alla scienza, come punto di partenza per nuove riflessioni, per nuove forme di espressione e di riproduzione della realtà. Allo stesso modo, l’artista contemporaneo recepisce le tecnologie e in particolare gli algoritmi di intelligenza artificiale, come fonte di ispirazione, come stimolo per cercare strumenti da utilizzare all’interno del proprio processo creativo aprendosi a scenari estetici completamente nuovi. REWILD: PROTOHUMANS SEEDING THE A.I. di The Curators Milan – PerformIA Festival 2022 Andremo ad analizzare nello specifico quali sono gli algoritmi che utilizzano gli artisti e in particolare le GAN (Generative Adversarial Network), il loro meccanismo e il motivo per cui siano così attratti da questa coppia di reti neurali che si presta a innumerevoli interpretazioni creative e che li sollecita nel profondo, proponendosi talora come strumento di riflessione sul proprio lavoro, talora come nuovo punto di partenza per elaborare qualcosa di completamente diverso. Vedremo come la tecnologia investe il modo dell’arte anche nei luoghi convenzionalmente deputati alla sua fruizione; infatti gallerie, musei e spazi espositivi, stanno adottando sistemi informatici sempre più complessi per garantire una user experience capace di abbattere quanto più possibile le distanze tra spettatore e opera d’arte. Le visite interattive e virtuali sono sempre più diffuse e il visitatore viene coinvolto secondo un principio immersivo che gli garantisce un accesso diretto e una visione gratificante delle esposizioni. A conclusione del nostro percorso andremo a osservare come l’arte sbarca nel mondo digitale attraverso gli NFT (Non-Fungible Token), dando vita alla NFT Art – una forma espressiva completamente nuova che passa attraverso file audio, video, immagini certificate tramite la tecnologia blockchain che ne garantisce autenticità e unicità – e come gli artisti aprano i loro spazi espositivi all’interno del Metaverso cambiando il modo di coinvolgere il pubblico. Un coinvolgimento che avviene non solo attraverso esperienze puramente visive, ma per una vera e propria richiesta di partecipazione diretta dello spettatore che diventa elemento integrante dell’esibizione e, ovunque si trovi, parte della storia. [...] Read more...

 


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