Three Faces

La terza faccia della medaglia

Super Kevin e la grande battaglia dei sogni infranti, un racconto di F. Bordonali || Street Stories


Super Kevin e la grande battaglia dei sogni infrantiSuper Kevin e la grande battaglia dei sogni infranti

Un racconto di Francesca Bordonali

Illustrazione di Elisa Buracchi

 

Immaginate un ragazzino di undici anni: la pelle chiarissima, i capelli rossi e ricci in disordine sopra una nuvola di lentiggini che gli ricopre naso e guance. Lui è Kevin. Kevin faceva tutto quello che si addicesse agli undicenni: mangiava i cereali, andava a scuola, giocava a pallone con gli amici, leggeva i fumetti, guardava i cartoni e fantasticava, disteso sul prato con la testa fra le nuvole. Una vita normale per un ragazzino normale.

Ma Kevin aveva un super potere. Ok, forse non era gran che, ma ogni giorno faceva gli esercizi per potenziarlo. Era sicurissimo di aver visto quella foglia muoversi a un suo pensiero. O forse era stato il vento. E poi c’era stata quella volta in cui aveva usato il potere della mente per costringere sua madre a fare quello che voleva lui. Anche se poi si era trovato a dover riordinare tutta la cameretta. Per non parlare dei pesi incredibili che era in grado di sollevare. Era arrivato almeno fino a cinque libri e tre quaderni nel suo zaino, e non dimentichiamoci dell’astuccio colmo di matite.

Ok, forse Kevin non aveva nessun super potere, ma per lui non aveva importanza. Era convinto che un giorno avrebbe salvato il mondo, o qualcuno di famoso, o qualcuno a lui caro o forse solo se stesso.

Non aveva ricevuto la sua lettera da Hogwarts e il suo undicesimo compleanno era ormai passato da tre lunghi mesi. Aveva aperto più volte l’armadio, ma non vi aveva mai trovato un’entrata per Narnia: solo i suoi vestiti. Non viveva in nessun mondo distopico in cui l’unica speranza di salvezza era che lui si mettesse a capo di una rivoluzione. Non possedeva oggetti con poteri speciali e nessuno aveva fatto esperimenti su di lui per potenziare il suo organismo. Non importava: dopo tutto anche Iron Man e Bat Man non avevano nessun super potere, e Peter Parker era molto più grande di lui quando era diventato Spider Man.
Una volta, quando era piccolo, aveva ingoiato un ragno per vedere se gli avrebbe trasmesso i suoi poteri. Lo vomitò assieme al pranzo e, anche quella volta, niente super poteri. Forse il problema stava nel fatto che il ragno non fosse radioattivo. Ma di reattori nucleari nel suo quartiere non ce n’era neanche l’ombra. Ne era sicuro perché aveva controllato su internet. Un’altra volta aveva provato a verificare se fosse in grado di volare: si era legato un mantello lucente al collo e era saltato giù dal balcone del quarto piano. Ok, non era un mantello, ma una vecchia tovaglia e sua madre l’aveva fermato prima che saltasse. Dopo tutto anche quella volta che aveva inciso la stella di Capitan America sul coperchio nuovo della padella sua madre non era stata in grado di capire il talento del figlio.

Viveva ogni giorno in attesa che si manifestassero i suoi super poteri. Ormai era da tempo che non bagnava più il letto ed era successo più volte che gli sanguinasse il naso a scuola; il momento era vicino, ne era sicuro.

Quel giorno Kevin si stava arrampicando su un albero nel cortile della scuola durante la ricreazione. Non stava giocando, è chiaro, stava mettendo alla prova la sua super agilità. Il test stava procedendo bene quando, dalla sua posizione privilegiata, vide qualcosa di terribile e allo stesso tempo bellissimo. Un ragazzo di due anni più grande aveva preso di mira un ragazzino esile e occhialuto. Lo stava strattonando facendolo cadere a terra e lo insultava.

Kevin era indignato ma era felice che vi fosse l’occasione per un nuovo test. Decise che quello era il momento di verificare se il suo potere fosse quello di avere delle spiccate doti di combattimento o la super forza. Saltò giù dall’albero con un balzo. Corse incontro al bullo e lo afferrò per la giacca, distraendolo dalla sua preda. Raccolse tutte le sue forze e lo spinse a terra. Ok, non andò a terra, ma lo spinse. Un colpo dopo l’altro affrontò il malfattore rivoltandolo come un calzino. Schivava i suoi colpi con grandiosa agilità e ricambiava con attacchi precisi ed efficaci. Continuarono a lottare finchè il bullo non fu a terra a implorare la pietà di Kevin. Decise di non finirlo, dopo tutto lui era uno dei buoni. Di questo combattimento epico si sarebbe parlato per molto tempo, forse anche per settimane.

Ok, forse non andò esattamente così. Forse Kevin dovette fare un po’ più di fatica e usare l’astuzia per vincere contro quel bruto. Forse era Kevin a essere a terra, ma almeno si era fatto
valere. Il fiato era spezzato dai colpi che aveva ricevuto allo stomaco, la testa dolorante per quel pugno in un occhio. Ok, forse non si era fatto valere come si aspettava. Forse non ne era capace.

Kevin realizzò in quel momento che non aveva nessun super potere, non poteva salvare il mondo, non poteva salvare nessuno, non era neanche in grado di difendere se stesso da un ragazzo poco più grande di lui. Le lacrime iniziarono a scendere accarezzando le sue lentiggini e andando a mischiarsi con la terra su cui poggiava il suo volto ferito e umiliato. Sarebbe rimasto lì per sempre a crogiolarsi nel suo dolore, nessuno avrebbe potuto impedirglielo.

Sentì dei passi verso di lui, alzò gli occhi colmi di lacrime e vide una manina bianca protesa. Una bambina più piccola che aveva assistito alla scena lo voleva aiutare a rialzarsi. Si mise in piedi rifiutando il suo aiuto e fece tutto il possibile per smettere di piangere, con scarsi risultati.

Dietro di lei il ragazzo timido e occhialuto che era stato vittima del bulletto si avvicinò a Kevin guardando per terra. «Grazie».

Dopodichè corse via.

La bambina continuava a fissarlo con occhi preoccupati. «Stai bene?»

«C-c-credo di si». I pugni gli avevano spezzato il fiato. Kevin sentiva male alle costole e all’occhio destro ma tutto sommato era ancora intero. Era persino riuscito a diminuire la quantità di lacrime che sfuggivano dai suoi occhi.

«Bene, credevo ti avesse ucciso». Si fece tutta rossa e abbassò lo sguardo. «Sei stato un vero eroe».

Poi come era comparsa se ne andò.

Kevin rimase lì immobile, una mano sulle costole doloranti e lo sguardo perso nel vuoto, a pensare alle parole di quella bambina e a tutto ciò che gli era appena successo.

Più ci pensava, più il dolore gli sembrava diminuire fino a scomparire. Si sentiva più forte, più alto, più grande, più consapevole. In una parola: migliore.

Ora Kevin ne era sicuro: lui era davvero un supereroe.

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