Three Faces

La terza faccia della medaglia

Sul perché va tutto a puttane, un articolo di S. Piccinni || Three Faces


Sul perché va tutto a puttane

La Rosa dei Venti

di Simone Piccinni

Sul perché va tutto a puttane, un articolo di S. Piccinni Three Faces, Tempesta TS

Premessa

Sono perfettamente consapevole di non essere nessuno: dal punto di vista accademico ho la stessa autorevolezza di un fermacarte o di una scimmia ubriaca. Non ho la presunzione di avere la verità in tasca, né la volontà di insegnare niente a nessuno (devo ancora capire come gestire al meglio quel casino infernale che è la mia vita…). Quello che ho è una – carente, per carità – preparazione sociologica derivante dai miei studi, oltre a una innata passione per l’osservazione delle dinamiche sociali e delle stranezze che queste generano. E, per quanto vale, anche qualche anno di contatto con una piccola nicchia culturale, quella letteraria ed editoriale, grazie all’esperienza con Three Faces e StreetBook Magazine.

Ciò che sto per fare è tentare di buttare giù alcune considerazioni sulla società, considerazioni che covo da qualche anno, in modo da gettarle in pasto alla rete, solo per fornire uno spunto di riflessione. Oppure semplicemente per regalarvi l’occasione di darmi del coglione. E ‘sticazzi.

Introduzione: Viviamo in un periodo storico paradossale

Rispetto al passato l’istruzione è diventata un qualcosa di massivo, portando a sempre maggiori possibilità di accesso a formazioni di alto livello. Anche grazie a questo moltiplicarsi di teste pensanti e competenti, le scoperte tecnologiche, scientifiche, cognitive e umanistiche hanno raggiunto picchi mai toccati, aprendo porte potenzialmente inimmaginabili fino a solo 50/100 anni fa. E questo è successo pressoché in ogni singolo ambito dello scibile umano.

Se a questo si aggiunge la potenza comunicativa e la facoltà di azzerare le distanze geografiche nella trasmissione di informazioni che abbiamo a disposizione grazie a Internet, oltre alla sempre crescente possibilità di contatto e cooperazione internazionale in ambito accademico, dovremmo avere in mano tutti gli strumenti per progettare e realizzare la società perfetta. Saremmo, in teoria, quasi pronti a rendere realtà l’Utopìa immaginata da Thomas More.

In teoria.

Nella pratica il quadro è ben diverso: stiamo procedendo all’indietro come dei cazzo di gamberi, ma con tutta l’arroganza e la presunzione di cui solo l’essere umano è capace. Così, tanto per fare alcuni esempi ad minchiam:

1. mettiamo in dubbio certezze scientifiche ultracentenarie basandoci su ciò che vedono i nostri occhi dalla loro ristretta prospettiva, rafforzando il tutto con tesi ispirate da videogame degli anni ’80;

2. disconosciamo valori umani basilari e innati come la solidarietà e il soccorso in caso di pericolo di vita, in nome di strampalate strategie politiche basate su paure create ad arte per consolidare posizioni di potere a breve termine;

3. ignoriamo e, in alcuni casi, neghiamo la nostra responsabilità diretta nella distruzione dell’ecosistema che ci ospita, anche a fronte dei sempre più pesanti segnali che lo stesso ci manda, minacciando la nostra stessa sopravvivenza, solo per preservare un sistema economico fallato come il capitalismo;

4. continuiamo a vivere nella minaccia costante di nuovi conflitti mondiali nonostante il ricordo ancora fresco di ben due esempi giganteschi distanti meno di un secolo;

5. siamo sempre più connessi l’un l’altro, o almeno ne abbiamo sempre più possibilità, eppure ci sentiamo sempre più soli e isolati, sviluppando nuovi disturbi e disagi per poi curarci poi con farmaci che azzerano porzioni dei nostri cervelli…

…e potrei andare avanti per due giorni, ho preso solo i primi che mi sono venuti in mente.

Siamo una civiltà devastata e devastante, nonostante il bagaglio di conoscenze in nostro possesso già disponibile e pronto all’uso. Abbiamo l’esperienza storica per tentare nuove strade, evitando gli errori passati. Abbiamo le tecnologie per provare a migliorare le nostre vite e rimediare ai danni pregressi. Perché allora ci siamo ridotti così?

Punto di partenza

Il cambiamento potrà iniziare solo se una gran parte della nostra civiltà prenderà coscienza dell’indispensabile necessità di un cambio di rotta, esercitando poi una pressione sempre più forte e non ignorabile su chi guida la nostra società. È impensabile e ingenuo credere che una volontà del genere parta da chi ha raggiunto una posizione predominante, che comprende una quantità enorme di privilegi, soprattutto se questo cambiamento va in contrasto con i propri interessi.

Ma come realizzare la prima condizione? Eh, è qui che casca l’asino, considerando l’arroganza dell’uomo moderno, superficialmente istruito e profondamente individualista, che costituisce la massa del mondo civilizzato…

Sul perché va tutto a puttane, un articolo di S. Piccinni Three Faces, La Rosa dei VentiTesi

Nella mia personale visione delle cose, immagino la società contemporanea come una Rosa dei Venti (…e no, non sono sotto acido…). Proverò a spiegare il senso di quest’immagine per chiarire meglio cosa intendo.

Il nucleo centrale, quello da cui partono le varie punte, rappresenta ed è composto dalla massa, il popolo, con le caratteristiche cui facevo riferimento poco fa. Questa è mediamente istruita, in vario grado a seconda della distanza dal centro: ha un’infarinatura generale su un po’ tutto, oltre alla possibilità di informarsi sommariamente attraverso internet, pur non avendo spesso le competenze specifiche per distinguere la veridicità e precisione delle fonti da cui attinge. Si è quindi facilmente influenzabili: basta una buona campagna comunicativa per convincere o indirizzare queste persone, che saranno però convinte di sapere abbastanza su un argomento, avendo letto un paio di articoli sul web o riciclando l’opinione di qualche soggetto X, per affermare la propria opinione. E questo, potenzialmente, può condizionare altri membri dello stesso nucleo, rendendo il tutto molto fluido e volubile. Ma è questa la zona fondamentale: ne facciamo parte tutti, chi più chi meno. Non esistono, o sono comunque rarissimi, i veri “tuttologi” che si elevano totalmente da questo nucleo, uscendone… Ma andiamo avanti, sennò mi perdo io e vi perdete pure voi.

Ecco, le punte della Rosa dei Venti invece rappresentano i vari campi della conoscenza umana. Queste sono composte, in ordine crescente, dagli studiosi, dagli accademici, dagli specialisti e infine dai luminari delle molteplici discipline sulle quali si basa la nostra organizzazione sociale: una punta, una disciplina, tanto più approfondita quanto più ci si avvicina all’estremità della punta, che rappresenta il picco massimo della conoscenza disponibile sulla materia fino ad ora.

Qual è la tendenza più immediatamente visibile? Che le punte, sviluppandosi e allungandosi, aumentano la distanza che le separa dalle altre (oltre ovviamente a quella che la separa dal nucleo centrale). Questa distanza, per come la vedo, è costituita da vari elementi, come ad esempio: i diversi linguaggi usati; i differenti approcci e metodi, peculiari delle varie discipline; le molteplici tipologie di menti, di ragionamenti, di predisposizioni intellettive, insomma tutte quelle caratteristiche cognitive che permettono di padroneggiare completamente un argomento; la convinzione che l’oggetto della propria curiosità, che diventa la propria ragione di vita, sia la più importante e centrale al mondo, sminuendo di rimbalzo gli altri. Tutto questo porta alla conseguenza che ognuno di questi campi diventi una specie di bolla a sé stante, con scarsa interazione – o comunque insufficiente – tra le varie discipline, se non tra quelle naturalmente complementari. Ma, soprattutto, si distacca sempre più dal nucleo, rendendosi sempre più incomprensibile e inaccessibile ai più.

Quest’ultimo punto è inevitabile e naturale: per raggiungere l’estremità occorre dedicare l’intera esistenza allo studio e all’approfondimento di una materia quindi, visto che abbiamo un tempo limitato da vivere, va fatta una scelta netta per quanto riguarda il proprio obbiettivo. Ed è altrettanto naturale che la maggior parte di noi non voglia fare una scelta così drastica, considerando la vastità di argomenti e di stimoli che ci circondano. Inoltre, data la complessità e la profondità del livello raggiunto nelle varie discipline, è chiaro che ogni materia necessiti di un proprio linguaggio specifico ad uso pressoché esclusivo dei vari attori molto addentro alla disciplina. Linguaggi, quelli specialistici, che spesso risultano appunto inaccessibili al nucleo della nostra Rosa. È normale sia così. Capita a volte, però, che queste élite settoriali non si curino troppo di rendere i propri avanzamenti comprensibili e fruibili dal resto del mondo, limitandosi al dibattito accademico o alla propria nicchia di mercato o di seguaci, arroccandosi nell’estremità della propria punta.

In alcuni casi poi, da parte degli esperti, si nota un certo snobbismo verso le masse, che può sfociare nell’ironia o nel disprezzo (alla Burioni, per intenderci, o a chi invoca l’abolizione del suffragio universale – idea che, per onestà intellettuale, ha toccato anche me di tanto in tanto –, per buttarla più sul generale), con la reazione dall’altro lato della diffidenza, dell’indifferenza o, peggio, nel risentimento e nel rigetto (“è arrivato il professorone…”, “questo lo dice lei…”). Questo determina una distanza, crea un muro, tra i detentori del sapere reale e la gente comune, che quindi sviluppa l’istinto a fottersene completamente di millenni di studi e prendere per vera qualsiasi cazzata letta o sentita, basta che sia in linea con le proprie convinzioni o intuizioni.

È questo, credo, il problema fondamentale: l’incomunicabilità. Incomunicabilità cui si aggiunge il famoso effetto Dunning-Kruger, ossia quella distorsione cognitiva che rende incapaci le persone, in assenza di una profonda formazione, di rendersi conto dei propri limiti ed errori e, al contrario, porta chi ha competenze a svilirsi e a diminuire la propria autostima.

Esiste una possibilità di superare questa impasse? Spero di sì, ma il nucleo dovrà sforzarsi di avvicinarsi alle punte, altrimenti rimarremo perennemente in questa dinamica umana a due velocità.

In questo processo una responsabilità abbastanza fondamentale ce l’hanno gli attori della comunicazione (media, operatori culturali, divulgatori, ecc.ecc. – per non parlare poi della scuola, che meriterebbe un capitolo a parte) che, secondo il mio punto di vista, rappresentano una sorta di ideale corona che racchiude il nucleo della Rosa dei Venti, proprio dove iniziano le varie punte. Questi, a mio parere, dovrebbero studiare e formulare strategie e tecniche per rendere i vari contenuti culturali più attrattivi e interessanti, in modo da catturare l’attenzione dei più. D’altra parte, come fai a far appassionare un bambino alla lettura se gli metti direttamente in mano Il pendolo di Focault? È lampante che questo non ci capirà una mazza e si annoierà dopo mezza pagina per tornare a giocare ai videogame… Conviene allora iniziare da qualcosa più alla sua portata, coinvolgendolo gradualmente nel piacere che ne deriva, per poi alzare il tiro. Ecco, questa lettura iniziale va scritta e divulgata il più possibile, per ogni campo esistente. O almeno questo è il mio modestissimo parere.

Conclusione

Riallacciandomi alla premessa: non ho la presunzione di fornire alcuna conclusione. Nel mio piccolo continuo ad impegnarmi con Three Faces nel portare avanti il nostro progetto, rivolto ai ragazzi, di avvicinamento alla lettura e alla cultura nella speranza che funga da stimolo e fornisca le basi per un innalzamento cognitivo, ben cosciente che il processo sia fottutamente lungo e impervio.
E, nel mentre, siedo sulle rive del fiume… non aspetto però cadaveri galleggianti (oddio, se nell’attesa poi ne passano un paio specifici non è che mi lamenti). Piuttosto attendo di capire se c’è veramente la possibilità di un cambio, o almeno una volontà di andare nella direzione giusta.

In alternativa, farò il tifo per un asteroide che ci stermini. O anche una sana epidemia può andare…

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Un commento su “Sul perché va tutto a puttane, un articolo di S. Piccinni || Three Faces

  1. Ti incollo qui sotto una risposta a un email che rimandava a un appello di un gruppo verde, ma che accenna anche un po’ a dei problemi che hai citato nel pezzo qui sopra.
    Che ci sia uno spazio politico per i verdi è indubbio. L’esistenza di una crisi climatica è argomento diffuso e accettato tanto che il capitale lo sta vedendo come nuovo terreno di estrazione. Il tema ha dalle sue anche il coinvolgimento alla politica dei giovani e degli adolescenti. Ma il tutto può prendere una deriva “riformista” per questo è urgente riempire di contenuto lo slogan che dice che senza cambiare il sistema l’ambientalismo sarebbe soltanto giardinaggio. Occorre mettere sempre di più in evidenza che la causa antropocenica è questo sistema di produzione scoprendo i meccanismi e le connessioni più recondite. Serve una critica del capitale e del paradigma cognitivo su cui si basa. Anche una critica degli assiomi scientifici utilitaristici e quindi un ripensamento della tecnoscienza per un mondo collaborativo e non competitivo che poi si chiami comunismo o no la cosa è poco importante.
    Il concetto scifi di terraformazione (la modifica dell’habitat di pianeti alieni per renderlo umano-compatibile) è un concetto sdoganato ed è applicabile su scale diverse anche ad altri ambiti: la rimodellazione del genoma umano che può passare per più strade. Vedi il progetto neuralink di Elon Musk o la tecnologia crispr. Il fatto che esseri senzienti siano diventati portatori di bufale e complottiste è anche perché le spiegazioni date finora del mondo e delle sue leggi interne non si sono rivelate soddisfacenti a giustificare lo sfascio diffuso. A un entusiasmo vitalistico che culmina con gli anni 70 del secolo scorso, è lentamente sopravvenuto prima il manierismo edonistico degli anni 80, poi le crisi e lo sconforto diffuso. Prima di ogni altra cosa occorre uscire dalla depressione diffusa e convincerci e convincere tutti che un altro mondo è possibile e lo si può iniziare a fare cominciando a tracciarne le coordinate.
    Scusate i pipponi da falso profeta, ma a me pare a volte che anche noi ci intortiamo sopra le apparenze, sopra le manifestazioni più visibili, sopra le conseguenze trascurando le cause. Contestiamo i corollari e non aggrediamo gli assiomi. È come se la critica al sistema fosse un macro ambito con una serie di rivoli disciplinari non comunicanti ma anzi in lotta per l’egemonia.
    Il movimento degli anni 70 conteneva tante cose contro il sistema che in Italia furono egemonizzate dal paradigma materialistico dialettico che funzionò da collante per i due soggetti principali delle lotte: i giovani studenti ed operai. Era anche la generazione boomer e quindi quella più numerosa, ma fu egualmente sconfitta. Le istanze rimaste in secondo piano segnarono allora la scissione tra “materialismo” e “spiritualismo zen”: Quest’ultimo ha sempre avuto dentro di sé una componente irrazionale nel senso che si opponeva alla ratio occidentale. È da questo filone che vengono fuori anche le ideologie complottiste, la critica alla medicina occidentale la cui colpa non era però la ratio intrinseca, ma quella dell’utilitarismo capitalista. Alcune delle mie compagne degli anni 70 non sono militanti no vax, ma sono molto vicine a quei discorsi. Tutto il processo del lockdown è stato per qualcun* insopportabile. Per alcun* economicamente, per altr* psicologicamente tanto che se si è o ci si reputa soggetto non fragile, è per loro meglio sfidare la sorte.
    Se non vogliamo inventarci noi un complotto per il quale una grossa fetta degli umani è impazzita, dovremmo darci altre spiegazioni. Che poi la scolarizzazione allo sfascio e il diffondersi dell’analfabetismo funzionale siano fatti concreti è anche questo indubbio, ma questo significa che non ci sono più spazi aletheici, Spazi dove formarsi un’opinione, spazi critici e dialogici. spazi di scambio non mercantili dove fare circolare le idee e non le merci, Spazi morfogenetici di etiche ed estetiche per il domani.

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