La street art senza regole di RUN (parte 1), un’intervista di G. Silvestrelli || THREEvial Pursuit


La street art senza regole di RUN

Intervista di Giorgio Silvestrelli

Parte 1

Run Sheffield
RUN – Sheffield, 2022

Più passano gli anni e più mi trovo a voler approfondire e indagare quelli che sono stati i primi passi della street art in Italia. Sarà che mi sto facendo vecchio anche io, ma farmi un viaggetto nei “good old days” è sempre un’esperienza straordinaria. Con questo folle desiderio ho contattato un mio illustre compaesano, Giacomo Bufarini a.k.a. RUN, che da oltre 20 anni dipinge muri (e non solo). Preparatevi quindi per una corsa a perdifiato tra presente, passato e futuro grazie alle parole rilasciate da questo veterano dell’arte di strada. Pronti? Avete allacciato bene le scarpe? Si va!

Giorgio Silvestrelli: Ciao RUN, come stai? Facciamo la presentazione ufficiale. Dicci chi sei e cosa fai.

RUN: Mi chiamo Giacomo e finalmente mi danno l’opportunità di dire la mia. Come quasi tutti gli esseri umani ho amato disegnare fin da bambino, non mi sono inibito in questa attitudine col crescere e ho continuato a creare con la matita, fino ad oggi. Quindi vivo per dipingere e dipingo per vivere. Il fatto di portare avanti questa missione, che è quella di fare arte e di essermi creato un personaggio con un nome fittizio, mi fa sempre sentire bambino. Mi dà la speranza che io possa fare qualsiasi cosa e arrivare dovunque. È come una forza che viene da dentro e manda avanti i motori con una forte energia. L’energia si trasforma e diventa arte.

RUN pescara 2022
RUN – Pescara, 2022

GS: I fatti non possono smentirci perché, a tutti gli effetti, sei uno dei pionieri della street art in Italia. Ma prima di passare a questo argomento ti chiedo le tue origini artistiche.

RUN: Pioniere mi sembra un po’ come dire che sono un dinosauro. Uno non estinto spero (ride, ndr)! Io mi reputo in realtà un autodidatta, nel senso che ho imparato facendo e osservando. Sono stato fortunato, ho avuto una famiglia molto creativa. Mi ricordo mia madre che dipingeva per il suo negozio. Lei è un’artigiana e/o artista. Ho la memoria dei pennelli messi a lavare di fianco alle stoviglie in cucina, oppure certe volte sul tavolo da pranzo erano stesi delle porte o dei tessuti che lei decorava. Lei mi ha insegnato tantissime cose. Per esempio usava gli stencil, con cui faceva ripetizioni di immagini creando delle cornici intorno alle pareti delle stanze per i suoi clienti.

Poi crescendo da adolescente ho conosciuto i graffiti ed è stato come essere colpito da un fulmine. Era una passione, un’ossessione, un amore nuovo. Li guardavo in giro (ce n’erano pochi al tempo) li guardavo nelle riviste di skateboard o in alcuni rari film. Sono originario della provincia di Ancona, sul mare. Lì c’era una cultura enorme e fortissima di hip hop e tutte le sue derivazioni (break dance, rap, e graffiti).

Nel ’94 e ’95 è stato fatto un enorme festival di graffiti ad Ancona (Juice) per cui arrivarono artisti da tutta Europa e anche i più forti e famosi del tempo… Mode2 da Parigi, Ska di Milano (TDK) vari riminesi come Eron e Rok e molti, molti altri. Era incredibile, era come essere nel fulcro di quella cultura così fresca e creativa. Era una bomba, era pura eccitazione e fermento. Elettrizzato dalla mattina alla sera andavo solo pensando al giorno dopo e a quello che avrei disegnato.

Però devo dire che il mondo dei graffiti mi è sempre stato ostile. Non ci sono mai arrivato ad essere un graffitaro rispettato, c’era talmente tanta competizione, stili e politiche, e io ero un frikkettone in confronto (ride, ndr). In fondo credo che, tutto quello che ho fatto nella vita e che continuo a fare, lo faccio da outsider da diverso. Non mi sono mai sentito a mio agio a mettermi un’etichetta o una definizione in quello che faccio. Ci ho messo tantissimo a definirmi artista. Prima era tutto un mugugnare parole parallele come illustratore, grafico, scenografo. Poi a un certo punto ho tagliato la testa al toro e ho accettato il termine. O al limite ripetevo, e dico ancora, “lavoro con l’arte”.

GS: Per quanto riguarda i graffiti, segui ancora il movimento? Che idea ti sei fatto sull’attuale scena italiana e globale?

RUN: Seguo il “movimento” con gli occhi, nel senso che li guardo, li osservo sempre e li uso per orientarmi quando sono in una città nuova, che non conosco. Ma non so molto a riguardo.
Posso dirti che nei paesi dove c’è stata meno repressione contro le scritte e le tag, i writers hanno avuto l’opportunità di sperimentare e migliorare il loro stile e la loro personalità in quel tipo di arte.

the thinker child RUN
The thinker child – RUN – Croydon, 2018

GS: Vuoi raccontarci un aneddoto a cui tieni particolarmente di quel periodo storico?

RUN: Una volta ho detto una piccola bugia a mia madre e ho bigiato la scuola. Con un compagno di banco e writer (Blast) siamo saltati su un treno per Roma. Suonavano i Rage Against The Machine al Villaggio Globale, il biglietto del concerto costava 5 mila lire. Quella sera ha diluviato e c’era talmente tanto fango e acqua che il concerto è stato cancellato. Così, con le persone che ci ospitavano nella Capitale, siamo andati a dipingere vagoni della Metro B.

Devo ammettere che è stato super eccitante e non lo scorderò mai. Io non ero un campione di scritte su vagoni, mentre la gente che era con me lo faceva tutte le sere. Conservo ancora una foto della Metro dipinta. Al tempo scrivevo PAC, ma ho dovuto firmare DOZ che era un’altra mia tag. Questo perché a Roma c’era già una crew che si chiamava PAC quindi non potevo sfidarli cosi. Sono le politiche e le leggi della strada!

Poi un’altra volta, un poliziotto in borghese mi diede uno schiaffone in faccia. Ero in un sottopassaggio nel mio paese. Terrorizzato, avevo 13/14 anni, era la prima volta che venivo beccato. Forse è stata anche l’ultima perché poi ho smesso di fare cose di nascosto e mi sono dedicato ad altro. Io non sono mai stato un writer, non so usare le bombolette, non ci ho mai provato tanto in realtà.

GS: Al giorno d’oggi, secondo te, i graffiti mantengono intatta la loro forza di arte/cultura controcorrente?

RUN: Controcorrente in che senso? I graffiti ci sono sempre stati (dagli anni ’70/’80) ma nel 2022 non credo si possano definire “controcorrente”. I graffiti sono un’arte che viaggia su di un binario e non si mischia con il resto, non tende la mano ad altro. Sono chiusi in sé. Io amo i graffiti, li guardo sempre e noto chi li ha fatti, il nome, lo stile ma non ho mai avuto pieno accesso in quel tipo di cultura. Credo di essere sempre stato un outsider in ogni tipo di gruppo/cultura/religione.

GS: Dai graffiti alla street art. Vuoi raccontarci, dato che lo hai vissuto sulla tua pelle, questo importante cambiamento nel mondo dell’arte contemporanea?

RUN: Dai Graff alla street art credo che il passaggio sia stato questo: gli artisti più timidi e maldestri o più strani, quelle persone che non entravano nel vestito stretto del’hip hop, che non volevano solo scrivere il loro nome a ripetizione hanno deciso di esprimersi, sempre all’aria aperta (come i graffers), inventando un linguaggio personale. Così è nata la street art ed è nata, diciamo, senza regole.
Invece i graffiti ne sono pieni (di regole). La street art è senza regole, ecco cos’è il passaggio, o la differenza tra questi due linguaggi che hai citato.

RUN rovigo 2021
RUN – Rovigo, 2021

GS: Ci piacerebbe se ci raccontassi un po’ l’atmosfera di quei primi anni del 2000. Facci fare un tuffo nel passato!

RUN: Tutto, a livello di arte, per me si svolgeva nei centri sociali, oppure per strada, oppure in case e fabbriche abbandonate in campagna o periferia. I CSA (Centri Sociali Autogestiti) erano una valvola di sfogo incredibile. Si poteva fare di tutto, o quasi, e si dipingeva sempre intorno a situazioni belle con gente creativa intorno. Io ho sempre preferito i centri con meno politica e più creazione e ricreazione per essere sincero.

I miei anni 2000 me li sono fatti a Firenze, quindi Ex Emerson, Elettro+, CPA, e molti altri. A Bologna il Livello 57 e un po’ il Teatro Occupato. Il Forte Prenestino e lo Strike a Roma. A Falconara sono cresciuto al Kontatto (CSOA marchigiano, ndr), dove mi hanno svezzato concerti come quello dei Sud Sound System, dei Piombo A Tempo, dei 99 Posse e dei Villa Ada Posse. Questo era metà anni ’90 fino a due decadi fa. Insomma, i centri sociali, per me, erano le vere scuole per iniziare a crescere e capire cosa mi interessava.

GS: Queste domande te le faccio non per sottolineare che sei un ragazzo che da oltre 20 anni dipinge in strada ma perché, molto spesso, chi segue oggi la street art pensa sia una cosa nata solo 10 anni fa o giù di lì. Tu come lo vivi il fatto che la street art appassioni tantissime persone in tutto il mondo? Che cosa le porta ad appassionarsi alla street art?

RUN: Credo che la “street art” piaccia perché colora i muri grigi delle nostre città. Ma anche perché è un linguaggio immediato. Più o meno è come una pubblicità. Te la trovi davanti mentre cammini per strada quindi si suppone che ti debba dare qualcosa, un messaggio, una vibrazione, qualunque cosa. Può succedere che uno si leghi a un’immagine, nel senso che magari ti resta in mente e ti appassioni all’idea. Ci pensi per tutto il resto della giornata magari!

Credo anche che un’altra ragione che fa appassionare la gente alla street art sia il fatto che le persone vogliono quello che non possono avere, quello a cui non hanno accesso. La street art ha come un profumo di estremo, di underground, di street food, qualcosa di sporco e pericoloso. Che poi, in realtà, non c’è e non c’era niente di pericoloso, ma chi si voleva sporcare le mani poteva avere accesso a un certo tipo di posti e vibrazioni. Bisogna anche essere aperti mentalmente e sopportare tutto quello che, generalmente, non ti viene servito su un piatto nuovo e pulito. Quindi per certe persone guardare o possedere un “pezzo” di questo mondo parallelo è come possedere un “modo di vivere” che non hanno mai potuto o voluto avere. Ora lo possono “avere” comprandolo su Artsy o a una mostra in una galleria di uno street artist.

bisenti RUN 2022
RUN – Bisenti (TE), 2022

GS: All’inizio del tuo percorso come street artist ti saresti mai immaginato che questa forma d’arte avrebbe avuto un impatto così grande sulla società contemporanea?

RUN: Assolutamente no. Non era scritto da nessuna parte e io non avevo la sfera da chiaroveggente. Forse non ero lungimirante o forse non mi interessava proprio l’idea di cosa sarebbe accaduto un domani. Lo facevo perché mi piaceva, mi eccitava e mi divertiva. In un certo modo mi faceva anche sognare. Tuttora questa energia e rimasta immutata!

GS: Dal tuo esordio a oggi che cosa è cambiato e che cosa è rimasto intatto nel mondo della street art?

RUN: Beh oggi è cambiato un po’ tutto. Ma l’intento che mi fa andare a dipingere è rimasto lo stesso. Per essere senza filtri direi che: dipingo se mi pagano. Ma se mi piace un progetto o se semplicemente vedo un’opportunità su una superficie e non ci sono soldi, dipingo uguale, con lo stesso impegno e voglia. Il tempo è quello che mi manca adesso perché sono più grande e la vita si è complicata. Poi è strano, ma un murale può essere anche visto come una pubblicità di te stesso. Da una “pubblicità”, se questa funziona, nasce sempre qualcos’altro come un progetto o un lavoro grande e interessante.

(Continua…)

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