Sentieri Leggendari
Un libro per viaggiare altrove
di Roberta Dell’Ali

A voi cosa manca dell’ante-Covid? A me viaggiare, mi manca un botto ed è per questo che oggi cedo la parola a luoghi magici e cammini lontani, raccontati in un bellissimo volume: Sentieri leggendari – L’arte di camminare fra storia, avventura e paesaggio, edito da Rizzoli, a cura di C. Honan, R. Klaten e A. Kouznetsova.
Un libro prezioso, che due amici che non abbraccio da mesi e mesi e mesi mi hanno regalato tempo addietro. La dedica recita:
Perché tra tutte le arti quella di camminare è quella che ti rende più libera
In questo tempo sospeso che stiamo vivendo, le pagine di questo volume sanno portar lontano e, a volte, sembra persino di sentire i piedi affondare nella terra brulla dell’altrove, di cui il buon Calvino seppe dare la miglior definizione di sempre:
Uno specchio in negativo [in cui] Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà
Facciamo un salto nell’altrove dei miei sogni quindi, vi va?
Il circuito del Toubkal: montagne alte, villaggi berberi e boschetti di ginepro

Il circuito del Toubkal è un cammino semi-ostico che si srotola per circa settanta chilometri tra le montagne dell’Alto Atlante, la catena montuosa che attraversa diagonalmente il Marocco (dall’Atlantico a ovest all’Algeria a est). I nativi della regione chiamano le cime dell’Alto Atlante Idraren Draren, “montagne delle montagne”.
Il circuito di Toubkal inizia e finisce nel pittoresco villaggio di Imlil e pare essere uno dei migliori trekking del continente africano. Un percorso che si sviluppa tra sentieri che sono stati battuti per millenni dai locali; luoghi dove si avvera una mescolanza strabiliante di valichi nascosti, vallate che sembrano oasi, vette innevate e creste panoramiche.
Le vallate si succedono lungo il cammino, tutte diverse: alcune rigogliose e coltivate, altre sterili e spezzate dal vento. Bramo di percorrere i sentieri del Toubkal, di perdermici dentro (solo spiritualmente, questo è ovvio) e di imbattermi nel color smeraldo splendente del lago Ifni, appena a ovest del villaggio di Amsouzert.
E poi, i berberi delle montagne: case fatte di mattoni di fango che sbucano dai fianchi pendenti delle montagne alte, le tajine, il tè alla menta e la tradizione berbera, preservata dal favore dell’aridità e delle fortificazioni.
Il Wadi Rum: “Vasto, echeggiante e simile a una divinità”

Così T.E. Lawrence definì il Wadi Rum: “vasto, echeggiante e simile a una divinità”. Parliamo di un ghirigori profondo nella Giordania meridionale, scavato nei millenni da un corso fluviale. La chiamano anche ‘Valle della Luna’: un susseguirsi elegante e maestoso di vallate che scendono fino all’Arabia Saudita, un lungo intreccio di gole, archi, pilastri e sabbie color cremisi.
Il Wadi Rum è molto simile a Marte, il pianeta rosso, solo con qualche forma di vita a noi nota che scorrazza qua e là: cammelli, qualche uccello. Stambecchi e capre di montagna. La notte, poi, si fanno avanti gatti delle sabbie e volpi del deserto.
Ma vi immaginate che cosa indecente deve essere osservare l’intorno stando sulla cima del Jebel Um Adaami? Lì, sulla vetta più alta della Giordania, a 1839 metri sul livello del mare, immersa in una distesa di roccia infuocata.
Dicono che il cielo del Wadi Rum sia impareggiabile: di notte, quando si raggruma di nero e le stelle lo tagliano con scie nette e limose; ma anche all’alba o nel tardo pomeriggio quando i raggi del sole infuocato creano sulla roccia un caleidoscopio rosso e arancione che dà senso alle parole del vecchio Lawrence, che il Wadi Rum lo conosceva bene.
Quando tutto questo sarà finito io andrò in questi posti. Voi, invece, dove volete andare?