Three Faces

La terza faccia della medaglia

Perù e Bolivia (pt. 1), un articolo di G. Levantini || Threevial Pursuit


Perù e Bolivia

Tra terra e cielo

di Gabriele Levantini

La vetta del Monte Vinicunca (Photo by Gabriele Levantini, Perù, agosto 2019)

È un’ora indefinita della notte quando arriviamo a Lima, in Perù. Siamo stravolti da una lunga via crucis di voli charter, cambi e scali e ci concediamo qualche ora di sonno nell’albergo dell’aeroporto prima del prossimo volo per Cuzco, la mattina dopo. L’aereo scende senza fretta su una pista piuttosto essenziale, che si distende in una conca racchiusa tra montagne completamente ricoperte di case senza intonaco.

Siamo finalmente arrivati. Attraversiamo le favelas dell’antica capitale inca, adagiata a tremila metri di altitudine come un guanto sulle montagne. Il nostro albergo si trova nel vivace quartiere San Blas, uno dei punti più alti del centro storico, patrimonio Unesco ricco di localini accoglienti e di ripidi e strettissimi vicoli in gran parte pericolosamente carrabili. L’ambiente ci fa subito sentire a nostro agio, ma i nostri corpi mediterranei ci fanno capire che quest’improvvisa altitudine non è di loro gradimento. Nessun problema: generose dosi di mate de coca fumante ci proteggeranno dal mal di montagna (soroche) per tutto il viaggio. Se ve lo state chiedendo: no, non dà la botta. È più o meno come un energy drink, ma dal gusto erbaceo da veri indios

Purtroppo il suo sapore rimane sconosciuto alla maggior parte degli europei, perché l’importazione di queste foglie è proibita indipendentemente dalla quantità. Una scelta davvero poco sensata, visto che la concentrazione di cocaina nella pianta è infinitesimale, non in grado di superare la barriera ematoencefalica umana. Quindi, a meno che non siate dei narcos e non disponiate di tonnellate di foglie e di basi nascoste nella foresta pluviale dove poterle lavorare, con tanto di peónes, operai, reagenti chimici ed energumeni armati, non potreste mai e poi mai ricavarvi una raglia di bamba da questo innocuo prodotto.

 Mercato San Pedro Cuzco Perù
Mercato di San Pedro a Cuzco (Photo by Gabriele Levantini, Perù, agosto 2019)

Il mate è solo uno degli innumerevoli aspetti della cultura andina, e Cuzco costituisce un ottimo punto di partenza per scoprirli. Qui infatti la sovrapposizione tra il passato precolombiano e l’eredità spagnola è fisicamente visibile nei monumenti, oltre che nelle usanze. In questi luoghi i conquistadores, nonostante il feroce genocidio di cui si macchiarono, non riuscirono a cancellare del tutto la tradizione preesistente e, ancora oggi, le stesse persone che fanno l’Ofrenda alla dea Madre Terra Pachamama vanno pure a messa la domenica.

Accompagnati da un costante fiatone che ci darà tregua solo dopo qualche giorno, esploriamo la città: dai suoi coloratissimi mercati per stomaci forti alle sue chiese in barocco andino, passando per le innumerevoli testimonianze precolombiane. Proviamo anche la carne di alpaca e io, sotto lo sguardo disgustato della mia compagna, anche il mitico cuy, la cavia peruviana arrosto che nella cattedrale di Cuzco fa bella mostra di sé nell’affresco dell’Ultima Cena. Infine facciamo anche una doverosa foto alla Pietra dei Dodici Angoli, che fa tanto I Diari della Motocicletta. Come in tutte le città peruviane, a Cuzco nonostante la povertà si respira un’aria di allegria e ottimismo che ci contagia subito.

La seconda tappa del nostro viaggio è la Valle Sacra, che per l’Impero Inca fu una specie di produttiva Pianura Padana, però sacra. La esploriamo in auto con una guida che ci fa anche da autista e che nel frattempo ci racconta la sua vita. Dividiamo il viaggio con delle ragazze italiane che staranno con noi per qualche giorno. È bello conoscere nuova gente quando si fanno viaggi di questo tipo, perché qua nessuno si porta dietro etichette e sovrastrutture, e così avvocatesse di Roma e cassiere di Milano diventano semplicemente viaggiatrici, alla ricerca delle stesse cose che cerchiamo noi e il resto dell’umanità, da sempre. I racconti della guida, sulla sua vita non proprio facile, ci colpiscono molto e ci mostrano il vero volto di questo popolo: sempre sorridente nonostante tutto.

Nel paesaggio dolce della valle, amplissimi campi coltivati sono raramente interrotti da minuscoli villaggi con case di fango (casa de adobe) senza pavimentazione, dalle cui porte spalancate si intravedono galline e bambini. Grandi slogan elettorali e i simboli politici, che generalmente contengono figure di Inca arrabbiati, sono dipinti direttamente sui muri delle case.

valle sacra perù
Contadine nella Valle Sacra (Photo by Gabriele Levantini, Perù, agosto 2019)

Quello che colpisce è la mancanza di qualsiasi genere di servizio di cui questa gente possa godere: oltre alle case, si vedono solo pochi microscopici empori o bettole che servono da bere all’aperto. Nei luoghi in cui la fermata dei turisti è più probabile ci sono anticuchadas improvvisati per la strada – non importa quanti vaccini abbiate fatto in vita vostra, non mangiate mai a questi banchetti! – e bagni pubblici che ancora oggi compaiono negli incubi della mia compagna, ma che più tardi, in Bolivia, ci sembreranno lussuosi. È triste pensare che questi contadini resteranno rinchiusi nei loro tuguri a non far niente per tutta la stagione delle piogge, tra qualche mese. Solo i cani randagi che si aggirano come scheletri per le strade saranno più sfortunati.

I siti archeologici che visitiamo lungo il percorso sono di una bellezza irreale e ci parlano di una cultura aliena rispetto alla nostra. Ogni rovina ci narra la storia di questo popolo incredibile e di come i nostri avi lo massacrarono. La guida ci lascia infine a Ollantaytambo, delizioso villaggio nato intorno a una maestosa fortezza costruita dal re Pachacutec. Da qui, mentre il severo volto di roccia del dio Wiracochan ci controlla dalla montagna, facciamo la pittoresca esperienza di prendere un tuk-tuk o mototaxi che ci accompagnerà a prendere il treno della linea turistica per Aguas Calientes, campo base di Machu Picchu.

Dal treno vediamo la valle diventare via via una gola mentre la ferrovia corre lungo il letto del Rio Urubamba, appoggiato al fianco della secca Cordillera. Grandi avvoltoi volteggiano in cielo. Mentre avanziamo a nord-est, lentamente il paesaggio muta e ciò che prima era arido si fa di un verde sempre più intenso. La vegetazione lentamente conquista la sierra spingendosi più in alto, in un climax che termina ad Aguas Calientes, immersa in una rigogliosa giungla di montagna. Il treno si ferma letteralmente sulle porte degli alberghi e noi scendiamo godendoci l’aria fredda e umida dell’imbrunire.

Il villaggio è una piccola babele piena di vita, circondata da ripidi picchi seminascosti dalla foschia. Qua gringos e locali fanno fiesta fino a notte fonda e l’atmosfera gioiosa spingerebbe a trattenersi di più in quest’angolo di mondo perduto tra le Ande. Anche noi facciamo fiesta tra messicani ubriachi e giovani francesi, ma ci ritiriamo presto perché il sito archeologico è immenso e vogliamo arrivare il prima possibile.

La mattina prendiamo il primo pullman, largo più o meno come la strada che dovrà percorrere, e dopo quaranta minuti di ripidi tornanti, affrontati con assoluto sprezzo della vita, siamo davanti all’ingresso del parco. Sono circa le 6 del mattino e sta albeggiando, quando ringraziamo tutti gli dèi di essere ancora vivi e varchiamo i cancelli. Abbiamo appuntamento con una guida del sito archeologico tra circa quattro ore, perciò decidiamo di fare due brevi trekking verso due miradores immersi nella fitta giungla di montagna che circonda il sito, per poter avere una visione d’insieme della città sacra.

machu picchu perù
Machu Picchu (Photo by Gabriele Levantini, Perù, agosto 2019)

Saliamo su sentieri oppressi dalla vegetazione, mentre i versi dei pappagalli ci accompagnano. Le piante crescono letteralmente una sopra l’altra, in qualunque direzione: spuntano dal suolo, si arrampicano sui tronchi, scendendo dalle chiome degli alberi, con forme e colori di una forza straordinaria. La bellezza di questo paesaggio, completamente diverso da quelli visti finora, ci colpisce al cuore. Uno dei due percorsi conduce a Intipunku, la Puerta del Sol, dalla quale condividiamo la stessa veduta degli antichi pellegrini Inca: in basso, in lontananza, la città sacra a forma di condor è adagiata sulla vetta della montagna. Tutt’intorno ripidissime e inaccessibili montagne che un tempo furono Apu, dèi. Di solito, le cose troppo decantate alla fine deludono, ma non in questo caso. Posso dire che chi parla di questo luogo come dell’ottava meraviglia del mondo antico non pecca d’esagerazione.

Alla fine di questa esperienza ci sentiamo come se fossimo saliti verso il cielo, ma dobbiamo andare ancora più in alto. Così, salutiamo le nostre temporanee compagne di viaggio e facciamo nuovamente rotta verso Cuzco. La meta successiva sarà il monte Vinicunca, o Montaña de Siete Colores (5.200 metri), che noi scaleremo.

Quechua campo base Vinicunca
Quechua al campo base del Vinicunca (Photo by Gabriele Levantini, Perù, agosto 2019)

Il percorso che seguiremo noi consiste in un dislivello di circa mille metri e si compone di tratti pianeggianti e lievi salite, prima dell’attacco finale, molto ripido. Alle nostre latitudini si tratterebbe di una cosa ragionevole, ma così in alto effettivamente è un po’ una follia. Nonostante questo, decidiamo di unirci a uno dei gruppi che alle tre e mezza di notte partono per essere al campo base alle prime luci dell’alba, accompagnati da una guida quechua. Questa popolazione nativa, dispersa su tutta la Cordillera, è ciò che resta del grande impero Inca.

Quando scendiamo dal pulmino, i loro volti scuri e rugosi senza età osservano noi e gli altri turisti, offrendoci il noleggio di un cavallo fino all’attacco della salita. Non so chi sia più magro, se loro o quelle povere bestie. Rifiutiamo l’offerta e cominciamo a salire.

In questi casi, è molto importante mantenere un passo lento e costante, restare concentrati ed evitare di mangiare e di bere. Le foglie di coca che stiamo masticando hanno un gusto orribile, ma sono necessarie quanto gli incoraggiamenti della nostra guida che, diversamente da noi, sembra un’allegra capretta di montagna che saltella qua e là. Buon per lui.

Il paesaggio è completamente desertico, ad eccezione di piccole piante secche che spuntano dal terreno roccioso con non so che coraggio. Il paesaggio è solenne: tutt’intorno da vette altissime ci osservano ghiacciai che brillano nell’alba, ai bordi del sentiero piccoli cumuli di pietre, detti apachetas, chiedono a Pachamama protezione lungo la strada. La guida ci mette sulle mani un po’ di agua de florida e ci dice di respirarne a fondo l’aroma. Si tratta essenzialmente di un profumo, del tutto simile a quello che ci spruzziamo addosso noi prima di uscire di casa, ma per loro è un’acqua sciamanica nelle cui presunte proprietà ripongono grandi aspettative. Fatto sta che effettivamente sembra aiutarci un poco contro il mal de altura.

Dopo un po’ alcuni dei nostri compagni stanno male e sono costretti a fermarsi, e poco prima dell’arrivo comincia ad avere malessere anche la mia compagna. Con una forza di volontà straordinaria e grandi sniffate di agua de florida, riesce comunque a completare il percorso, compresa la devastante salita finale, fino alla vetta. Una volta in cima si ha una visione iconica dell’incredibile cresta arcobaleno di questa montagna e all’orizzonte la Valle Rossa, Palcoyo. Ci sembra veramente di essere arrivati alla casa degli dèi e la nausea che ho pagato dopo è un prezzo ragionevole per una simile meraviglia.

È tempo di ritornare sulla terra e incontrare i veri figli di quegli dèi che abitano le montagne. Ripartiamo per incontrare una comunità Quechua e una Uros-Aymara.

Ci aspetta un viaggio in pullman della durata di un giorno, composto da varie tappe, che ci porterà fino alla città di Puno, sul Lago Titikaka.

Perù e Bolivia (pt. 1), un articolo di G. Levantini || Threevial Pursuit

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