Memoria tesa al presente
di Andrea Polverosi

Questo articolo nasce in collaborazione col gruppo del Servizio Civile Nazionale 2020/2021 della Biblioteca di Scandicci che si è occupato del progetto di informazione e sensibilizzazione “La Settimana delle Memoria”. Dal 20 al 27 gennaio, ogni giorno, sono stati dati consigli e approfondimenti su libri e film riguardanti la Shoah ed eventi storici, sociali e politici affini. Per leggere tutti gli approfondimenti in versione integrale, potete andare sul blog della Biblioteca di Scandicci: https://labibliotecadiscandicci.wordpress.com/2021/01/19/giornata-della-memoria-2021/
Memoria tesa al presente
Il Giorno della Memoria è un momento fondamentale per conoscere e ricordare il genocidio degli ebrei e la morte di tutte le altre persone perseguitate nei campi di concentramento. Questa memoria, però, dev’essere tesa non solo al passato ma soprattutto al presente: conoscere ciò che è successo per far sì che non accada nuovamente.
La Shoah è stata terribile nella sua unicità e pochi eventi vi si possono paragonare. Purtroppo, però, ci sono tanti fenomeni affini che condividono con essa il tentato annichilimento dell’umanità altrui: considerare una persona una non-persona e per questo arrogarsi qualunque diritto su di essa. È per tale motivo che oltre a occuparci del genocidio degli ebrei abbiamo deciso di considerare anche altri eventi.
Tracciando una linea di congiunzione fra le tre direttrici di migrazione-razzismo-genocidio abbiamo individuato fenomeni sia passati che presenti di cui riteniamo sia importante essere consapevoli.
In particolare, la volontà è quella di riportare l’attenzione su fenomeni a noi più vicini come l’immigrazione in Italia, questione attualissima per cui purtroppo si è tornati in questi anni a parlare di razzismo e dei campi di tortura presenti in Libia. Spostandoci a est, emerge l’urgenza di conoscere meglio cosa sta accadendo in Cina sulla minoranza turco-islamica degli uiguri, popolazione repressa dal governo centrale cinese e vittima da anni di genocidio culturale. Infine, non potevamo evitare la spinosa questione del forte ritorno del suprematismo bianco negli Stati Uniti d’America, l’estrema destra che torna a macchiarsi pesantemente di slogan e atti violenti di razzismo e antisemitismo.

Essere donne nei lager
La deportazione delle donne nei campi di concentramento è stata vissuta in maniera specifica. Nei lager nazisti, la loro identità morale e fisica fu sin dall’inizio messa a dura prova: l’ispezione della testa, delle ascelle, del pube e la rasatura totale rappresentano la prima violazione dell’intimità fisica, un’offesa fatta alle donne, lacerate dal dolore di queste pratiche.
Prima di distruggere psicologicamente e moralmente le detenute, i nazisti si impegnavano ad annullare ogni peculiarità che potesse individualizzarle. La «bruttezza» del corpo, inevitabile nelle condizioni di vita nei campi, la denutrizione e il lavoro massacrante sono anch’essi vissuti in maniera specifica dalle donne, che sopportano più difficilmente rispetto agli uomini le loro membra scarne e deformi. Non ci sono più donne anziane o giovani, donne belle o brutte: le loro caratteristiche non si rivelano più attraverso la loro femminilità o le loro particolarità fisiche. Esse si sentono di giorno in giorno meno umane.
Un’altra caratteristica specifica della deportazione femminile è data dagli esami ginecologici, molto spesso inutili e proprio per questo sadici, come ulteriore violazione della femminilità. Sempre alla donna toccò la prova più sconvolgente: affrontare la maternità nel lager. Partorire significava andare contro il principio base del luogo, ossia morire.
La donna e il suo corpo nei campi di concentramento è il tema fondamentale della raccolta di racconti Il fumo di Birkenau di Liana Millu pubblicata nel 1947. L’antologia è composta da sei storie che si snodano intorno agli aspetti più specificamente femminili della vita minimale e disperata delle prigioniere. Queste storie vedono come protagoniste le compagne di Birkenau di Millu: dalla narrazione riemerge la loro individualità negata e il tentativo di ognuna di lottare per la propria identità femminile.

L’immigrazione in Italia
Come un uomo sulla terra è un documentario di Andrea Segre e Dagmawi Yimer che svela le responsabilità dell’Europa e del nostro paese in merito alla creazione dei campi di detenzione libici per frenare l’onda di migranti provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo e chiarisce l’inefficacia delle politiche che abbiamo applicato, fatte di slogan vuoti e approssimativi che fanno dell’immigrazione solo una questione di sicurezza.
L’Europa e i governi italiani che si sono avvicendati, sia di destra che di sinistra, hanno preferito guardare altrove, distogliendo lo sguardo dagli atti di privazione dei diritti umani che avvengono in Africa, quegli stessi diritti umani inviolabili che dicono di voler difendere e salvaguardare. Il governo italiano nel corso degli anni ha siglato accordi con la Libia che prevedevano ingenti somme di denaro, con le quali si sono costituite milizie e centri di detenzione. La verità è che non si è mai messo al centro i diritti inviolabili dell’umanità, ma si è preferito spendere fiumi di denaro affinché il problema rimanesse il più lontano possibile, seguendo il detto “occhio non vede, cuore non duole”.
Il documentario contiene interviste di chi quella tratta l’ha percorsa, pagando caro il trasporto con il poco che possedeva; i soprusi e gli atti di violenza fanno tremare le vene dei polsi, le condizioni dei viaggi dipingono una situazione talmente indegna da essere a malapena immaginabili. Questo film è sicuramente un’ottima risorsa per capire la storia che si trova dietro a un argomento di forte attualità e che sarà importante continuare a trattare anche in futuro.

La Cina e la repressione contro gli uiguri
La guerriera gentile è la testimonianza della vita di quella che in molti definiscono la più nota dissidente della Cina. Rebiya Kadeer in questa autobiografia ricostruisce la sua vita e quella della sua gente, raccontando la spietatezza di un regime – quello cinese di Mao – la repressione, le fughe, l’incertezza, le paure, ma anche le speranze e il cambiamento, il riscatto e una nuova prospettiva.
Le terre della popolazione di etnia uigura sono quelle del Turkestan orientale, oggi Xinjiang. Lì vi abitano uomini che da secoli condividono usi e costumi totalmente diversi dalle altre regioni cinesi. Originari della penisola dell’Anatolia e musulmani, gli uiguri sono riusciti a vivere in quella parte di Cina insieme alle altre etnie presenti in pace, rispettando la propria terra. Ma negli anni ’50 tutto cambia, e inizia quella che sarà una battaglia che dura tutt’oggi: da una parte la Cina, dall’altra gli uiguri.
La politica aggressiva di Mao Zedong nella regione settentrionale ha un doppio risvolto. La Cina proletaria avvia prima di tutto un prepotente programma di inserimento di cinesi han (il gruppo etnico maggiormente presente nel paese) per andare a sostituire – o “riformare” – la popolazione e l’élite musulmana dello Xinjiang, mentre nel frattempo sfrutta le risorse energetiche della zona. Da meno di 300 mila che erano, gli han si ritrovano a essere la maggioranza nello Xinjiang, superando le 8 milioni di unità. Malgrado sia proprio Mao a parlare pubblicamente del diritto dei popoli all’autodeterminazione, quando nel 1955 dichiara la “regione autonoma uigura dello Xinjiang”, di fatto ha finito di estirpare ogni traccia di identità degli uiguri da quella terra. L’ingordigia del governo di Pechino non ha fine, e colpisce in seconda battuta i possidenti terrieri uiguri, grandi o piccoli essi siano. Derubati delle loro proprietà, vengono tacciati di essere traditori, borghesi e ostili allo stato: in pochi casi viene risparmiata loro la vita.
A questo si aggiunge la Rivoluzione culturale di Mao nel decennio che va fino al 1977, che è prima di tutto una caccia al nemico e che sugli uiguri stringe una tenaglia sanguinosa fatta di soprusi e ingiustizie. La Rivoluzione culturale, infatti, ha un prezzo: la cultura altrui. Quella degli uiguri viene dilaniata, vilipesa, rinnegata. Vengono torturati e scherniti pubblicamente molti intellettuali che trovano la pace solo nel suicidio.
In questo contesto terribile inizia l’azione controcorrente di Rebiya, che con le sue armi si batte per la sua gente esponendosi in prima linea contro il terrore di Pechino. Combatte, viene tradita, viene considerata pericolosa per la stabilità del paese, viene incarcerata, ma, nonostante ciò, riesce a rialzarsi e a ripartire per cercare di ritrovare la dignità sua e del suo popolo.

L’America e il ritorno del suprematismo bianco
Oggi si ha a volte la sensazione che gli avvenimenti accaduti durante i regimi nazifascisti ci riguardino meno, che siano ormai fatti del passato, che abbiamo imparato la lezioncina e che sia impossibile riaccadano. Tutt’al più se succede qualcosa di simile, non è da noi, non nella nostra presunta civiltà ma in qualche povero paese sparso nel mondo.
La verità è un’altra. La verità è che in Occidente il razzismo è dilagante. Il 2020 ha riportato alla luce tutto ciò: la morte di George Floyd e di tanti altri afroamericani uccisi dalle forze dell’ordine testimoniano un odio razziale pressoché sistematico. Le rivolte di Black Lives Matter hanno risvegliato le nostre coscienze, ma è evidente che il problema non sia stato risolto.
Il 6 gennaio 2021 centinaia di militanti di estrema destra, sostenitori di Trump, hanno invaso e occupato il Congresso americano costringendo alla fuga i parlamentari, gravità che solitamente si accompagna ai colpi di stato. Non dobbiamo minimizzare ciò che è accaduto: quelle persone non erano dei burloni da bar, dei semplici grulli che vanno dietro alle fake news. Come ci mostrano i simboli da loro usati, c’erano tanti militanti di estrema destra, ossia razzisti, neonazisti, nativisti e suprematisti bianchi. In una parola, fascisti. E questo è successo a Washington, negli Stati Uniti d’America, e ciò che succede là ha eco in tutto il mondo. Per questo motivo non dobbiamo sottovalutare il ritorno forte dell’estrema destra in Occidente.
Alt-America. L’ascesa della destra radicale nell’era di Trump è un saggio di David Neiwert, giornalista e massimo esperto del fenomeno. L’alt-America è l’universo parallelo fatto di fake news, complottismi, teorie razziste ed eliminativiste in cui vivono gli estremisti di destra. Un mondo di fantasia che fino a poco fa credevamo di pochi invasati e che invece negli ultimi anni, a partire dal 2015/2016 con le primarie repubblicane vinte da Trump, è emerso dalla sua caverna.
Partendo dagli anni Novanta, l’autore descrive i gruppi neonazisti di allora che formavano milizie armate e che rivendicavano il loro potere in quanto “cittadini sovrani”, ovvero non sottoposti alle leggi federali degli Stati Uniti. Riportando alla mente alcuni pesanti scontri e stragi avvenute fra questi gruppi e le forze dell’ordine, Neiwert introduce una delle questioni più sottovalutate negli ultimi decenni in America: il terrorismo interno, portato avanti dai bianchi contro i non-bianchi.

Questo movimento venne rinfocolato dagli eventi dell’11 settembre, che hanno favorito una retorica militaristica legittimando l’emergere di un forte sentimento contro tutti i musulmani. È anche da qui che le credenze sbagliate dei gruppi suprematisti e neonazisti si sono spostate, passando dall’essere relegate a un mondo oscuro e minoritario a diventare forza politica prevalente infiltrandosi nei ranghi del Partito Repubblicano, fra i conservatori moderati.
Questo cambiamento, però, è avvenuto in primis con due novità: la prima è internet. In questo immenso spazio fatto di siti e blog anonimi, gli estremisti di destra hanno potuto accedere a uno strumento di diffusione mai avuto prima. Coloro che propagandavano idee razziste hanno raccolto intorno a sé sempre più persone, in particolare giovani, bianchi, maschi, celibi e disoccupati. È da qui che la normalità ha iniziato gradualmente a mutare: da questi canali sono emerse alcune delle più aberranti teorie del complotto come il Pizzagate e l’idea per cui Barack Obama fosse in realtà un musulmano pronto a imporre una dittatura religiosa in America.
L’idea di fondo che muove queste persone è che siano loro ad essere sotto attacco, come se ci fosse qualcuno pronto a togliere le posizioni di comando che finora i bianchi hanno avuto, imponendo un governo anti-bianchi che li deporterà tutti in campi di concentramento. In breve, ribaltano completamente il discorso: sono razzisti, suprematisti e neonazisti proprio perché un fantomatico Nuovo Ordine Mondiale è pronto a prendere il controllo e a sterminarli tutti. Per difendersi, saranno loro a sterminare tutti gli altri. È da questo mondo che poi vengono fuori carnefici che davvero compiono stragi ammazzando in sinagoghe e moschee.
La seconda novità: un leader carismatico capace di riunirli tutti e di diffondere queste idee nel mondo istituzionale. Trump. Secondo l’autore del libro, Trump non è fascista ma un narcisista populista di destra, pronto ad appoggiare qualunque idea che lo faccia vincere e che col suo governo ha favorito l’emergere di una situazione di proto-fascismo. Trump non ha mai condannato le parole e gli atti dei militanti di estrema destra che lo appoggiavano. Con un balletto da contorsionista si è sempre difeso dalle domande e critiche dei liberali e progressisti ammiccando, favorendo e persino condividendo la retorica e la violenza dei suprematisti. Proprio come ha fatto il 6 gennaio quando, continuando a sostenere la teoria complottista per cui le elezioni in cui ha perso fossero state truccate, ha incitato e rigettato allo stesso tempo gli atti violenti dei suoi sostenitori.
Trump oggi non è più al potere e forse non lo sarà nemmeno in futuro, ma l’alt-America, il mondo fascista a cui ha aperto le porte, è ancora lì e tutti noi dobbiamo fare attenzione.