Memoria ed escapismo
di Dario Petrelli

Ho un rapporto conflittuale con il mio cervello. Ci sono volte in cui decide per conto proprio di riavvolgere il nastro dei ricordi e gettarmi nel passato, non necessariamente per rivivere esperienze esaltanti, anzi: non di rado mi mostra quelle in cui sono stato un perfetto stronzo o ho fatto una cazzata.
Mi capita soprattutto di mattina, quando sto facendo colazione o sono sul bus per andare al lavoro – magari perché nelle prime ore da svegli la mente è ancora influenzata dalle atmosfere visitate in sogno, ma non saprei dirlo con certezza perché io i sogni li dimentico quasi sempre. Ad ogni modo, mi ritrovo catapultato in tempi che furono e non sono più, e faccio fatica a riprendere il controllo e a tornare nel presente. Altre volte, lo ammetto, sono io stesso a incedere tra i corridoi della memoria, soffermandomi sui momenti più belli, quelli in cui magari mi sono sentito completo o realizzato.
Da qualche parte su un Moleskine ho scritto che i limiti della memoria sono necessari e funzionali a non farci perdere nei labirinti della nostra mente… quando viaggiamo per troppo tempo fra le strade e i paesaggi sperduti dei nostri ricordi, a un certo punto siamo costretti a fermarci perché non abbiamo più territori da esplorare, la nostra memoria ha raggiunto i suoi confini, e al massimo possiamo immaginare altro, ma non siamo capaci di ripercorrere tutta la nostra vita a ritroso.
Il che non è così scontato come sembra. Pensateci, l’impossibilità di richiamare alla mente ciò che abbiamo vissuto nei primi anni della nostra vita, ad esempio, tende ad apparirci ovvia; ma il cervello umano avrebbe anche potuto evolversi diversamente, consentendoci di immagazzinare ogni esperienza in un archivio accessibile a nostro piacere quando ci andasse di consultarlo.

E invece no: a parte gli incredibili casi di individui come Ireneo Funes e Raymond Babbitt, il nostro grigio organo supremo archivia e protegge i ricordi in base a requisiti di importanza, necessità, sensazioni provate, e altri parametri che sinceramente non so e non conosco perché – ehi, io sono solo un tizio che sta sproloquiando sul proprio computer. E comunque Ireneo Funes e Raymond Babbitt non sono mai esistiti, anche se sono i protagonisti di storie molto belle.
Come mai la nostra memoria non si è evoluta in maniera tale da conservare il ricordo di tutte le situazioni che esperiamo nel corso della vita? È una questione di energia, di finitezza delle risorse cerebrali? E allora perché esistono casi eccezionali di persone davvero in grado di ricordare tutto o quasi tutto ciò che gli è accaduto (ok, Funes e Babbitt sono personaggi di finzione, ma provate a cercare Kim Peek o Jill Price sul web)?
Probabilmente dovrei girare queste domande a una neurologa, ma dato che non ne conosco e interrogativi come questi mi affascinano da sempre, ecco la conclusione a cui sono giunto senza alcuna pretesa di veridicità: i limiti della memoria servono, appunto, a tenerci ancorati all’unica linea temporale che conta davvero – quella attuale.
La vita è ora, e non possiamo permetterci di assentarci troppo a lungo naufragando in un mare di situazioni passate e andate per sempre – da un momento all’altro potrebbe spuntare una tigre dal cespuglio accanto a noi, rendendo noi stessi soltanto un ricordo nella testa di qualcun altro. È per questo, vi dico, che non possiamo sostare a tempo indeterminato nella nostra memoria.
E poi, ammettiamolo, i ricordi sono sopravvalutati e ingannevoli: essi fissano nella nostra mente soltanto una versione dei fatti, un’interpretazione di quello che è successo – nemmeno sempre e necessariamente la nostra! – un’interpretazione che potremmo scoprire essere molto lontana da quella di altri che condividessero il ricordo di quegli stessi accadimenti. E i ricordi sono soggetti alla nostra tendenza a idealizzare il passato, che ci porta spesso a volerlo rivivere, quando esso è ormai per definizione passato, appunto, e siamo cambiati noi e il mondo attorno a noi e nessuna esperienza può davvero esser vissuta due volte alla stessa maniera.
Beh ma anche l’immaginazione, direte voi, può distrarci e allontanarci dal presente – e avete assolutamente ragione, e infatti io credo che il ricordare e l’immaginare siano state le prime attività escapiste praticate dalla nostra specie. Ma ci pensate al primo essere umano che ha scoperto di poter dirottare il corso dei propri pensieri, dal qui e ora e non solo verso il passato, ma addirittura verso il futuro o verso percorsi puramente immaginativi e probabilmente impossibili e imperseguibili? Chissà se ha provato una sensazione orgasmica in quel momento – considerando che di lì a poco avrebbe scoperto che poteva anche provare un orgasmo vero e proprio con l’aiuto della fantasia – o se non si è nemmeno reso conto del passo evoluzionistico assurdamente lungo che aveva appena compiuto.
Ma sto divagando. Dove ero arrivato? Ah, sì: la memoria è uno dei primi dispositivi di fuga dalla realtà che la nostra specie ha creato per sé stessa (volendo definire realtà come l’insieme delle percezioni che caratterizzano il qui e ora). Astrarci dal presente ci piace così tanto che nel corso della storia abbiamo inventato sempre più modi per farlo, fino ad arrivare, oggi, a un’epoca in cui il business dell’intrattenimento muove miliardi di euro/dollari/yen ogni giorno.
Sono anch’io un discreto evasore del presente, e oltre alla lettura, ai videogames, ai film e alle serie tv, allo sport e al calcetto, mi piace calarmi in viaggioni mentali immergendomi in ricordi, pensieri, riflessioni di ogni tipo, perché usare la mente per distrarsi, per fortuna, è ancora gratis e largamente accessibile – non occorre nemmeno sorbirsi annunci o brevi spot pubblicitari per fruirne.
Nonostante questi indubbi vantaggi, sono ancora indeciso riguardo i benefici del vagare nei quando e nei dove della memoria. Siamo abituati a pensare che ogni attività, se abusata, può condurre a conseguenze negative e credo che anche questa non sfugga alla regola. In fondo, lo sappiamo, il tempo a nostra disposizione è limitato e siamo condannati a tentare continuamente di farne buon uso.
Il nostalgico che passa troppo tempo tra i ricordi (o le illusioni) di un passato ormai andato, non rischia forse di sprecare le possibilità del presente allo stesso modo di coloro che vivono tendendo i propri sforzi esclusivamente al raggiungimento di un obiettivo futuro? Ma poi, come si fa a godersi davvero il presente, se esso altro non è che un filo che brucia e si esaurisce nell’esatto momento in cui lo viviamo?
Non so, non sono in grado di rispondere a queste domande e credo che ognuno sia costretto a trovare il proprio equilibrio. È per questo, dopotutto, che il nostro cervello ci impone certi limiti. Almeno credo.