Meme, villain e disastri
di Dario Petrelli
Nelle ultime settimane mi sono imbattuto spesso in una categoria di meme che va molto di moda, specialmente in questi anni. Avete presente i meme di quelle pagine Instagram o Facebook intrise di un umorismo sempre un po’ depresso? Sì, insomma, quei meme che in fondo dicono sempre la stessa cosa: tipo che il 2020, segnato dall’avvento della pandemia, è stato un anno talmente nefasto che nel 2021 le cose sarebbero solo potute migliorare; del resto, ‘non può piovere per sempre’, giusto? E invece sì che può, gli effetti e le conseguenze del covid hanno marchiato anche il 2021 e sono successe altre cose tristemente memorabili, come il ritorno dei taliban in Afghanistan e la conseguente crisi umanitaria, tanto per dirne una.
Il 2021 è stato quindi, secondo gli interpreti di questa corrente umoristica, anche peggio del 2020. Le speranze tradite sono poi state riposte nel 2022, il nuovo anno della svolta. ‘Cosa mai potrà andare storto stavolta?’, come recita una delle varie frasi-mantra di queste pagine.
È una tipologia di meme che gode ancora di un discreto successo sui social. A me fanno spesso ridere sebbene lo scherzo, come s’è detto, sia sempre quello: la nostra epoca è un susseguirsi di disgrazie e ogni anno può essere rappresentato da un villain più crudele del precedente. Come passare da Joffrey a Ramsey insomma, tanto per citare uno degli immaginari più sfruttati. Eppure, nonostante la ripetitività, continuiamo a consumarli e a condividerli compiaciuti. C’è qualcosa, in questi contenuti, che ci attrae, in qualche modo solletica il nostro ego. Ultimamente c’ho riflettuto un po’ su, e mi sono chiesto: non sarà forse che sotto sotto ci piace quest’idea di essere rimasti incastrati in un’epoca di sfighe eccezionali?
Magari ci fa sentire un po’ più fighi, più survivors. Stimola il nostro senso di appartenenza a una generazione che entrerà nella storia, la generazione di chi ha conosciuto pandemia e guerra, una dietro l’altra. Potrebbe essere questo allora il segreto dietro l’instancabile viralità di questi meme: ci fanno ridere, sì, ma in fondo ci riconosciamo davvero nel loro significato.
A pensarci bene, però, dovremmo accorgerci che non siamo poi così speciali; e con “dovremmo” intendo quelli della mia generazione – ciao, ho trent’anni e sono un millennial puro 100%. (Trentun anni). Basta un calcolo facile facile: tutti gli eventi catastrofici a cui ho avuto il piacere di assistere, beh, li hanno visti anche i miei genitori. Che a loro volta, però, sono stati testimoni di altre situazioni non proprio leggere, come la Guerra Fredda nel pieno della sua tensione; o la stagione delle stragi terroristiche e mafiose in Italia, se mi è reso lecito ridurre la scala da globale a nazionale. Mio nonno invece, che ha 91 anni, ha fatto in tempo a viversi appieno la Seconda Guerra Mondiale e a veder sbocciare i macabri fiori della Terza.
Poi, chiaro, non si può nemmeno negare che la nostra generazione sia quella che più subisce – e subirà, insieme alle successive – la tremenda botta ambientale ed economica che stiamo affrontando, conseguenza dello scellerato sistema industriale e capitalistico messo su da chi ci ha preceduti. Però, insomma, in quanto a disastri e ansie mondiali, siamo un po’ tutti sulla stessa barca, millennials e boomers insieme appassionatamente. Ovviamente le considerazioni cambiano ulteriormente – e siamo ancora meno sfigati – se spostiamo la lente da una nazione all’altra, o peggio, da un continente all’altro. La generazione di millennials italiani non è perseguitata dal fato crudele come lo è quella ucraina, quella libica o di uno dei tanti Paesi africani segnati dalla guerra. Zone in cui la simbolizzazione del villain ogni anno più stronzo varrebbe già da un bel pezzo, al punto da esaurire il panorama di personaggi utilizzabili.
(Il che ci porta anche a predire una fine naturale, prima o poi, per questa categoria di meme, perché come fai a selezionare ogni volta un personaggio più cattivo all’infinito? Chi è, anche volendolo scegliere, il cattivo più cattivo di tutti? Scherzo, la risposta è semplice. Lui, ovviamente).
Comunque, i meme che utilizzano i villain come rappresentazione metaforica di eventi disastrosi sono solo una piccola porzione all’interno di questo filone di contenuti. Del resto, la quantità di personaggi, citazioni, serie tv, fenomeni del web e situazioni di ogni tipo da cui attingere per perpetrare questo gioco di significati, è in continuo aggiornamento: siamo appena ad aprile e abbiamo già un candidato fortissimo per raffigurare il 2023 che ci prende a ceffoni in faccia. Quale che sia il risultato, la scelta di accostamenti, a non cambiare è la scoperta che il futuro non fa che peggiorare. È il contrasto su cui si fonda il meccanismo comico: il protagonista del meme (e cioè noi stessi) si era autoilluso di essersi lasciato il peggio alle spalle; poi invece ha scoperto che non era così e c’è rimasto male.
(“Simpatico pirla”, pensiamo).
Ecco, proprio questo scollamento tra aspettative e realtà – come se ciò che accade non fosse prevedibile – mi pare invece l’elemento in cui dovremmo riconoscerci maggiormente, a livello di società (occidentale?) più che di generazione. Non tanto l’incidenza di sfighe colossali quanto il fatto che ci accorgiamo del loro arrivo solo dopo, quando ormai è troppo tardi.
Prendiamo la pandemia: il mondo della scienza premoniva già da tempo che se non avessimo frenato i processi di dissesto ambientale e distruzione degli habitat naturali che portiamo avanti quotidianamente a livello globale, prima o poi il rischio che qualche virus letale arrivasse a colpire la nostra specie si sarebbe concretizzato. Ops. Oppure la guerra: del fatto che Putin e il suo governo non fossero soggetti che schifano particolarmente il ricorso a violenza e repressione armata, avevamo avuto qualche indizio negli ultimi vent’anni e passa (volevo fare un elenco ma tra invasioni militari, stragi e omicidi politici la lista è tristemente nota e lunga). Ciononostante, a metà febbraio la maggior parte di noi ancora si illudeva che non stesse per succedere niente di che al confine ucraino, che l’armata russa non sarebbe entrata. Poi ops, un’altra volta.
Quando ormai la frittata è fatta e la sventura si è abbattuta su di noi, ecco allora che ci sbigottiamo, le mani fra i capelli: “com’è potuto succedere”? Tra l’altro facciamo una fatica immensa a riconoscerne le cause, tendenti come siamo a cadere nelle narrazioni ultra-semplicistiche che per qualche ragione scambiamo per verità autoevidenti: il covid? È stata la Cina, o tutt’al più è un complotto; la guerra in Ucraina? Tutta colpa della Nato, e quasi quasi ci sta bene un bel complotto anche qui. Così il dibattito si polarizza, i fatti si confondono, il senso di ineluttabilità degli eventi continua a crescere.
E il mio sospetto è che in fondo ci stia bene così, almeno a noi che possiamo ancora guardare a ciò che succede con un certo distacco. Mentre i segnali delle prossime catastrofi – climatiche, umanitarie, nucleari e chi più ne ha più ne metta – continuano a sommarsi, noi ce ne stiamo comodi col culo sul divano, il telefono in mano a scrollare i social, amareggiati dalla nostra sfortuna, intimamente lieti della nostra impotenza.
Sebbene questi meme abbiano finito per rappresentare la nostra società in maniera piuttosto azzeccata, volendo citare un film, credo che nulla ci descriva meglio di Don’t look up. Ogni anno che arriva è come un meteorite che sta per precipitarci addosso dallo spazio. Noi lo sappiamo e sappiamo che se non facciamo qualcosa ci faremo male, e parecchio. Ciononostante, puntualmente non facciamo nulla. Il meteorite poi arriva davvero, con nostro rinnovato stupore. E impatta sempre più vicino, sempre più forte.