Three Faces

La terza faccia della medaglia

L’assicurazione non assicura, un racconto di A. Lucchini || Street Stories


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L’assicurazione non assicura

di Alberto Lucchini

Illustrazione di Luchadora

Lavoro per un’agenzia di assicurazioni e ho imparato a dire tante di quelle cazzate che riuscirei a convertire Gesù Cristo al Buddismo. Guardo l’agenda e vedo che ho un appuntamento alle due con un vecchiaccio rompicoglioni che si chiama Galli. Abita in aperta campagna e quindi mi conviene avviarmi. Quando arrivo alla sua cascina, appena sceso dalla macchina, mi corre incontro un cane puzzolente. Faccio per dargli una pedata ma mi fermo in tempo quando vedo che il proprietario mi sta aspettando. Appena stringo la mano al vecchio devo resistere dal fare un’espressione di disgusto: puzza più lui del suo cane. Il vecchio indossa una camicia di flanella e pantaloni che hanno visto sicuramente giorni migliori e noto anche delle macchie sospette in punti ancora più sospetti. Mi fa accomodare sul suo divano e mentre mi siedo, prego non ci siano pulci o zecche. Mi limito a sperare sia solo lercio, perché quello lo vedo chiaramente da me.
«Le posso offrire un po’ di vino?» e mi porge un bicchiere. «Grazie mille, volentieri». Bevo: è terribile. «Ci sarebbe una piccola lamentela che ho da fare» dice. Mentre lui attacca a parlare io sto già organizzando il discorso che devo fare per calmarlo.
“Convinci Gesù Cristo a diventare buddista”.
«Il fatto è che siete dei gran furboni».
“Convinci Gesù Cristo a diventare buddista”.
«Non sono per niente soddisfatto del trattamento che ho da voi». Si alza e comincia a girare intorno al tavolo. Il vecchio lercio è un osso duro.
“Convinci Gesù Cristo a diventare buddista”.
«Sei mesi fa, quando mi è andata a fuoco metà cascina, mi avete detto che non potevate risarcirmi totalmente». Si dà un’ultima ravanata in bocca e butta lo stuzzicadenti per terra.
«Vede signor Galli…»
«Non mi interessano le vostre stronzate», mi interrompe alzando la voce, «non mi coprite i danni della cascina e vi fate sentire solo per ricordarmi di pagare le vostre merdose rate!».
«Signor Galli» mantengo la voce calma e rilassata per riprendermi il vecchio. Di tutta risposta lui picchia un pugno sopra il tavolo. Il gesto mi sorprende, ma non mi scompongo. «Signor Galli, capisco il suo disappunto ma se ritiene che vadano modificate le condizioni della sua assicurazione…». Improvvisamente sento una fitta allo stomaco. Lui non batte ciglio, si gira dandomi le spalle e apre la doppia anta della credenza che è dietro di lui. «Possiamo tranquillamente cambiare tipo di polizza», gli dico ansimando tra i crampi di dolore. Blocco le stronzate che gli sto snocciolando quando mi vedo puntato contro un fucile. «Stia zitto» mi fa il vecchio. Una fitta allo stomaco ancora più forte della prima mi assale. Scoreggio. «Non so cosa crede di fare» gli dico mentre un’altra fitta mi blocca. «Devo andare in bagno» aggiungo sofferente. Mi alzo. «Stia buono lì o quanto è vero iddio l’ammazzo!» mi ringhia contro il vecchio. Si siede di fronte a me, tenendomi sempre puntato contro il fucile. Dal mio stomaco cominciano ad arrivare spasmi fortissimi, uno dopo l’altro. «Devo andare in bagno» gli ripeto bloccato dal dolore. «La faccia qui». Sono piegato in avanti e mi tengo le mani sulla pancia. Arriva un’altra fitta allo stomaco e mi piego ancora di più, tanto che col viso urto la canna del fucile. «Stia attento. Potrebbe sparare» dice sorridendomi. «Figlio di puttana» dico a bassa voce, ma solo perché non ho la forza di urlare. «Su, avanti. Si liberi. Voglio che la faccia qui davanti a me». Il suo è un ordine. «Nel vino che le ho dato ci ho sciolto il lassativo per il cane. E deve sapere che lo stomaco dei cani è molto più robusto del nostro. Quel lassativo preso da un uomo ha un effetto molto potente». Una goccia di sudore mi taglia tutta la guancia sinistra.
«Mi faccia andare in bagno».
«La smetta! In bagno non ci andrà. A meno che non vuole che le spari».
Alzo gli occhi e lo fisso. Lui è lì, davanti a me. Digrigno i denti per resistere al dolore e vengo colpito dall’ennesimo spasmo. Ignoro il vecchio e il suo fucile e faccio per alzarmi ma sento le gambe dure come due pezzi di legno. «Non faccia il furbo» mi minaccia mentre l’ennesima fitta allo stomaco mi stronca. Pochi secondi dopo mi sento le mutande umide e una puzza nauseante comincia a salirmi su per il naso. Guardo il vecchio e vorrei essere io col fucile in mano ma… mi libero ancora. «Si sta proprio cagando addosso!» urla il vecchio scoppiando a ridere. Mi asciugo il sudore dalla fronte sperando di essermi ripreso. Mi sento come un bambino che si è perso in mezzo al caos di un centro commerciale. Il vecchio intanto continua a tenermi puntato contro il suo dannato fucile. Guardo nel vuoto e non dico nulla. Sono seduto sopra la mia merda e la puzza si fa sempre più forte. «Non bisogna fare i furbi» sentenzia il vecchio «nella vita poi si paga. Certo, lei è solo una pedina. Al suo posto ci dovrebbero essere tutti quei miserabili che campano di queste porcherie alle spalle della povera gente ». Si asciuga la bocca con la mano come un drogato affamato in cerca della sua dose. Io non lo sto neanche ascoltando e continuo a fissare un punto imprecisato sul pavimento. «Pensi che l’altro giorno al suo posto quello dell’INPS si è messo a piangere come un neonato. Mi ha anche offerto dei soldi». All’improvviso sento un conato di vomito che mi assale. Mi sporgo in avanti con la testa e rimetto. «Tutta salute!» urla il vecchio entusiasta. Quando ho finito sono ancora piegato su me stesso e con la coda dell’occhio vedo la canna del fucile puntata dritta contro la mia testa. Non ci penso un attimo. Chiudo gli occhi e do una testata all’arma. Il fucile gli scappa dalle mani e prima che il vecchio si alzi do un calcio all’arma e la allontano quanto basta. Caccio un urlo per darmi forza e mi getto contro di lui. Lo afferro per le gambe e lo tiro verso di me. Lui cade per terra e sbatte violentemente la testa sul pavimento. Sento le gambe rigidissime ma riesco a salirgli sopra. Gli afferro i capelli e gli sbatto ripetutamente la testa contro il pavimento in preda a una rabbia che non pensavo potessi mai avere in vita mia. Quando lo risollevo è una maschera di sangue. Gli lascio la testa, che ricade a terra come uno straccio. Credo di averlo ammazzato. «Fanculo!» urlo e gli sputo addosso. Mi dirigo stravolto alla porta e sento qualcosa dall’altra parte. Non voglio stare un minuto di più lì dentro e quando la apro vengo assalito dal cane. Cado a terra e la bestia mi sale sopra. Con le mani cerco di tenere lontano il suo muso dalla mia faccia. Quando riesco ad avere una mano libera gli mollo un pugno. Il cane fa un guaito e mi libera. Comincio a strisciare verso l’uscita e la mano con cui ho tirato il pugno inizia a farmi male. Faccio qualche metro ma eccolo: il cane ce l’ho addosso di nuovo. Riesco ad afferrare una sedia, lo colpisco e noto di essere proprio dove era finito il fucile. Aiutandomi con l’arma come bastone mi metto in piedi e appena rivedo l’animale sparo, ma il colpo sfonda la vetrata della porta di fronte a me, mancando il bersaglio. Il cane per la terza volta mi fa cadere e mi è di nuovo sopra. Riesco a non farmi sfuggire l’arma dalla mano e la giro dalla parte della canna. Colpisco la testa dell’animale col manico del fucile fino a che non cade di lato, liberandomi. Poi svengo.
Quando mi riprendo, due persone mi stanno mettendo sopra una barella. È quasi buio ma la pur debole luce all’esterno mi acceca. Mentre mi trascinano fuori dalla cascina, incrociamo altre persone che indossano guanti di lattice. Appena mi caricano dentro l’ambulanza riesco a sentire quello che dice uno dei due: «Cristo! È pieno di merda!».

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