La Madonna incastrata, un racconto di A. Pauletto || Street Stories – INEDITO


La Madonna incastrata

Dalla mente di Andrea Pauletto

Cover by Brucio

La riga da parte me la faccio da solo.
Mi tiro i capelli col gel fortificante e poi indosso i vestiti della festa.
Cucino quattro uova senza olio né burro. Una volta pronte, le mangio direttamente dalla padella. Dopo la colazione mi lavo i denti con un dito ed esco, non prima di aver dato un bacio col soffio a sant’Andrea, sant’Ambrogio, san Pietro e san Giovanni Battista, che in tasca stanno e mi proteggono tutto l’anno.
In chiesa spero sempre di vedere tanti giovani profumati con le guance rosse, e invece, vecchi, solo vecchi. Il fiato degli anziani la mattina puzza.
Raggiungo Pelle gialla che mi fa spazio sulla panca, ormai di me si fida e mi vuole sempre accanto. La guardo, le sorrido per finta, lei fa lo stesso per davvero. Ha gengive lucidissime, senza denti.
Ripete quello che dice il prete. La voce è fioca, mi devo mettere con l’orecchio vicino per capire, i suoi capelli tirati con la lacca sanno di liquirizia.
Quando ci scambiamo un segno di pace, mi prende per mano: sento la pelle secca del palmo incollata alla mia come l’ostia al palato e pregusto il “corpo di Cristo”.
In fila dietro di lei, penso che sarebbe bello osservare Pelle gialla vivere con loro, i miei santi. Sant’Andrea le mostrerebbe come usare la rete da pesca nel fiume dove Giovanni, a petto nudo e con l’acqua fino alle ginocchia, battezzerebbe i peccatori di tutto il mondo; Ambrogio, con il suo grande cappello in testa e il mantello rosso, le insegnerebbe i canti milanesi, dededeee dududuuu dididiii, e Pietro con un gallo in spalla e una catena appesa al collo la proteggerebbe tagliando le orecchie a chi la importuna.
Finita la celebrazione, io e Pelle gialla usciamo a braccetto. Ha il viso bluastro e guarda per terra. Cerca monete da usare per l’elemosina. «Mmm mmm» dice «mmm mmm». Durante la messa non faceva versi, sussurrava cose, credendo di ripulirsi l’anima a parole, ma è solo una povera illusa.
Entriamo nei giardinetti. Martino è seduto su una panchina con il berretto di lana nero calato fino in fronte. Mi fa un cenno di saluto con la testa, io ricambio, stando attento a non farmi scoprire da Pelle gialla. Senza vino e con le tasche vuote, Martino sembra un martire. Me lo immagino con bastone e mantello, santo guerriero ispiratore di fede. Quando non ha soldi, il vino rosso lo compro io, quello in cartone che a lui piace tanto. Quasi tutti i pomeriggi stiamo insieme fuori dal market a guardare le ragazzine che fanno la spesa con le mamme. Martino è figo, le ragazzine lo guardano di sbieco, si capisce che piace, sì, piace. Piace perché va in giro con il petto in fuori e la testa alta, non attraversa mai sulle strisce, supera i semafori senza aspettare il verde e ha i capelli paglierini che al sole rifulgono come gloria celeste.
La casa di Pelle gialla sta in corte dei Baroni. All’ingresso c’è la Madonna incastrata, con una candela rossa sempre accesa e dei fiori secchi in un vaso di metallo, circondata da una cornice in marmo che la fa sembrare affacciata a una finestra, protetta dal mondo, dalla polvere e dalla pioggia. Pelle gialla si china e, con lo sguardo in aria e il rosario fra le dita, si fa il segno della croce. Io faccio altrettanto, pensando a sant’Andrea, sant’Ambrogio, san Pietro e san Giovanni Battista.
Mentre la aiuto a togliersi il cappotto sento le sue ossa muoversi. Mi fa cenno di seguirla in cucina. Sulle pareti del corridoio ci sono grandi quadri con cornici argentate che raffigurano uomini magri con vestiti lunghi e colorati, gli eroi della religione. Pelle gialla si siede, crick crack, e io preparo la tavola per due. Martino mi ha detto di usare la tovaglia blu con le stelline, quella zozza.
Tiro fuori dal freezer il pollo ghiacciato. Lo metto in padella, senza olio e nemmeno burro. Martino mi ha detto così: carne bianca in padella, insalata, e vino bianco. La bottiglia sta sotto il lavello, dietro lo sgrassatore universale. La metto al centro della tavola dopo aver riempito due bicchieri. Vado in bagno a prenderle la dentiera: la tiro fuori come posso da una tazza di ceramica e torno in cucina gocciolando. Cerco di infilarle i denti a fatica, sguazzando tra saliva e cattivi odori. Martino mi ha detto che se spingo troppo muore, mi ha detto di esser dolce, accarezzarle ogni tanto le guance striate e la fronte lucida.
Con le mani impestate e lo stomaco in subbuglio rovescio il pollo bollente nei piatti, taglio la sua parte di carne in piccoli pezzi, come mi ha detto Martino, mentre recito il Gesù d’amore acceso.
Boccone dopo boccone svuota il piatto, e come contorno, al posto della lattuga, preferisce il bicchiere di vino che si versa per intero nella gola; ha gli occhi di un’orata in cottura e due gocce alcoliche sulle labbra.
Dopo il secondo bicchiere la metto a letto e con il pollice le disegno tre croci invisibili su fronte, labbra e petto. Alzo gli occhi e vedo sant’Ambrogio musicista che dirige il coro di Milano con la spada puntata verso di me. Pelle gialla nel frattempo ha iniziato a tremare come una mendicante infreddolita e respira forte. Prendo una coperta di lana dall’armadio e la copro fino al mento, come mi ha ripetuto più volte Martino. Mi ha detto anche che quando respira così, allora quello è il momento giusto.
Le quaranta euro stanno in un astuccio di pelle nel cassetto del comodino. Sento un rantolo e mi volto. Pelle gialla è sveglia e mi fissa con l’unghia puntata tipo lama ambrosiana, «Mmm mmm» dice «mmm mmm». Alzo le mani, «Buona, buona» dico. Non esiterebbe a farmi un buco in fronte macchiando il pavimento di materia grigia e sangue. Mi avvicino, le stringo il braccio secco, con l’altra mano cerca di aggrapparsi ai miei capelli, non ci riesce, sussurra cose, la immobilizzo a letto bloccandole i polsi con il rosario, poi schizzo fuori e chiudo la porta a chiave lasciandole, come unico compagno, il lampadario acceso.

Martino dice che sono scemo, lento di cervello, che ci ho messo troppo tempo e che dovevo prendere le collanine d’oro e d’argento, che con quelle avrebbe potuto bere vino per un anno intero senza problemi. Dice: «Dammi i soldi di mia nonna, dove sono i soldi, dammeli subito, sì, subito». Mi tiene per le spalle. «No» dico «non ho niente, non ho niente». Mi trova in tasca i quattro santi e ci sputa sopra. Agli angoli della bocca gli si forma la crema bianca, barcolla e ha il fiato bollente. Lo faccio cadere per terra con una spinta e mi allontano di corsa. Entro in chiesa e mi siedo vicino alle candele. C’è silenzio, sento il cuore rimbombarmi dentro. Con gli occhi gonfi e il sale sulla faccia, tiro fuori le quaranta euro dalla tasca, le infilo in una fessura scavata nel legno, e infiammo quattro ceri. Per noi, e per i santi.

Andrea Pauletto
È nato nel 1982. Vive ed opera al limitare di un lago. Ha scritto il monologo teatrale Mia e pubblicato racconti brevi per le riviste Narrandom, Il Foglio letterario, Altri animali, Neutopia, Risme, Oblique.

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