Three Faces

La terza faccia della medaglia

L’analisi del rischio, un racconto di B. Bendinelli || Street Stories


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L’analisi del rischio

di Benedetta Bendinelli

Illustrazione di Zolfo

I soldi salvano: se ci sono è tutto in discesa, se non ci sono vanno trovati. I soldi tengono la testa impegnata e, in questo senso, meno se ne hanno meglio è.
Ci stavo pensando ieri sera, dopo aver chiamato il mio idraulico per la centesima volta negli ultimi due mesi – di poco esagero. Il lavandino del bagno perde da quando Olga si è trasferita a Bruxelles, e non è un caso. Nessuna delle due cose lo è.

Olga ha numerose colpe, la prima tra tutte è quella di lavorare per la Banca Centrale Europea. Mi contraddico se affermo che lavorare in quell’ambiente è una colpa? No. Perché la Banca Centrale Europea non si occupa di soldi, quantomeno non del genere di soldi che ha potere salvifico, o la consistenza adatta a tappare buchi e a riempire vuoti. La Banca Centrale Europea infatti tratta la valuta, che è un’idea, mentre il cash è un fatto. Olga lavora per le idee degli altri, per le valute degli altri, per i vuoti degli altri. Non si occupa di fatti, tantomeno di me.

La seconda colpa di Olga – forse la più inespiabile – è la tristezza. Come si può essere colpevoli di un sentimento che è causa di dolore per chi lo prova? Non è forse una croce, una dannazione, una malattia? Penso che si tratti – al contrario – di un sentimento quasi violento, come uno schiaffo che si dà solo per paura di riceverlo per primi. Si è quindi colpevoli di tristezza, non ne siamo vittime; proprio come Olga, carnefice di sé stessa, con le sue idee campate in aria e la sua malinconia: due cose che fanno presto a diventare calci nel culo.

Faccio un esempio. Quando ascoltavamo insieme una canzone, lei cercava sempre di capirne il significato; io invece ne apprezzavo la melodia, fregandomene del testo quasi sempre straziante (se era lei a scegliere il brano). Qualcosa come Sing me to sleep poteva diventare una preghiera e trasformarsi in pianto, e mentre si voltava dall’altra parte del letto dandomi le spalle non mi avvertiva mai che sarebbe stata impegnata a singhiozzare per il resto della giornata. Chiedevo «Cosa c’è?» ma non c’era mai nulla e io mi facevo bastare una bugia come risposta, ne bastava davvero una.

Lo scorso febbraio ha ottenuto un posto come risk analyst alla BCE: dopo il master e lo stage era abbastanza chiaro che avrebbe fatto un bel passo avanti nella sua carriera. Mi ha scritto una lettera prima di partire, dicendomi che si sarebbe fatta viva più avanti, quando le cose anche per me sarebbero andate meglio. Subito dopo aver riposto la lettera nella busta sono andato in bagno a guardarmi allo specchio, come fanno gli attori nei film quando cercano una risposta nell’immagine riflessa. Ho tirato un 28 calcio al lavandino – più per noia che per rabbia – e così adesso il tubo è ancora rotto, piange sotto le mie gambe come faceva Olga quando le chiedevo di farmi un pompino.

L’inverno sta per finire e fra qualche mese non penserò più a lei. Non ne sono certo, anzi ne dubito e così provo a concentrarmi su altro, per esempio sui soldi. Pensavo a fare soldi anche quando pensavo a farmi lei, e pensavo a farmi anche altre donne sebbene volessi stare solo con Olga: nel letto o nella vita, non lo so. Inutile pensarci, tanto non mi voleva più di quanto io non volessi lei.

Quello che non avevo considerato, quando stavamo insieme – e poco prima di tirare il calcio al lavandino – è che avrei sentito la sua mancanza più della sua presenza. Lei accanto a me aveva la consistenza del vapore ustionante. Olga era calda di rabbia e di ambizione. Sentivo bollire la sua anima sovversiva, la vedevo trattenere la frustrazione, legare la sua inquietudine dentro crampi muscolari che le facevano vomitare bile verde. Era calda di tutto questo e io avevo paura di bruciarmi.

I soldi erano un problema anche allora, quando stavamo bene tutto sommato. Siamo mai stati bene, insieme? I soldi (non averli), mi facevano sembrare una persona debole ai suoi occhi, per il fatto stesso che ci pensassi. Allora provavo a farla ridere, volevo conquistarla con la mia personalità, sperando che bastasse. Ero convinto che alcuni gesti appartenessero soltanto a me: addentare un hamburger ruotando il dorso del pane verso il basso; toccare velocemente il pavimento con un dito prima di uscire da una qualsiasi stanza; girare il caffè con il manico del cucchiaino; odiare i vecchi; amare l’inverno più dell’estate. Anche adesso, da poco che vivo da solo, continuo a fare quei gesti, quasi ammiccanti, come se volessi conquistarmi. Con il passare del tempo ho dimenticato quali siano le cose vere del mio modo di muovermi, quali passi abbiano l’originale cadenza di quando ero piccolo e quali invece siano un vezzo creato dalla mia immaginazione, dall’interpretazione di me stesso. Ma questo è un altro discorso.

La nostra è una generazione di poveri, comunque la si guardi.
Non mi stupirei se al colloquio finale per ottenere il lavoro avesse detto proprio questo, per fare una bella figura e sembrare cinica, poetica, sintetica e realista al punto giusto, senza dire troppo, azzeccando anche il tono. Vorrei poterla rivedere tra vent’anni, quando ne avremo cinquanta – più o meno – e io avrò sempre meno cose da raccontare di lei. Dirò che ho vissuto in Francia per qualche mese, provando a far funzionare una start-up che vende arte nelle case, creando uno scambio cash-free di opere senza un acquisto definito convenzionale, ma grazie a un semplice circuito di valore alimentato con la popolarità e il successo mediatico.

L’entrée d’artist – si chiamerà così il progetto – sarà ispirato a una targhetta di metallo inchiodata alla porta della vecchia camera di mio fratello, che non è mai stato un artista. Spiegherò che per qualche motivo questa scelta mi ha allontanato dal mio obiettivo principale, ovvero fare soldi, e così mi sono ritirato dalla società vendendo la mia quota ma non la proprietà intellettuale, per quella ho firmato un contratto d’uscita che mi garantisce il copyright. Poi guardando in basso – rischiando di sembrare un bugiardo – racconterò di aver comprato un appartamento a Ginevra che affitto regolarmente da anni a famiglie russe che devono trascorrere lunghi periodi in Svizzera per questioni d’affari o di eutanasia. Quello è un mercato sconosciuto alle persone superficiali, quelle che pensano che i soldi si fanno con la forza di volontà. Dirò che non mi sono sposato e non ho fatto figli ma che adesso vivo con una donna di qualche anno più giovane di me, senza specificare l’età. Da lì in poi resterò in silenzio in attesa di sapere se lei si è sposata, se vive da sola, se alla fine è rimasta incinta e se ha comprato una casa con qualcuno. Farà esattamente lo stesso gesto infame e coraggioso di voltarmi le spalle senza degnarsi di rispondere. Stronza.

La cosa importante, per me, sarà sapere se avrà espiato quella tremenda colpa o sarà ancora triste.

L’analisi del rischio, un racconto di B. Bendinelli || Street Stories

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