Three Faces

La terza faccia della medaglia

I giusti sentimenti, un racconto di F. Bordonali || Street Stories


I giusti sentimenti, racconto di F. Bordonali illustrazione di Brucio

I giusti sentimenti

di Francesca Bordonali

Illustrazione di Brucio

«Voglio morire con i giusti sentimenti».
Mio nonno aveva gli occhi persi nel vuoto mentre lo diceva. Uomo massiccio, uomo di mondo, aveva fatto la guerra. Ora sembrava sbagliato chiamarlo vecchio. Ottantaquattro anni, addosso a lui, erano come un vestito classico, mai fuori moda. Le note del tempo lo attraversavano e ne uscivano amplificate, soavi all’ascolto.

Io avevo undici anni e la speranza nel cuore. La giovinezza mi regalava una spensierata superficialità, anche se poca è quella concessa al sesso femminile a quell’età. Portavo i calzoni corti e giocavo con i miei cugini nei campi, ma non quel giorno. Quando il nonno disse quella frase ero l’unica ad ascoltare. Eravamo due facce di una medaglia: non ci eravamo mai visti davvero.

«Mia nonna è morta a centotré anni, con i giusti sentimenti, mangiava polenta fredda e saliva le scale, continuava mio nonno. Uomo che era stato attraversato dalla guerra e da due infarti. Non aveva lasciato che lo ferissero, era rimasto alto e fiero. Tutto si era trasformato in racconti per i suoi nipotini maschi. Lui, terzo di undici fratelli, rivolgeva ora queste parole a me. La fanciullezza mi avrebbe permesso di ridere alla frase del nonno, ma l’indole sensibile mi portava a ripensarci prima di far trapelare una risata sciocca. Il mondo fuori guardava immobile, come solo a ferragosto è capace di fare. Il suono delle sue parole mi entrava nelle orecchie, ma la mia mente non era sicura di aver capito e stava in silenzio.

«Anche io voglio morire così, con i giusti sentimenti, diceva. Mio nonno per vivere avrebbe voluto cantare, ma le sue mani deformate raccontavano che non aveva potuto. Ora la sua voce era quella di un vecchio, solo più dolce. Cantava canzoni napoletane e di chiesa, usando la voce e il cuore. La guerra gli aveva portato via ogni possibilità di scelta. Non aveva mai desiderato combattere, se non per i propri sogni, e la lirica sarebbe stato un bel sogno per cui combattere.

Uomo tenace e uomo d’azione. Io, bimba gracile fin dalla nascita. Al nonno piaceva raccontare ai nipotini come faceva ridere i compagni al militare. Mi avvicinavo per ascoltare, ma mia nonna mi prendeva per mano per portarmi con sé. Mi faceva conoscere le erbe e decorare i dolci. Mio nonno mostrava ai nipoti maschi la foto di lui sul carro armato, da giovane, un sorriso amaro sul volto ancora di fanciullo. Un sorriso ancora più amaro sul suo volto anziano. Io guardavo di nascosto la stessa foto la notte, quando nessuno poteva vedermi. Immaginavo le storie che non mi era concesso ascoltare.

Il nonno mi voleva bene. A volte vedevo i suoi occhi bagnarsi quando mi guardava. Mi portava alla fiera e mi comprava le caramelle. Non parlava, ma so che mi voleva bene. Era un uomo tutto d’un pezzo e a quelli come lui non è concesso confessare certe debolezze. Mio nonno era un uomo buono. La religione gli aveva insegnato a rispettare sempre il prossimo. La cultura del suo paese gli aveva insegnato che il genere femminile è diverso e come tale va trattato. Mio nonno voleva bene alla sua unica nipote, ma con lei certe cose non pensava di poterle condividere. Le sue memorie non potevano essere affidate ad una bimba. Forse per discriminazione. Forse per ignoranza. Forse, in fondo, per proteggerla.

Le memorie di mio nonno erano orrore, sofferenza, sacrificio. Una bimba per lui doveva pensare a bambole, vestiti e fiori. I nipoti maschi invece dovevano sapere. Preferiva non immaginare un destino di dolore per la nipotina. Per i nipoti, invece, il triste destino era un’eventualità.

«Perché il nonno non mi racconta mai le storie?, chiedevo a mia nonna. Lei mi dava una carezza e diceva che lui sa parlare solo di cose da uomini. Sedevamo assieme ad un grande tavolo preparando i ravioli per il pranzo. Io seppellivo la sofferenza dentro di me, senza riuscire a comprenderne completamente la causa e incapace di chiedere spiegazioni.

«Voglio morire con i giusti sentimenti. Ormai abituata a non essere interpellata da mio nonno, rimasi in silenzio, di fronte a quella frase. Lui non mi guardava. Guardava le foglie fuori, immobili e indifferenti. Loro non si curavano delle nostre vite, troppo occupate a risplendere al sole. Pensavo di aver capito ma di non aver diritto a ulteriori spiegazioni. Le sue parole erano perfette così come erano. Mio nonno aveva viaggiato per anni con questo segreto. Aveva provato ad affidarlo lungo il cammino a un amico, a un parente o alla sua anima gemella. Non ci era riuscito. Aveva iniziato a pensare che sarebbe stato sepolto assieme alla sua confessione. Vide in me qualcosa. Il mio sguardo non accusava. Le mie parole non giudicavano. Non possedevo la tipica crudeltà della fanciullezza. Io ero una culla in cui adagiare con delicatezza il suo segreto. Quando lo fece, lo accolsi come il bene più prezioso del mondo. Non capivo il senso delle sue parole ma avevano scelto me e niente poteva rendermi più felice, allora.

Anni dopo capii cosa aveva voluto dire. Giusti sentimenti: voleva esserci. Fino al suo giorno di addio lui voleva essere se stesso. Come sua nonna che mangiava polenta fredda e saliva le scale. Azioni simbolo di una consapevolezza di sé sufficiente a una morte serena. Nel suo ultimo giorno voleva baciare sua moglie, salutare i figli e abbracciare i nipoti. Io l’avrei guardato negli occhi e lui questa volta avrebbe ricambiato lo sguardo. Visto? Ce l’abbiamo fatta. Questa sarebbe stata la frase complice scambiata in silenzio. Nel giorno peggiore saremmo stati uniti, per darci forza. Questo sarebbe stato il nostro lieto fine.

Il nonno, sdraiato nel letto, aveva un corpo magro e due occhi vuoti. Un mostro aveva divorato la mente e la dolcezza. Non cantava più, mio nonno, ma io quando lo guardavo sentivo ancora l’armonia della sua voce. Non sapeva il mio nome e forse neanche il suo. Quando mi lasciò, mio nonno non aveva i giusti sentimenti e io ero l’unica a sapere che quello era stato il desiderio più grande della sua vita. Un desiderio che aveva affidato in custodia alla sua unica nipotina femmina.

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