GOT: Argomenti Cogenti
di Roberta Dell’Ali
“And here we are, con cadenza rigorosamente irregolare, a mettere in fila pensieri tassativamente confusi, ricordando a me stessa che, a discapito di quanto mi piaccia usarli, con gli avverbi devo andarci piano”: questa era l’intro originale dell’articolo. Ora, mentre sono su un treno sbagliato, un no stop diretto a Milano, che salta bellamente la fermata di Bologna Centrale, quella per cui è dalle 6.30 di stamattina che sono in giro, ora sarebbe opportuno che l’intro fosse di imprecazioni, maledizioni e bestemmie a mezzi denti, che qui i passeggeri sono delicatini e non posso urlare.
In questo articolo si parla di GOT, alias Game of Thrones – per la gioia di Simone Piccinni e tutti coloro che come lui di fronte alle “manie massive” soffrono la frattura dei coglioni. Vi dirò, in realtà avrei voluto essere più seria, parlare magari della follia che invasa il mondo, del riemergere di idee e ideologie marce e pestilenziali che quotidianamente avanzano e fanno adepti, avrei voluto dire di quanto sia avvilente vedere appassire quel germoglio di buon senso che il secolo scorso sembrava aver innestato a forza di orrori. Ma il male è sempre dietro l’angolo, la gente è sempre pronta a lasciarlo passare e a dimenticare: io non ho la competenza per fronteggiare il male in una manciata di battute, spazi inclusi, in particolare quando il cervello mi va in brodo di giuggiole per le stronzate che faccio, tipo andare nella regione sbagliata. Allora sto sul treno sbagliato e nella disperazione di non avere parole per raccontare quello che succede in giro né per quello che comporta non avere un piano di vita comprovato dalla comunità – il tutto con l’aggravante di non poter vedere la 8×4 sul divano, con la mia coinquilina e una Morettazza in mano come avevo pianificato – credo che l’unico vero argomento cogente di cui io possa parlare sia Game of Thrones.
Così esporrò pubblicamente in questa sede le innumerevoli pippe mentali un po’ nerd di Casa Rialto, ricapitolerò e spoilererò un monte di cose, ma solo fino alla 8×3, perché sono onesta. Dunque picciotti se non avete ancora visto il terzo episodio dell’ottava stagione bisogna innanzitutto che vi vergogniate un po’, poi che smettiate subito di leggere: la coscienza sporca non la voglio. Nel caso in cui invece non abbiate proprio visto GOT, non saprei che dire: magari provate a vedere se ci capite qualcosa in questo rigurgitato opinionismo di bassa lega, magari vi piglia bene e lo iniziate – o più probabilmente no: otto stagioni in un’unica soluzione sono tante e sono troppe anche le emozioni senza pause e attese ricostitutive che vi aspetterebbero. Oggi nemmeno io me l’accollerei mai e io a GOT voglio proprio bene. Sì, gli voglio bene e sono affezionata a Winterfell quasi come lo sono a casa mia e dico quasi solo perché lì c’è un freddo davvero troppo porco per me: il clima è l’unica cosa che non cambierei di King’s Landing.
Quando ho iniziato a vedere Got ero una pargola, una che pensava di avere in pugno il significato della vita, una dolce stellina piena di valori e speranza e amore, adesso sono passati dieci anni, la fine del mondo è arrivata e scampata e il numero di morti dalla prima stagione a ora è pari ai cambiamenti della mia persona: parliamo di un numero altissimo di deceduti e di cambiamenti. Sono successe infinite cose, per esempio il fottutissimo Night King è morto! Tac! Arya Stark, che è anche No One, che recentemente è diventata donna e che è un personaggio notevolmente ben riuscito, lo ha ucciso con una mossa magistrale e pulitissima. Dico, ci rendiamo conto? Lei era solo una piciola un po’ ribelle quando Syrio Forel le ha chiesto per la prima volta: «What do we say to the God of Death?» e lei, ora come allora, risponde: «Not today». Così, dopo dieci lunghissimi e merdosissimi anni di sopravvivenza in un mondo di soprusi e meschinità, Arya resiste e si nega per l’ennesima volta rocambolescamente al Dio della Morte: un po’ come il buon senso nel nostro paese ai giorni nostri, nonostante al governo ci sia quel pagliaccio; un po’ come quella stupida parte di me che non si arrende, nonostante sia chiaro che in fin dei conti l’emotività è roba da scemi.
C’è anche Jon: imperituro sogno erotico di quasi ogni donna con cui mi sia capitato di parlarne, sempre un po’ cane a recitare (ma quella è colpa di Kit e glielo perdoniamo perché è bello assai), ma soprattutto riportato in vita da Melisandre in virtù della sua onestà. Si vocifera infatti che Jon sia l’Azor Ahai, una specie di Gesù che salverà il mondo quando la Lunga Notte si abbatterà sull’umanità, un messia figo in nome del quale hanno ucciso un pozzo di gente e bruciato bimbe su roghi; proprio come è successo nella storia vera, o no? Che poi io non lo so come funziona questa cosa delle profezie, a me pare che la situazione l’abbia effettivamente svoltata Arya, mica Jon che stava a fare il coglione coi draghi – usati malissimo – e a guardarsi romanticamente con Daenerys. Ma ammetto di non essere io la maga delle teorie, quella è la mia coinquilina, se avete bisogno di chiarimenti vi passo il contatto: lei come Melisandre ha i capelli rossi, immagino che sia questa la prerogativa per la reale comprensione di quel bordello che Martin ha creato.
E Cersei? Sempre bellissima e irrimediabilmente figlia della merda, conscia del suo destino sin da bambina se ne frega delle profezie e per megalomania mette tutto a fuoco e fiamme, condannata a vedere morire il sangue del suo sangue, si rifiuta di mostrare un briciolo di empatia pure quando l’intera umanità è in pericolo: come chi guarda ai propri interessi sempre e comunque e ‘sti cazzi che il mondo va a rotoli. Fortunatamente c’è Tyrion, che ha pure ripreso a bere come comandano gli dei, confermando la sua vera essenza – smart and drunkard –: lui è il politico che vorremmo, ma che ‘gna fa perché è nano, divertente, alcolizzato e troppo intelligente per essere preso sul serio (che poi non lo so eh, nelle ultime stagioni non l’ho visto troppo in forma, sarà mica che invischiarsi troppo nelle robe della politica gli abbia fatto male?).
I personaggi sono tantissimi, tutti diversi, tutti sottilmente costruiti. Per esempio Sam: mi fa un po’ antipatia che non abbia ancora acquisito un minimo di decoro nel cagarsi addosso, ma ammettiamolo senza di lui saremmo comunque fottuti. Topo di biblioteca, trae segreti dalle pagine dimenticate di libri importanti e capisce che per uccidere gli Estranei o i non morti – non so bene – serve il vetro di drago; intellettuale bomber che salva l’umanità quando questa non è più in grado di procedere sulla via del bene.
Insomma alla fine della fiera mi sembra che in GOT ci sia molta più realtà di quanto non sembri, ci sono le crude dinamiche umane del potere, della guerra, della resistenza. Ci sono un botto di redenti, un infinità di personalità dispotiche, una caterva di gente che avendo subito le conseguenze della propria meschinità ha trovato la strada maestra: in quest’ultimo gruppo metto decisamente Sansa (stronzona che per capriccio ha convinto il probo padre ad andare a King’s Landing, dove lo avrebbero crudelmente decapitato, ma che poi s’è subita un pugno di psicopatici pronti a stuprarla e vessarla) e Theon (povera stella, torturato, rapito, evirato, picchiato, privato di ogni dignità per almeno sei delle otto stagioni). Potrei andare avanti per ore ma mi fermo con lui, con Bran, che non è nemmeno tra i miei personaggi preferiti, ma che è cruciale in tutta la storia di GOT. Bran è un bimbetto simpatico e timido che diventa storpio dopo i primi trenta minuti del primo episodio della prima stagione quando Jaime Lannister – colto in flagrante nell’apoteosi di un incesto clandestino all’ultimo piano della torre più alta – lo spinge giù senza indugio. Bran, sopravvissuto miracolosamente a un po’ di tutto, è un fottutissimo metamorfo! Sa tutto: passato, presente e futuro. Il Night King vuole proprio lui, lo vuole fare fuori perché la sua persona costituisce la memoria dell’umanità e se Bran morisse non ci sarebbe più nessun domani: grazie al cielo Arya lo salva in calcio d’angolo!
D’altro canto l’umanità avrà sempre la possibilità di salvarsi finché saprà ricordare cosa significa essere uomini e cosa ha significato dimenticarlo. Chissà che succederà nelle prossime tre puntate, durano ottanta minuti ciascuna. Ho paura e so di certo che alla fine di GOT mi sentirò vuota. Per il momento: hold the door.