Dopo aver scritto Vagamondo, un libro che parla del suo viaggio intorno al mondo senza l’uso dell’aereo, dopo aver percorso l’Italia intera a bordo del suo furgone per promuovere la sua opera auto-pubblicata, dopo aver visitato più di 40 paesi negli ultimi 5 anni e aver addirittura gestito una guest-house in India, Carlo Taglia, 30 anni, è tornato a Torino, la sua città, per seguire nuovi progetti e raccontare le sue esperienze attorno al globo ai ragazzi di scuole e università.
L’ho incontrato in una tisaneria del quartiere in cui vive, per fargli qualche domanda e sentire come è andata la sua esperienza sulla strada.
Dopo il giro del mondo senza aerei e tutti i tuoi viaggi, come ti senti?
Negli ultimi cinque anni ho viaggiato come un matto, ho visitato 40 paesi diversi, ogni due, tre mesi cambiavo nazione, ricominciando tutto da zero ogni volta.
Adesso che sono tornato, ho voglia di creare, produrre, studiare e seguire vari progetti: quindi starò fermo per un po’ a Torino. Sono felicissimo di stare qui perché ho vissuto al massimo ogni anno della mia vita. Non ho rimorsi né rimpianti, mi sento tranquillo.
Posso condividere cose importanti, voglio mettermi in contatto con ragazzi più giovani e raccontare la mia esperienza perché, per quanto mi riguarda, il viaggio mi ha salvato la vita: essere da stimolo per chi in questo momento prova lo stesso malessere che mi ha spinto a partire, mi farebbe molto felice. Vorrei riuscire a prendere il bello di quello che ho fatto e trasformarlo in qualcosa di pratico che possa essere utile a qualcun altro.
Il dolore più grande, a volte, può essere trasformato in un’occasione, ci può far scoprire un’energia che ci porta a reagire e a vivere grandissime opportunità. A volte sono proprio le esperienze negative che più ti formano: per questo non bisogna fuggire, ma viverle fino in fondo.
Qual è la tua filosofia di viaggio? Quali sono i primi approcci quando visiti un paese che non conosci?
Prima di tutto, cerco di capire quali sono le parole basiche, come “ciao, come stai, grazie”, proprio per cercare di iniziare a superare le prime barriere. Mi piace andare a osservare la gente in piazze e mercati, spesso nei quartieri più popolari, per vedere come vivono le persone la loro quotidianità. Andare a vedere monumenti non è una cosa di cui mi importa molto. Prima di andare in un paese mi informo un minimo sulla storia, ma senza esagerare. Io scelgo più l’umanità, la cultura, la gente, perché è questo che ti lascia qualcosa alla fine di un viaggio, non l’aver visitato un monumento. Trovo, tra l’altro, i luoghi troppo turistici finti, non autentici… Io viaggio soprattutto per il contatto umano. Voglio conoscere la gente del posto, uscire con loro: per questo non mi interessa ubriacarmi e fare festa. Ad esempio, ultimamente, sono stato tre settimane in Grecia, a Salonicco, ho dormito in una camerata di 8 persone, ma non ho legato con nessuno di loro. Ero in giro tutto il giorno, spesso anche la sera, per conoscere persone del posto, e ne ho conosciute davvero tante, provando a imparare da solo il greco. Quando arrivo in un posto è una cosa che mi piace: andavo in giro e chiedevo la storia della città ai ragazzi, agli studenti dell’università di Salonicco. Per me questo è un viaggio culturale.
Hai viaggiato molto e hai avuto la possibilità di entrare in contatto con una miriade di culture diverse. Cosa pensi della nostra società e dei suoi valori, e soprattutto cosa ne pensa la gente dei paesi che hai visitato?
Secondo me, in primis l’Europa e poi i paesi occidentali in generale, si comportano come i parassiti del mondo. Dopo la scoperta delle Americhe e dell’Oceania abbiamo distrutto i tesori più belli del nostro pianeta, che poi sono queste popolazioni indigene, sterminate dai conquistadores. Ancora oggi, ad esempio in Brasile, la sopravvivenza di alcune tribù è minacciata dagli interessi delle multinazionali. Più conosco la realtà del mondo e più provo un gran disgusto per quel che ha fatto l’Europa.
La sete di potere degli europei è il male del mondo, la loro sete di progresso che non guarda in faccia a nessuno stermina tutto ciò che c’è di bello. Adesso vanno a cercare l’acqua su Marte… ma pensa a non devastare la Terra! Vogliono trovare un altro pianeta da distruggere quando questo sarà disintegrato?!
Nei paesi che ho visitato a volte sono convinti che il nostro sia il continente del benessere, ma è importante capire che non è così, non è tutto oro quello che luccica.
Ho trovato più malessere da noi che in paesi molto più poveri: in Sud America e in Asia la gente vive con più allegria, semplicità e più a contatto con la natura.
Da noi, magari abbiamo tutto dal punto di vista materiale, ma poi dentro stiamo male, non siamo felici della nostra vita, prendiamo psicofarmaci.
Pensi che la diffusione di esperienze come la tua possano mettere in pericolo l’autenticità di luoghi ancora non toccati dalle rotte turistiche?
Sicuramente può essere un’arma a doppio taglio. La cosa più importante per me è trasmettere prima di tutto la cultura del rispetto. Durante gli eventi e nel libro cerco di spiegare bene quale attitudine bisogna avere quando arrivi in un posto nuovo: è importante immedesimarsi nella cultura ospitante, vestirsi come loro, mangiare come loro, spostarsi come loro, dormire come loro anche se si hanno le possibilità di farlo meglio. Provare a vivere la vera cultura vuol dire proprio questo: togliersi di dosso il proprio costume da occidentale e viverla. In questo modo non si dovrebbe intaccare l’autenticità dei paesi che visitiamo.
Certo è che la maggioranza del flusso turistico non segue questa attitudine. Le persone vanno in quei paesi e mantengono lo stesso stile di vita di quando sono a casa. Che senso ha viaggiare?
Conoscere una cultura vuol dire viaggiare con i mezzi su cui viaggiano i locali, soffrire con loro. Se c’è rispetto e se soprattutto valorizzi le loro tradizioni e non cerchi di cambiarle, puoi vivere davvero un’esperienza totalizzante.
C’è chi viaggia per cambiare, chi viaggia per aprirsi, chi per fare un viaggio dentro di sé a livello spirituale e introspettivo e c’è chi viaggia per continuare a portarsi dietro tutto il male della propria cultura, ostentandolo.
Non per tutti il viaggio è un’occasione per migliorarsi, cambiare o riflettere sulla propria vita, anzi, per la maggioranza non è così. Poche persone hanno il vero spirito del viaggio. Tanti turisti e pochi viaggiatori, per quello in ostello non mi trovo bene. Vedi sempre la stessa situazione che si ripete: sempre la stessa gente, gli stessi vestiti e la stessa Lonely Planet: Arrivano in un paese per conoscere la gente dell’ostello e uscire con la gente dell’ostello. Ma se io arrivo in un paese voglio uscire e conoscere gente del posto. Se sei simpatico due chiacchiere le faccio anche volentieri, ma non sono in viaggio per quello.
Io poi viaggio anche per stare da solo. Durante il giro del mondo, ad esempio, notavo che se ero da solo scrivevo come un fiume in piena, mentre in compagnia questo non succedeva e mi rendevo conto di non essere concentrato su me stesso e sulle persone del posto in cui ero.
C’è molta gente che ha paura a viaggiare da sola perché magari pensa di non riuscire a cavarsela. Cosa ne pensi? Quali consigli ti senti di dare agli insicuri?
Tanta gente ha paura di star sola, non solo di viaggiare.
Non sa proprio come cominciare trovandosi in un paese diverso. Uno dei freni che abbiamo nei viaggi in solitaria è proprio questa paura di stare da soli; poi c’è il timore di staccarsi dalla famiglia, quello di prendere una direzione diversa dagli altri. Da una parte la società, dall’altra la famiglia, sono due fattori che ti condizionano in maniera paralizzante: tanti figli che vivono la vita che vorrebbero i genitori e tante persone che fanno lavori che non gli piacciono.
Molti non pensano che viaggiando possano venirti delle idee per magari inventarsi un lavoro più soddisfacente: se ci si adatta si trova la soluzione per ogni cosa.
Ho fatto lavori di ogni tipo nel corso dei miei viaggi: barista, cuoco, muratore, imbianchino. Se uno poi ha qualche soldo da parte può sempre comprare magliette a due, tre euro nei paesi che visita per rivenderle in Italia. Quest’inverno l’ho fatto anche io e rivendendo una quarantina di t-shirts mi sono ripagato il viaggio in India.
Inoltre viaggiando si entra in contatto con altri viaggiatori, che grazie alla loro esperienza possono suggerirti idee, vieni stimolato, senti gli altri in che modo se la cavano e ti dici “E perché io no?”. Quello che m piacerebbe fare, andando nelle scuole, è anche dare consigli pratici di come cavarsela all’estero, parlando di queste soluzioni. Ci son davvero tante possibilità, ma se non fai il primo passo non puoi scoprirle.
L’unica cosa che consiglio è di non partire proprio allo sbaraglio, magari di mettere da parte una piccola somma, e di informarsi un minimo sulla situazione del paese in cui si vuol andare. Poi fai questo tentativo: male che vada torni a casa arricchito da un’esperienza. Ti dico, magari non farlo a 30 anni, fallo a 20 che sei ancora giovane. Poi, secondo me, non è mai troppo tardi. È per quello che vorrei andare nelle scuole, per dire: “aspettate, non abbiate fretta, perché poi si arriva a 40 anni e si è pieni di rimpianti. Bisogna sfruttare il proprio tempo al meglio”.
Hai preferito l’auto-pubblicazione per raccontare la tua storia, nonostante le molte offerte da case editrici. Cosa consiglieresti a un ragazzo che ha la stessa volontà?
Prima di tutto dipende da quale tematica si vuole affrontare nel libro, è sempre meglio fare ricerche per capire come poter fare, non è affatto facile e ci si deve arrangiare per ogni cosa.
Il punto di forza per quello che ho fatto io è che avevo già un blog di viaggio da due, tre anni, seguito già da 15mila persone, e quando il libro è uscito avevo già un buon canale di distribuzione. Mi ero già auto-promosso, con anni di blog, affrontando una tematica che interessa molte persone e quindi non ho avuto troppo bisogno di una promozione vera e propria, ho venduto 5000 libri senza esser disponibile in libreria e biblioteca, solo attraverso la promozione web, è stato anche più facile seguire la faccenda continuando a viaggiare. Ma è fondamentale aver voglia di studiare e capire come funzionano tutti i processi editoriali per riuscire ad applicarli al proprio libro.
Quali sono i tuoi prossimi progetti? Hai già in programma dei viaggi per il prossimo futuro?
Stiamo traducendo Vagamondo in inglese, ho affidato il lavoro a una ragazza e ci metterà qualche mese, ma credo che entro la prossima primavera dovrebbe essere pronto. In questo momento ho fatto una seconda edizione del libro con Amazon, questa volta senza l’appoggio di Narcissus, per fare le cose ancora più autonomamente. Ho voluto essere più indipendente, nell’ultimo mese ho studiato editoria, mi sono impaginato da solo il libro e ora Vagamondo è disponibile in tutto il mondo. In questi mesi dovrò studiare il modo di promuovere il libro all’estero.
Per ora voglio fermarmi qui a Torino e ho intenzione di studiare sanscrito, yoga, seguire un corso di teatro. A livello lavorativo c’è la traduzione del libro e l’organizzazione di eventi per parlare dei miei viaggi nelle scuole.
Nelle prossime settimane mi metterò in contatto con diverse associazioni che lavorano con gli immigrati per fare volontariato, per poi aver occasione di scrivere un secondo libro che parli proprio del tema dell’immigrazione, per sensibilizzare la gente raccontando le storie di queste persone che a volte scappano da realtà molto ostili. In fondo nel corso dei miei viaggi anche io sono stato immigrato, anche se ovviamente scappare da una guerra è un’altra cosa. Quando viaggiamo siamo tutti immigrati: viaggiamo perché non stiamo bene a casa nostra e speriamo di trovare qualcosa di migliore. Dove sono stato mi è capitato di essere ospitato dalla gente e ora che sono qui vorrei contraccambiare tutta la gentilezza delle persone che ho incontrato. Adesso ho voglia di vivere il mio presente al massimo, senza essere troppo distratto, di godermi il mio primo inverno europeo dopo 5 anni, ritrovare un po’ di tranquillità e anche un po’ di routine, creare nuovi rapporti. Per il momento, il mio viaggio sarà vivere Torino con altri occhi, senza ricadere nelle dinamiche del passato, cercando di incontrare persone stimolanti che mi facciano vivere la mia città in maniera nuova e diversa.
Intervista di Andrea Federigi