Three Faces

La terza faccia della medaglia

Dissipatio H.G., un articolo di R. Cannarsa || THREEvial Pursuit


Dissipatio H.G.

di Rocco Cannarsa

“Infine ci si deve accettare in blocco, ci si deve lasciar vivere”.

Dissipatio H.G. di Guido Morselli

Dissipatio H.G. è un romanzo complesso. Troppo colto, troppo filosofico. Le 142 pagine che lo compongono richiedono un lettore disposto a viaggiare attraverso la frase, capace di un’analisi fredda e sentimentale. Lo stile è completamente innaturale, cervellotico, addirittura spocchioso. Ciò fa tentennare nelle prime pagine tra svariate pause e riletture. Poi, all’improvviso, quanto sembrava un limite, un ostacolo, diventa bellezza.

La storia è ambientata principalmente a Widmad, tra le montagne della Svizzera, una cittadina a pochi chilometri da Zurigo (Crisopoli nel romanzo). Il protagonista, un io anonimo che è tutta l’umanità, decide di uccidersi, annegandosi in un sifone nella notte tra l’1 e il 2 giugno, giorno del suo quarantesimo compleanno. Giunto nella grotta, però, non agisce. Un sorso di cognac lo porta a una riflessione che lo paralizza sulla differenza tra il distillato spagnolo e quello francese. Tornerà a casa, dove ha una soluzione più semplice: “Sono andato a prenderla, la mia ragazza dall’occhio nero, mi sono ridisteso sul letto con lei. Ho premuto la bocca sulla sua, a lungo. L’ho sollecitata col dito, una prima volta. Non abbastanza a fondo. E una seconda volta, sempre con la bocca sulla sua. Non la terza, perché d’un tratto l’ombra mi ha avvolto. E la quiete”.

Copertina di Dissipatio H.G. di Guido Morselli

Importante soffermarsi sulla quiete, sul silenzio. La particolarità del romanzo, infatti, è che dal momento in cui preme il grilletto è il suicida a essere vivo, mentre i vivi’ sono morti, spariti, evaporati: “C’è una vecchia lettura, un testo di Giamblico che ho avuto sott’occhio non ricordo per che ricerca. Parlava della fine della specie e s’intitolava Dissipatio Humani Generis. Dissipazione non in senso morale. La versione che ricordo era in latino, e nella tarda latinità pare che dissipatio valesse ‘evaporazione’, ‘nebulizzazione’, o qualcosa di ugualmente fisico, e Giamblico accennava nella sua descrizione appunto a un fatale fenomeno di questo tipo”.

Il senso di questa quiete, da sempre legata all’idea di morte, viene stravolto totalmente. È il silenzio dell’essere solo al mondo, vigile nell’attesa di un qualche cenno di vita: “Vedrò le luci intermittenti delle fusoliere, se la nebbia me lo impedisce sentirò il rombo dei motori. Non dormirò, starò di vedetta, o in ascolto”.

“Ciò che ‘fa’ il silenzio e il suo contrario, in ultima analisi è la presenza umana, gradita o sgradita; e la sua mancanza. Nulla le sostituisce, in questo loro effetto. E il silenzio da assenza umana, mi accorgevo, è un silenzio che non scorre. Si accumula”.

Blaise Pascal faceva derivare l’infelicità umana dall’incapacità di starsene da soli in una stanza. E questa incapacità è legata al pensiero, effetto ineluttabile della solitudine. Per questo lo stile di Morselli è tanto complesso, quasi incomprensibile, perché lontano dal parlato, lontano dalla narrativa che si è abituati a farsi passare sotto gli occhi, più vicino al privato; è propriamente linguaggio sub-vocale messo per iscritto.

È il carattere fantasioso del paradosso dell’evento narrato ad aver portato molti a etichettare il romanzo come ‘fantascienza post-apocalittica’. La trovo una definizione riduttiva. Con questo non voglio svalutare un genere letterario, è solo che ritengo che questa classificazione sia limitante e poco puntuale per l’opera e, soprattutto, che la vera letteratura non possa esaurirsi in una categorizzazione. Dissipatio H.G., piuttosto, è una riflessione sul genere umano, sulla direzione che sta prendendo. Questo non vuol dire che il romanzo nasca come una satira, una critica: “Ricordo numerose persone della mia stessa categoria (genìa) professionale, che di questa mia presente situazione, se fossero stati in grado d’inventarla, avrebbero detto: non si può supporre se non in chiave di paradosso farsesco. In vista di conclusioni socio-satireggianti. Ma è un tale tipo di supposto che sarebbe, non paradossale: idiota”.

Morselli dà uno sguardo oggettivo sull’essere umano e il suo rapporto con il mondo, con il denaro e con la morte. Certo, a più riprese il narratore si pone in aperto contrasto con il capitalismo e l’individualizzazione che caratterizzano la società contemporanea, a partire dal fatto che gli uomini evaporino ma le auto continuino ad accendersi: “e una sostanza così concreta non si sprofonda per maleficio del diavolo, non si vanifica per grazia o castigo celeste. Le sue radici attingono l’aeternum del capitale, quintessenza della realtà”. O ancora, con estrema ironia: “Per un analogo contrappasso puntuale, materialismo estremo avrebbe prodotto immaterialismo. Ontologico”.

Ritengo, poi, non ci sia contesto che possa rendere l’opera più attuale. Si ricorda l’angoscia che arrecavano le immagini, sembra che siano già così lontane e vaghe, delle città silenti e vuote durante la quarantena: “La situazione certamente è strana, anzi inspiegabile: vuol dire che non è vera? Solo gli ottimisti si illudevano che il reale fosse razionale, e io non sono mai stato ottimista. Ora, poi, mi sto convertendo al realismo più piatto. Il reale avendo dalla sua la durata e la coerenza (coerenza nel senso di uniformità e solidità), si può permettere il lusso di essere irrazionale e inspiegabile”.

Altro tema più volte trattato, e mai così attuale, è quello dell’inquinamento, nonché del rapporto uomo-natura: “Non ci sono più fumi nell’aria, a terra non ci sono più puzzi e frastuoni. (O genti, volevate lottare contro l’inquinamento? Semplice: bastava eliminare la razza inquinante)”. O se volessimo (è lecito?) pensare alla questione Green Pass: “Giosafat era questo nostro secolo, che discriminava, non faceva altro che discriminare, secondo i suoi codici rigorosi e innumerevoli”.

I macro-temi trattati nell’opera, però, sono due, anzi i due: la vita e la morte. L’evaporazione collettiva rende il suicida, il reduce, l’umanità: “[…] dal 2 giugno, la terza persona e qualunque altra persona, […] s’identificano necessariamente con la mia”. Da questo momento, così, l’opera diviene universale. E il morto, che crede di essere il sopravvissuto – l’unico – alla catastrofe, soppesa dubbioso se in realtà non sia l’unico dannato dall’ascesa. Questa doppia probabilità è molto interessante dal punto di vista filosofico: scampare alla morte (o morire in questo mondo) è sopravvivere o dannarsi? D’altronde vivere è, inevitabilmente, morire.

“L’umanità non ha responsabilità, non ha colpe, subisce un destino: amiamo la morte. La morte degli altri, e più ancora, in questo precipitare dei tempi, senza saperlo la morte nostra. Ma non è furore suicida, non è l’istinto di morte supposto dalla psicologia. L’uomo in realtà è passivo. È la Morte che agisce, e lo chiama a sé. E il suo è un appello a cui non si resiste. Soddisfatta del nostro consenso, tacito ma unanime, stanotte Essa verrà a prenderci, senza agonia per noi, senza angoscia. E questo epilogo, per moltissimi o per tutti, sarà la soluzione di problemi insolubili, il rimedio insperato di mali insoffribili. Strano che in altre epoche si temesse il millennio, la fine universale, come un crudele castigo, quando è così equa e benefica. Quanto a me, che ho 27 anni, verrà prematura? No. Sono con loro e come loro. Prima strumento involontario, ora offerto oggetto di morte”.

guido morselli morte dissipatio hg

La solitudine, però, quella stessa solitudine bramata tanto da portare all’eremitismo sui monti, diventa qualcosa che atterrisce, qualcosa che rischia di portare alla follia. Non solo la natura sembra perdere la sua consistenza: “Per vivere poeticamente la natura, mi occorreva qualcuno a cui contenderla, qualcuno da tenere lontano? Sconfortante: la natura era bella e tremenda, ma in funzione a-sociale. Supponeva, negativamente, l’uomo. Io la volevo inviolata, però violabile. Mi sto domandando: per goderla c’era bisogno dei cartelli: « Vietato l’ingresso »?”

Ma il silenzio diviene qualcosa che (ri)porta pensieri suicidi:

Ho trascorso ore a esaminare se ricorrerò alla ragazza-dall’occhio-nero. Che probabilità ci siano che io ritenti. Nessuna, mi dico. Perché il suicidio richiede un destinatario o dei destinatari. Qualcuno che noi decidiamo di punire, o viceversa di ammaestrare (vedi: Bruto). Non avendo destinatari, non posso più uccidermi, come non posso più spedire telegrammi”.

“Fatemi morire, nel bene o nel male li devo raggiungere. Non ero diverso da loro, mi assomigliavano tutti. Ignoranza e superbia incluse”.

“È che sono solo. Il mondo sono io, e io sono stanco di questo mondo, di questo io”.

I continui interventi del narratore, la complessità del linguaggio, la forza con cui costringe il lettore a sobbalzare nel tempo attraverso i numerosissimi flashback e flashforward. Ma cos’è il tempo? È proprio l’elemento più complesso dell’opera, per il suo svuotarsi di senso: “Problema coevo all’umanità e suo, verosimile, peccato originale, chiedersi: e dopo, che cosa farò? – Io non me lo chiedo. Sto scoprendo che l’eterno, per me che lo guardo da un’orbita di parcheggio, è la permanenza del provvisorio. La dilatazione estrema dell’attimo […]”.

Guido Morselli scrisse Dissipatio H.G. nel 1973, il medesimo anno della sua morte, ossia del suo suicidio. Tratta il tema, però, con un distacco che non richiama un vissuto, ma il gelo del morire.

Questa non può essere che una breve panoramica sulla forza espressiva e sulla ricchezza tematica di quest’opera. Scelgo, perciò, di chiuderla con uno dei passi più affascinanti:

“Se c’è stata l’umanità e ora ci sono io, solo io, decido di assumermi i compiti che ‘loro’ hanno dovuto abbandonare. Che cosa facevano ‘loro’ in sostanza? Che cosa facevano? Beh, è abbastanza semplice: agivano in vista di utilità. Inoltre, ragionavano sulle cose che si vedevano intorno, o che credevano di vedersi dentro. Poi, le rappresentavano, parole, segni, suoni. Altro non facevano. Sarò un riduttivo (un semplificatore) , ma ho idea di non avere tralasciato nulla. Continuarli, o sostituirli, non è un’impresa da farmi tremare, non farebbe tremare nessuno. In fin dei conti non avevano troppe pretese, né ambizioni”.

All photos by http://www.guidomorselli.org

Dissipatio H.G., un articolo di R. Cannarsa || THREEvial Pursuit

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