Three Faces

La terza faccia della medaglia

Le cose del Natale di R. Dell’Ali || Varie ed eventuali || THREEvial Pursuit


 

Le cose del Natale

36° 49′ 0″ N, 14° 57′ 0″ E

di Roberta Dell’Ali

threevial natale testa

Di sottofondo Alessandro Borghese e i ristoratori riminesi a farsi guerra, il divano di casa coccola come sempre e mamma parla in cucina con una sua amica. Stasera in televisione c’è Io e Marley, la tentazione di vederlo per la centocinquantesima volta è forte e in fondo al mio cuoricino scemo credo che se solo mi piacessero i cani lo vedrei una volta a settimana: è che la Aniston mi piace un sacco e Wilson fa l’opinionista, ovvero il lavoro della vita.

Insomma finalmente sono a casa, vagamente a nord rispetto all’Africa, sulla punta estrema dello stivale, nella parte sud-orientale della più grande e simpatica isola del Mediterraneo, in culo all’Europa: finalmente sono a Rosolini. Mi godo la tv e il divano e mi preparo a metter su una cosa come 500/800 g di massa al dì, d’altro canto secondo nonna Concy sono «troppo, ma davvero troppo secca». Non che questo genere di osservazione abbia dei fondamenti, infatti la mia magrezza cronica è irrevocabile a ogni mio rientro e prescinde dal mio ottimo stato di salute e dal mio effettivo peso corporeo, quale che sia. Mi rendo conto di essere stata un po’ più tonda di così tra i nove e i sedici anni, ma poi lo sviluppo, la crescita, insomma diventando una signorina ho perso quei sei chiletti e ancora Concy non riesce a farsene una ragione. Non so se sia necessario, ma per amor di chiarezza forse è il caso che precisi: Concy sta per Concetta e se si dovesse profilare un’analisi statistica dell’onomastica nonnesca in Sicilia, risulterebbe che almeno il trenta percento delle nonne sono delle Concette, mentre il restante settanta percento è tutto pieno di Carmele, Mariuccie, Iane, Enze, Pine, Sante e via dicendo. Per altro, un mio amico mi ha da poco esposto la sua teoria secondo la quale le migliori in cucina sono proprio le Concette e a pensarci su non mi sento di appoggiare la tesi, ma nemmeno di smentirla.

threevial natale ridottoFatto sta che sono arrivata da quarantotto ore e non ho mai smesso di digerire. Non sto qui a dirvi quante e quali cose ho già mangiato, ma mi sembra degno d’esser nominato almeno il sacro panino con la carnazza di cavallo che ho divorato ieri sera. Chiedo perdono ai vegetariani del mondo, anche perché io tutti i giorni vi perdono, ma ho fatto fuori quel panino con un entusiasmo che nemmeno Brad Pitt in Troy avrebbe saputo suscitare. Lo desideravo da così tanto tempo che mentre la ragazza lo portava al tavolo fumante e unto*, io mi stropicciavo gli occhi e mi pizzicavo il braccio per accertarmi che non stessi sognando ad occhi aperti – lo dico perché m’è successo di sognarlo il panino con la carne di cavallo e il risveglio a milleduecentoquarantotto virgola tre chilometri dal poterlo avere è sempre terribile. E dunque stamattina mentre ancora, da brava signorinella, segretamente ruttavo il panino, mia nonna già mi chiedeva cosa avrei voluto che lei cucinasse per Natale oltre la meraviglia delle scacce.
Quando la parola scaccia inizia a risuonare dalle labbra della massima produttrice di meraviglie un ciaone beato mi appare sul viso e l’Aria sulla quarta corda parte a tutto volume: amici, voi non potete saperlo, ma le scacce sono quella cosa che quando mi sono resa conto che l’umanità al di fuori del circondario modicano non le conosceva, m’ha fatto male il cuore e m’è dispiaciuto davvero per tutti.
Prometto che un giorno le esporterò nel mondo e donerò felicità al resto di questa sciagurata umanità; per adesso posso dirvi che di base si tratta di una pasta incantata, stesa sottilmente da mani sapienti, farcita con elementi vari, gustosi e meravigliosi che illumina e sazia le tavole di tutte le famiglie di questa parte di Trinacria durante la notte della vigilia di Natale (e per i sei giorni seguenti, dato il mancato senso della proporzione della nonna media locale).

Ad oggi mi sento di poter affermare con certezza che se c’è gente che odia il Natale, può farlo solo in virtù dell’ignorare l’entità scaccia. Non si tratta di una banale pietanza della tradizione, è piuttosto la materializzazione dell’amore familiare, del calore del focolaio domestico: è bene sublimato a vita. Cioè, io lo capisco che come ricorrenza il Natale possa dar fastidio: le città impazziscono, luci e spreco di corrente elettrica in ogni dove, la gente spende e spande a minchia a destra e a manca, ci sono sempre gli esaltati in giro che dicono fanno e predicano cose strane e c’è sempre qualcuno che fa il nostalgico o invoca la magia del Natale che ci fa tutti più buoni – Dio maledica Bauli per aver instillato questa menzogna nelle nostre menti. Pensate anche che essere di Rosolini equivale nella prassi a dover tornare “dove ha lasciato le scarpe Gesù”**, il che è economicamente insostenibile se si considera la mia incapacità organizzativa. Infatti quando la meta di ritorno è a munnu persu*** sarebbe opportuno prenotare i voli per le feste comandate tra luglio e settembre, quando ancora i pensieri non sanno cosa sia l’inverno e l’idea dell’anno nuovo non s’è formata. Tutto questo anticipo è necessario perché altrimenti finisce che i biglietti aerei diretti in Sicilia costano quanto un rene e un pezzetto di fegato e l’altra alternativa è scendere con un viaggio della speranza in autobus, che impiega lo stesso tempo utile per andare a New York.
Quindi sì, il Natale è un momento che ha moltissime deficienze e me ne rendo perfettamente conto. Ma le scacce valgono ogni cosa: anche nonna Concy e mamma che parla al telefono e mia sorella che m’abbraccia troppo e mio fratello che mi ripete Verga. Mamma Gianna non capisce mai questo mio attaccamento disperato alle scacce, ma per me sotto la loro egida si muove tutto un esercito di cose normali, momenti banali e azioni quotidiane che mi mancano spesso e che riabbraccio poche volte l’anno.
Nonostante tutto mi sento quindi di affermare che il Natale è una cosa bella: mangi da Dio, ti riposi, torni a casa e ti ricordi da dove vieni. C’è di peggio insomma. Ed è chiaro a cosa mi riferisco.
Io ancora non lo so e ho paura a scoprirlo, ma voi? Voi cosa fate a Capodanno?

Note:

* Per quanto l’aggettivo unto sia la traduzione migliore dell’aggettivo siciliano ‘nsivatu, esso non dà quel senso di sugna e amore insito nel panino con la carne di cavallo: ci tenevo a precisarlo. (torna su)
** Letteralmente “Unni persi i scarpi u Signuri”, si tratta di una tipica espressione sicula che indica luoghi remoti e irraggiungibili dove solo Gesù, figlio di Dio, poteva arrivare con scarpe divine. (torna su)
*** A “mondo perso”. Altra espressione sicula che indica luoghi pazzi e lontanissimi. La sovrabbondanza di espressioni sinonimiche è data dall’inculamento della Sicilia rispetto al mondo. (torna su)

 

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