Three Faces

La terza faccia della medaglia

Corsica ovunque || Intervista all’Occupazione Corsica (Parte 1) || THREEvial Pursuit


Corsica ovunque

Intervista all’Occupazione Corsica

Parte 1

di Niccolò D’Innocenti, Simone Piccinni e Andrea Biagioni

È stato un mese bellissimo”. Forse sono queste le parole che ci hanno colpito di più, soprattutto se a dirle col sorriso sono dei ragazzi che sono stati sgomberati senza nessun preavviso (e con grande aggressività e spreco di risorse), da uno spazio vissuto e inserito nel quartiere di Rifredi da nove anni. Bellissimo perché da quel momento si sono innescate delle reazioni che hanno portato ad aumentare, piuttosto che affievolire, la forza di questa realtà, che è riuscita a diventare molto più di una casa. Dopo un corteo, con scontri e un altro grandissimo uso di polizia, sono riusciti infatti a riprendersi la loro casa, o meglio il tetto della loro casa, e da lì è nata spontaneamente una Resistenza che ha coinvolto non solo il quartiere, ma molte persone e realtà vicine a Corsica. Un presidio permanente ha fatto compagnia agli amici sul tetto e alle forze dell’ordine (costituito) per più di una settimana, concludendo la sua missione con l’occupazione di un nuovo spazio. Resistenza perché hanno risposto a una città che si sta spingendo sempre più verso l’omologazione e lo sfruttamento, regalando uno spazio dove le persone si possono sentire libere e sicure. Se l’idea dell’amministrazione era di spezzare lo spirito dell’Occupazione Corsica, possiamo essere sicuri che non sia andata così.
A distanza di sei mesi, vi riproponiamo l’intervista uscita sullo StreetBook Magazine #24, con molte interessanti integrazioni e riflessioni sulla direzione che la città sta prendendo a livello sociale e sul futuro di realtà come quella dell’Occupazione Corsica, la cui nuova casa – ve lo ricordiamo, anche se già lo sapete, perché di sicuro avrete già visto la loro splendida facciata – è in via Ponte di Mezzo 32.

Three Faces: Partiamo subito dalle modalità in cui è avvenuto lo sgombero. Vi va di ripercorrere un po’ le varie fasi?

Occupazione Corsica: Volentieri. Piace anche a noi ripercorrere l’esperienza, i vari passaggi. 

TF: Cronistoria di uno sgombero.

OC:  Sì, ci piace. Diciamo che, quando sono venuti a sgomberarci la prima volta, martedì 15 marzo, erano già un paio di mesi che con il Comitato Antisfratto seguivamo uno sfratto un po’ particolare in San Frediano, perché molto combattuto, in quanto c’è di mezzo un istituto caritatevole della Chiesa che ha fatto pressione per procedere più velocemente. Lo sfratto però era atteso per la settimana successiva e la polizia praticamente si è presentata sotto casa del tipo prima, in forze , facendo finta di andare a sfrattare questa persona. Hanno iniziato a bussargli minacciandolo, intimidendolo per farlo uscire di casa. Noi ovviamente siamo andati lì pensando che fosse uno sfratto a sorpresa. Quando la maggior parte delle persone di Corsica sono uscite di casa e ne era rimasta soltanto una dentro, gli sbirri sono entrati sfruttando il fatto che noi eravamo dall’altra parte di Firenze. Il primo giorno, il compagno che era dentro Corsica, è rimasto sul tetto e la polizia è riuscita a entrare relativamente in poco tempo. Noi ci siamo allora incontrati giù in strada all’angolo di viale Corsica e in una giornata abbiamo fatto due cortei che si muovevano per il quartiere, sia per comunicare quanto accaduto sia per iniziare comunque la mobilitazione e raggruppare un po’ di gente. Son state fatte tante scritte nel quartiere, sulle strade, sulle banche, sulle tramvie e così via, ma non sulle case. Quindi abbiamo lanciato l’appuntamento per un corteo più grosso il sabato successivo (19 marzo, ndr). La mattina dopo lo sgombero sono stati aperti simbolicamente questi sette, otto posti in giro per la città con le cosiddette ‘finte occupazioni’: di base si trattava di ex occupazioni o posti abbandonati.

TF: Si arriva quindi all’ormai celebre corteo del 19 marzo.

OC: Esattamente. Sabato 19 marzo partiamo da piazza Leopoldo per raggiungere poi Corsica: un corteo neanche così grosso, ma importante per quelli che sono i nostri numeri; comunque, eravamo sulle 500 persone. Durante il corteo sono state fatte scritte su banche, su un paio di vetrine, ma la polizia ci ha lasciato avvicinare a Corsica, iniziando a tirare lacrimogeni soltanto nella via vicino, una delle traverse di viale Corsica. Poi hanno iniziato a caricare continuamente il corteo da dietro e questa loro strategia è stata un po’ curiosa, nel senso che almeno a Firenze non s’era mai vista, mentre in altre città è già da un po’ che la polizia gestisce così le piazze. Sono riusciti a strapparci lo striscione rinforzato – che recitava ‘FANNO IL DESERTO, LO CHIAMANO DECORO’ – e, insomma, hanno messo in difficoltà il corteo, non facendolo sciogliere in nessun modo. Infatti sarebbe dovuto essere molto più breve di quanto è durato, ma la polizia ha continuato a caricare da dietro, facendoci correre almeno un paio d’ore in giro per la città per cercare di fare arresti; alla fine è riuscita a farne quattro. In ogni caso, dopo il corteo ci son state varie iniziative e appuntamenti. Tra questi anche la partecipazione alla manifestazione indetta dal Collettivo di Fabbrica della GKN, che peraltro erano venuti il giorno prima dello sgombero per un’assemblea riguardante l’organizzazione del 26 marzo, dove abbiamo avuto il nostro spezzone, oltre alla possibilità di parlare della nostra situazione davanti a migliaia di persone.

Dopodiché abbiamo riaperto Corsica due martedì dopo, il 5 aprile. Sul senso di rioccupare Corsica, ovviamente per noi era un qualcosa d’importante anche solo per dimostrare quanto conosciamo il quartiere meglio di loro: siamo rientrati pure se c’era la guardia giurata a sorvegliare. Anche simbolicamente era un gesto forte ed è stato pure molto divertente. Per esempio, quando abbiamo rioccupato il 5 aprile, i compagni, quelli che poi stavano sul tetto, prima sono entrati e poi si sono rivelati. Quando si sono rivelati, la polizia è arrivata immediatamente e ha iniziato lo sgombero. I poliziotti però non riuscivano a capire come erano entrati, ci hanno messo tre giorni e hanno praticamente iniziato a sclerare perché non sapevano come avevano fatto. Per noi era stato piuttosto semplice, è stata casa nostra per nove anni, è stato il nostro quartiere, sappiamo benissimo come muoverci e mandargliela in culo. Per loro invece è stata una sorpresa. Quando hanno iniziato lo sgombero, poi, è partito anche il presidio solidale dei compagni lì sotto, che sono stati allontanati fino a quel triangolo che si trova all’incrocio con via Della Valle e via dell’Arcovata e che poi abbiamo occupato per i nove giorni successivi, durante i quali abbiamo organizzato vari eventi a cui hanno partecipato davvero tante persone e tante realtà, tra cui voi. La dinamica del presidio è stata di sicuro la più bella, perché i compagni sul tetto erano organizzati per rimanere lì tipo per sempre e più passavano i giorni più a noi prendeva bene, tanto che c’era anche la speranza di riuscire proprio a riprenderla, Corsica: l’idea che gli sbirri a un certo punto se ne sarebbero andati via si era diffusa. Poi non è andata così, però siamo arrivati a essere lo sgombero più lungo che si ricordi e abbiamo capito che le dinamiche che si erano create intorno a noi, a quel presidio erano veramente positive per l’intensità, per la partecipazione e l’appoggio della gente del quartiere. Senza contare che non volevamo fare un presidio permanente, anche perché non ne avremmo avuto le forze. Sono state tutte le persone che sono passate e state lì a renderlo permanente, perché ci sentivano così tanto per questa lotta, che sono rimaste h 24, dandosi i turni e aiutandoci. Questo ci ha anche permesso di organizzare in quei giorni vari eventi: dalla danza sui tessuti aerei alle iniziative sul tema della gentrificazione. Comunque, il penultimo giorno, cioè l’ottavo del presidio abbiamo organizzato la festa per celebrare la settimana, partendo poi in corteo a sorpresa e arrivando davanti a questo posto nuovo in via Ponte di Mezzo 32, occupandolo. Il giorno dopo, i compagni sono scesi da soli dal tetto e sono venuti nella nuova occupazione. Siamo inoltre riusciti a ottenere che venissero lasciati nelle nostre mani direttamente, che non venissero portati in questura, insomma, anche perché l’avvocato ci ha confermato, non avendo armi o droga addosso, non potevano arrestarli. Comunque, che dire, aldilà di tutto è stato veramente un mese bellissimo.

corsica ponte di mezzo

TF: Noi abbiamo un po’ seguito le varie vicende che vi hanno coinvolto negli ultimi tempi e, come dicevate, abbiamo anche partecipato ad alcune delle iniziative che avete organizzato nel corso di quel mese, specialmente nei nove giorni di presidio in viale Corsica. Ovviamente, ci è piaciuto quello che abbiamo visto, ci è piaciuto condividere alcuni momenti quando abbiamo potuto e infatti siamo qui a chiedervi di raccontare un po’ quello che è successo. Cosa ritenete sia stato più rilevante o interessante di quanto accaduto?

Occupazione Corsica: Allora, un aspetto interessante forse è stato proprio il fatto che si sia riusciti a mantenere diversi livelli all’interno del mese di mobilitazione, perché alla fine è iniziato con uno sgombero che non era quello che c’immaginavamo, eppure siamo comunque riusciti a fare tutto quello che avete visto: dal corteo determinato il sabato dopo il primo sgombero alle finte occupazioni, che sono state un’idea divertente, ma in ogni caso sempre mirata a mantenere alto il livello di attenzione sulla situazione e ha funzionato. Magari è stata anche criticata da tante persone come tecnica quella delle finte occupazioni, però in realtà è stata solo una delle mille piccole iniziative che stavano dentro alla mobilitazione e, ripetiamo, comunque ha funzionato, perché la gente era presa bene dal fatto che, appunto, si fosse aperto diversi posti per far vedere anche solo che c’era la possibilità di farlo. Così come alla fine ha funzionato il fatto di rioccupare Corsica, nonostante fosse palese che non sarebbe mai durata. Poi, c’è stata tutta la dimensione del presidio solidale, dei nove giorni. Alla fine siamo riusciti a rendere il nostro sgombero quello che volevamo noi ed è stato questo l’aspetto più bello: riuscire a mantenere il rapporto con il quartiere e con molti residenti che venivano magari all’iniziativa sulla gentrificazione o che venivano a portare il cibo al presidio o semplicemente a chiacchierare; riuscire a mantenere i legami con i compagni che sono a giro per il mondo e che sono venuti al nostro sgombero perché era considerato un evento importante; riuscire anche a mantenere un legame con la città per poi vedere che la gran parte della città stessa solidarizza con te, perché le hai dato anche l’opportunità di farlo. Questo perché tra le iniziative che abbiamo organizzato, ce n’era davvero per tutti: se non ti piaceva il corteo benissimo, però magari venivi al presidio o a uno degli eventi che conteneva. Quindi, alla fine è stato un mese da cui siamo usciti con un senso di vittoria più che di sconfitta. Abbiamo la sensazione veramente d’aver preso per il culo la polizia, il Comune e di avere vinto in qualche modo contro la repressione. Anche soltanto per come eravamo presi bene, anche soltanto per le cavolate che sono successe durante i nove giorni sul tetto. E ce ne son state tante: dagli sbirri che sclerano perché non capiscono come abbiamo fatto a rientrare, al portare con il drone ai compagni sul tetto roba di prima necessità come la bustata di cibo. Mettici anche i bambini che uscivano da scuola e ci salutavano, si mettevano a chiacchierare con noi, impennavano con le bici tra i poliziotti. Queste situazioni sicuramente ci hanno sollevato il morale, anche pensando che quello poteva essere un momento di repressione come gli altri per lasciarci meno spazio, meno campo. Invece è stato bello vedere come, non solo da parte nostra – perché per noi l’intento era quello – ma appunto anche grazie alla solidarietà esterna sia emerso questo senso di vittoria, giorno per giorno, partendo dal corteo e andando avanti fino all’occupazione in via Ponte di Mezzo. È stato bello vedere il movimento veramente unito per dire “basta” all’idea di sgomberare l’occupazione Corsica, ma soprattutto gli sgomberi in generale, all’idea di sgomberare quello che per noi è uno stile di vita che ci salva un po’. E, infine, è stato bello vedere anche che non solo i compagni di questa città, ma appunto il quartiere, i bambini, gli anziani e così via, tutti venivano a sostenerci. Insomma, che vi dobbiamo dire? A noi sembra che tutto sia riuscito davvero bene.

corsica presidio

TF: In effetti sì, questo è emerso in maniera particolare, ovvero l’appoggio che avete avuto da tante persone diverse tra loro. Quando noi siamo passati alcune volte, era quello che più ci colpiva di quella situazione. Per dire, il giorno in cui siamo venuti a fare il reading legato al G8, è stato molto coinvolgente anche da esterni sentire uno dei residenti, Marione, leggere la lettera scritta dal quartiere per solidarizzare con voi e ti fa pensare che allora qualcosa di buono c’è, che c’è una possibilità. Quindi siamo stati molto colpiti anche da quello piacevolmente, dal vedere quel livello di partecipazione del quartiere e non solo.

OC: Tra l’altro, alcuni di loro, dei nostri vicini sono anche venuti al corteo. Poi magari è chiaro che, quando c’è stato il confronto con gli sbirri, sono andati via. Però non c’era l’indignazione, anzi. Per dire, il giorno dopo vai in pizzeria e becchi il vicino che non hai mai conosciuto, c’è appunto Mario che ti introduce e gli spiega: “Loro sono quelli di Corsica”. Allora, il vicino si mette a dire: “Ah, ma ieri comunque avete distrutto tutta la città, eh. Cioè ragazzi un po’ più piano, veramente”. Noi ci iniziamo a giustificare e lui ci blocca subito e ci risponde: “Macché! Vi piglio per il culo. Non avete fatto un cazzo di male”. Quindi, è chiaro a tutti qual era il livello di lotta che avevamo scelto, è stato tutto comprensibile sin dall’inizio, perché alla fine in quella realtà, in quel posto davvero ci stavamo da nove anni ed era chiaro a tutti perché lo facevamo. Non gli è sembrato strano. Senza contare il rispetto che abbiamo avuto per il quartiere e soprattutto per i residenti: non abbiamo scritto sulle case, sono state toccate solo le banche e simili. Alla fine, questo nostro atteggiamento ha reso la cosa comprensibile, ripeto è stato molto chiaro a tutti sin dall’inizio quello che stavamo facendo. Senza contare che, anche durante i giorni del secondo sgombero con la resistenza sul tetto, tutto il discorso si è incentrato non soltanto sullo sgombero dello squat occupato, ma sul fatto che quella voleva essere una risposta a più tematiche che ci premevano e che volevamo mettere in luce: a quello che è Firenze; a quella che è la Rifredi che non ci piace; a quello che è un modo di vivere che ci lascia sempre più confinati. Ma, per dire, abbiamo affrontato il tema dell’Alternanza Scuola-Lavoro, con gli studenti che stanno cercando di farsi sentire – e infatti in varie città ci sono state diverse mobilitazioni, come a Torino, dove ci sono stati degli arresti tra l’altro. Poi, c’è tutto il discorso sull’aumento del carovita, del carburante, degli affitti; sulla questione degli Student Hotel e di strutture simili presenti in città che provocano in generale certi rialzi. Per noi, insomma, tutto rientra in questo quadro generale, partendo dal primo sgombero che è divenuto quasi un pretesto per incentrare il discorso anche su questi temi qua ed è stato forse il motivo per cui poi si è creata così tanta mobilitazione, così tanto risalto, così tanta risposta anche dall’esterno. Infatti, uno slogan che abbiamo usato era, non a caso: “Non per noi, ma per tutti”. Perché certo, lo abbiamo fatto anche per noi, per lo spazio, per quelle mura che ti permettono di organizzarti, di portare le tue lotte fuori, però lo sgombero è stato un pretesto per risvegliarci, per riportare davvero le lotte fuori e anche solo stare su quel pezzo di strada, ci ha fatto strano e piacere allo stesso tempo, perché comunque della “piazza” è qualcosa di cui parliamo sempre, dello “stare in piazza” intendiamo, dello stare in strada, in città e di come starci. E questa è stata una risposta importante che, siamo convinti, possa essere d’ispirazione anche per le generazioni più giovani, perché ha dimostrato che comunque si può riuscire a creare qualcosa buono, un’idea diversa del vivere come comunità.

tetto corsica

TF: Eppure, la forza e i mezzi che sono stati impiegati per contrastarvi dimostrano quanto, a certi livelli, venga ancora ingiustamente disprezzato un modo di vivere diverso da quello improntato da chi amministra questa città. Allo stesso tempo, immaginiamo sia stato comunque soddisfacente vedere quanto si siano impegnati per “buttarvi giù” e quanto poco ci siano riusciti. In fondo, la pensiamo come voi: quel mese di lotta che avete portato avanti, è stato un mese positivo, perché ha ridato quel senso di unità che in qualche modo un po’ mancava, non solo come movimento ma soprattutto come comunità in generale, appunto. Quindi, l’impressione è che sia stato proprio fondamentale ritornare a parlarne “fuori”, alle persone, per dare valore a un qualcosa che magari dopo tanti anni rischia di passare per scontata, quando la vostra occupazione, la vostra attività scontata non lo è per niente.

OC: Assolutamente. Anche perché c’è da dire che in un sacco di città, già prima del nostro sgombero, avevano iniziato a colpire molte occupazioni storiche e non. Eppure, un po’ ovunque il sentimento comune era quello di ribaltare la situazione a nostro vantaggio in qualche modo, rioccupando e provando a riprendere lo stesso posto per lanciare anche solo un messaggio. È successo a Bologna, dove alcune persone del giro del XM24 hanno voluto rioccupare, tanto per fare un esempio; ma è successo in molti altri posti. E queste sono di sicuro occasioni di rivincita contro chi ci vuole ostacolare, ma potrebbe anche essere un’occasione per fare una riflessione più ampia sulle nuove pratiche di lotta. Per esempio, aver organizzato le finte occupazioni poteva essere criticabile, perché di solito c’è una ritualità molto improntata quando si organizzano azioni di risposta per situazioni come la nostra e quindi non succede spesso che si utilizzino nuove pratiche; ma ci pare che generalmente sia stata percepita bene da tante compagne e compagni a giro e questo perché bisogna trovare nuovi metodi di lotta, dei modi per uscire dalla nostra bolla. Quindi sì, le finte occupazione possono essere criticabili o meno, però intanto è stato un tentativo di fare qualcosa di diverso. Non a caso, poco dopo il nostro sgombero, anche i compagni e le compagne di Banca Rotta srl a Bologna hanno protestato contro il loro sgombero, smurando la porta d’ingresso dello stabile e mettendo le pietre davanti alla sede della polizia locale. È una cosa diversa da quello che abbiamo fatto noi ma alla fine riprende un po’ lo stesso concetto: organizzare proteste nuove, più “situazioniste”, diciamo. Insomma, rinnovarsi serve un po’ a tutti, anche solo per farsela pigliare bene, che comunque aiuta il morale.

TF: Infatti,  basta pensare all’entusiasmo che riescono a trasmettere queste nuove pratiche come quella delle finte occupazioni, appunto. Tra l’altro, se possiamo dire la nostra, ci è sembrata un’ottima idea.

OC: Sì, alla fine l’obbiettivo è anche quello. Poi certo, sappiamo che alcune pratiche hanno più impatto di altre, come i cortei. La lotta porta anche conflitto e i cortei che abbiamo organizzato volevano avere una certa conflittualità, perché per noi tutto sommato si è trattato di difenderci. La nostra è stata pura “autodifesa” e infatti avevamo degli obiettivi specifici, perché sapevamo che, oltre alle imprese che hanno comprato Corsica, comunque c’era anche una responsabilità da parte UnipolSai e quindi abbiamo preso di mira dei simboli ben precisi durante i cortei. L’intento di alzare il livello di conflittualità era legato dunque alla necessità di dare una risposta forte, a quello che secondo noi è stato un attacco altrettanto forte al mondo delle occupazioni in generale. Non a caso, è stato scelto di farlo nel quartiere che abbiamo vissuto per anni – tra le case dei nostri vicini, insieme ai quali abbiamo organizzato presidi, abbiamo fatto “recupero” e molto altro – per mostrare quello che la nostra attività aveva portato e costruito lì; infatti, al contrario di quella che è stata la retorica dei giornali e del sindaco, il quartiere è stato rispettato perché, come abbiamo spiegato nel nostro comunicato, c’è “una Rifredi che ci piace, una Rifredi che non ci piace” e molti condividono il nostro pensiero nel quartiere. Ci ha fatto piacere da questo punto di vista che tanti fiorentini, appartenente a movimenti e non, abbiano preso le distanze da alcuni discorsi del nostro sindaco su quelle che, a suo avviso, sarebbero le occupazioni giuste o le occupazione sbagliate e su quella che di conseguenza sarebbe la socialità giusta o la socialità sbagliata. Alla fine, le occupazioni che interessano all’amministrazione si riducono al suolo pubblico da cui il Comune guadagna e quindi a dei tavolini di locali, spesso mirati sul turismo di massa, dove un solo drink costa un sacco. Questa per noi non è socialità, mentre la nostra socialità sarà pure illegale, ma è davvero inclusiva e per niente sbagliata.

TF: Infatti, parlando con i ragazzi più giovani che si sono avvicinati alla nostra associazione, è emerso questo vuoto, questa mancanza di posti dove vivere una socialità reale e concreta, mentre molte situazioni di pseudosocialità che troviamo in città appaiono loro posticce, non autentiche. Per questo erano interessati alla vostra storia e al dibattito che si era generato intorno alla vostra condizione. Forse è davvero questa la risposta migliore a un certo indottrinamento, alla retorica su cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è accettabile e cosa non lo è, a cosa è decoro e cosa degrado, per metterla nei termini utilizzati spesso dall’amministrazione.

OC: In estrema sintesi, il senso del comunicato “La Rifredi che ci piace, la Rifredi che non ci piace” e dello striscione ‘FANNO IL DESERTO, LO CHIAMANO DECORO’ era ed è esattamente quello.

(Continua…)

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