Il cielo d’Irlanda
di Gabriele Levantini

Fiorella Mannoia ha scritto una canzone al cielo d’Irlanda, e se credete che si sia abbandonata a esagerate licenze poetiche, significa che non l’avete mai visto. Io invece ho avuto questa fortuna nel 2018 e da allora certe volte mi perdo a immaginare quei colori vividi nel mio grigio ufficietto, rivivendo quei momenti come se fossero ora.
Non mi importa molto dei dati che dovrei controllare, la mia mente ormai è lì.
Il nostro primo impatto con l’Irlanda è Dublino, città a misura d’uomo, vivace e al tempo stesso rilassante, piena di universitari e di famosissimi college. Se potessi rinascere e rifare l’università, mi piacerebbe frequentarla qui. Non ci sono solo gli edifici solenni del Trinity College, la cui biblioteca compare in Harry Potter, ma molte altre cittadelle universitarie, con impianti sportivi di prim’ordine e servizi di ogni genere. D’estate, quando molti fuori sede ritornano a casa, alcuni dormitori diventano economiche e caratteristiche soluzioni per turisti a basso budget, come me e la mia compagna Irene.

Quando il sole si abbassa, passeggiare e bere per le strade festose di Temple Bar è un’esperienza stimolante. In Irlanda i pub hanno una grandissima importanza nella vita sociale e culturale e vengono ritenuti luoghi di primissima importanza nella vita delle comunità, perciò non è raro trovare locali che occupano lo stesso edificio da secoli e secoli, mantenendo più o meno lo stesso stile. Nessuna visita a questo paese potrebbe dirsi completa senza una buona quantità di pub, dove d’altra parte – oltre a degli eccellenti alcolici – si trovano anche cibo e musica dal vivo. Per quanto riguarda l’alcol, bisogna notare che gli irlandesi lo apprezzano davvero molto e la nostra prima sera entro le nove e mezzo abbiamo già assistito a tre risse tra ubriachi, rapidamente interrotte da grossi buttafuori e da robusti poliziotti.
Per quanto Dublino sia interessante e nonostante i cartelli in doppia lingua che la indicano come Baile Átha Cliath, non è questa la vera Irlanda che siamo venuti a cercare e così partiamo alla volta della natura selvaggia. Prima di lasciare la città abbiamo un primo tangibile impatto con le tracce della guerra che ha segnato in tempi recentissimi questo paese. Visitiamo infatti uno strano monumento chiamato The Spire (La Guglia), che è una specie di grande punta di acciaio che si innalza dal suolo. Esteticamente non è per niente interessante, ma la lapide posta alla sua base spiega di come sia stato costruito al posto di una colonna commemorativa dell’ammiraglio Nelson, simile a quella di Time Square di Londra, fatta saltare in aria dall’IRA nel 1966. Un piccolo assaggio di ciò che ci aspetterà al di là del confine.
Prendiamo un’auto a noleggio e facciamo rotta a ovest, verso la costa atlantica. È la prima volta che provo la guida a sinistra e in autostrada sembro un vecchio-col-cappello che guida una Panda sbronzo di Tavernello, ma il peggio arriva quando lasciamo l’area metropolitana e cominciamo a percorrere stradine di campagna che sembrano mulattiere. Comunque, nonostante le incertezze di Irene, prendo subito confidenza col nuovo modo di guidare e acquisto sicurezza. Il seguito dimostra che le sue paure erano fondate.
Attraversiamo campagne che mai avrei immaginato così verdi e perfette. Non c’è nulla tranne muretti a secco, strutture diroccate, erba verdissima e tante, tantissime pecore col sedere tinto con bombolette spray, come segno di riconoscimento. Mi domando come abbia fatto questo paese, che non sembra produrre assolutamente niente, a crescere a doppia cifra per anni, guadagnandosi il soprannome di rampante Tigre Celtica d’Europa. Misteri della finanza.

Lungo la strada incrociamo rovine di chiese e abbazie, come l’iconica Corcomroe Abbey (Mainistir Chorca Mrua), circondata dal suo cimitero di croci celtiche. Questo simbolo nazionale ha origini antichissime, ben lontane dall’uso che ne fanno i gruppi neofascisti contemporanei. Sarebbe infatti una rappresentazione celtica del Sole, cristianizzata successivamente da San Patrizio, evangelizzatore medievale di queste terre.
Lentamente il paesaggio muta e la presenza dell’oceano si comincia ad avvertire, dapprima delicatamente, nel volo di un gabbiano o nell’odore del vento, e poi sempre più forte. Infine terra e mare si scontrano e si uniscono come amanti in un abbraccio. Siamo arrivati nel Connemara, la regione più selvaggia del paese, la vera Irlanda. Qua rimangono le ultime comunità Gaeltacht, che parlano davvero l’antica lingua dei Celti, presente ovunque nella segnaletica bilingue ma che pochi ormai usano, nonostante gli sforzi profusi per salvarla.
Prendiamo la Wild Atlantc Way. Il paesaggio è un susseguirsi di laghi scuri, verdi montagne e villaggi di pescatori con i caratteristici porticcioli che le maree trasformano ciclicamente in prati di alghe con le barche appoggiate sopra, come la splendida Kinvara (Cinn Mhara). Non mancano le rovine di castelli costieri, come l’impressionante Dúnguaire, che ci fanno sentire dentro un’illustrazione fantasy, o di abbazie come l’imponente Kylemore (Mainistir na Coille Móire). Attraversiamo il roccioso Parco Nazionale di Burren (Boireann) con i suoi dolmen, Kilfenora (Cill Fhionnúrach) con la sua chiesa diroccata, e la vasta Fanore Beach (An Fánadh Óir).
Nei pressi di Ballyvaughan (Baile Uí Bheacháin) adocchiamo un locale sul mare e ci imboschiamo con un gruppo di anziani italiani in gita organizzata per poter partecipare a un’ottima cena a menù fisso, al prezzo di soli 20 euro e mezz’ora di masticazione rumorosa. Cerchiamo di non ridere troppo dei nostri vicini, anche se proprio davanti a noi c’è un uomo di mezza età che mangia con una tale velocità da farci strabuzzare gli occhi fuori dalle orbite e che pare gradire enormemente il burro gratis sul tavolo.
Ripartiamo e arriviamo finalmente a Galway (Gaillimh), capitale dell’ovest. È un freddo cane e devo assolutamente comprarmi qualcosa di più pesante perché non ho portato niente di adatto. Poco male, ne approfitto per acquistare uno splendido maglione di lana delle vicine isole Aran. Caro, ma certamente di grande qualità, e soprattutto in quel momento utile alla mia sopravvivenza. In giro è pieno di artisti di strada e ovunque c’è musica. Sui muri delle antiche strade si scorgono graffiti che non ti aspetteresti di trovare tra i negozietti e i pub affollati. C’è una piacevole atmosfera bohémien.
Abbiamo preso una stanza in affitto in una stupenda villetta in collina, poco fuori città, da dove si gode una splendida vista della baia. La casa è abitata da una deliziosa coppia di anziani, Mike e Annette, che curano continuamente un giardino pieno di fiori. Lui è un taciturno militare in pensione e lei una signora così carina e gentile che vorremmo portarcela via. Quando, poco prima della nostra partenza, durante una discussione molto british sul tempo, il cibo e i nipotini, Annette ci rivela di essere gravemente malata di cancro, ci sentiamo un po’ come i fiori del giardino sorpresi da una gelata inattesa. Il marito è silenzioso come al solito, ma il suo sguardo si rannuvola per un attimo come il cielo di questo paese. Lei invece continua a sorridere e scherzare.
Gli Irlandesi sono famosi nel mondo per il loro approccio positivo e ottimista alla vita. Credo che quella signora e i suoi bellissimi fiori siano un buon esempio di questa leggerezza.

Nelle vicinanze di Galway si concentrano alcuni dei più bei monumenti naturali d’Irlanda, come le impressionanti Scogliere di Moher (Aillte an Mhothair), che si stagliano altissime sull’Atlantico schiumoso, sulle quali si ha l’impressione di volare insieme ai molti uccelli marini che le frequentano. E soprattutto, tra deliziosi paesini marinari come Doolin (Dúlainn), la mitica Sky Road, una strada tanto stretta quanto panoramica che si snoda come un serpente sul promontorio di Clifden (An Clochán). Quest’ultimo si insinua nell’oceano tanto decisamente da sembrare su un’isola.
È in questo splendido luogo che Irene canta vittoria per la prima volta, quando i fatti le danno ragione, dimostrando che la mia guida non è in effetti così buona come immaginavo. Superando un piccolo gruppo di ciclisti, finisco per far loro un pericoloso raso. Sulla Sky Road bisogna andare quasi a passo d’uomo, quindi fortunatamente non succede niente, ma uno di loro si scalda e mi affronta. Comincio mentalmente a prepararmi a schivare un cazzotto da un tizio molto più grosso di me e a reagire, ma grazie al cielo decide che mandarmi a quel paese è sufficiente.
La cosa strana è che neanche questa mancata rissa riesce a scuotermi più di tanto, in un posto così pacifico e rilassante: il fianco del promontorio che scende velocemente nel mare azzurro, il vento salato, il fruscio dell’erba e greggi di nuvole nel cielo.
La partenza dal Connemara ci strappa il cuore, ma è giunto il momento di andare a nord. E non nel nord dell’Irlanda-Eire, ma nell’Irlanda del Nord… (continua)
Inizio della Sky Road Pecore col sedere colorato Sky Road nel punto della quasi-rissa Terra, mare e rovine, tutto mescolato Tratto della Wild Atlantic Way Wild Atlantic Way Castello di Dunguaire Porticciolo in secca Castello di Leamaneh Fanore Beach Castello di Doonagore Abbazia di Kylemore

Fiorella M’annoia ha interpretato magistralmente Il cielo d’Irlanda, ma la splendida canzone é stata scritta da Massimo Bubola.