Christo e Jeanne-Claud: una congiunzione astrale
di Eugenia Tafi
Il 31 maggio del 2020, in piena pandemia, moriva quello che in arte è conosciuto come Christo, ma con lui se n’è andato un intero progetto, quello di Christo e Jeanne-Claude. Per qualche strana coincidenza astrale questa storia inizia il 13 giugno del 1935: Christo e Jeanne-Claude nascono lo stesso giorno dello stesso anno, lui in Bulgaria e lei in Marocco. È una storia che parla d’amore: amore per la libertà, per l’arte e per l’effimero. Forse la loro data di nascita non è stato un caso, forse questa storia doveva andare proprio così.
Christo Valdimirov Yavacheff nasce a Gobrovo, città della Bulgaria. La sua adolescenza è segnata dalla Seconda Guerra Mondiale. A 18 anni, nel 1953 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Sofia. Lì studia l’arte tradizionale dalla quale si allontanerà in età adulta, trovando la sua strada personale e unica. A Sofia è soffocato dal realismo socialista che imprimeva all’arte uno stampo propagandista e marxista-leninista. Entra presto in contrasto con quegli ideali e capisce che se voleva intraprendere una carriera artistica dallo sguardo più ampio, avrebbe dovuto lasciare la sua terra.
Si mette in viaggio: passa da Praga, poi Vienna. Vive a Ginevra dove inizia a realizzare ritratti e infine approda a Parigi nel 1958, tappa per lui fondamentale. Lì vive come rifugiato. Il suo incontro con quella che sarà la sua compagna per la vita avviene proprio grazie a quei ritratti su commissione: Christo raffigura infatti Précilda de Guillebon, che altro non è che la madre di Jeanne-Claude.

(Immagine tratta da, Christo e Jeanne-Claude di Jacob Baal-Teshuva – Taschen 2016)
I due si sposano presto. A Parigi, Christo compie due azioni determinanti per la sua carriera: abbandona il suo cognome, iniziando a usare solamente il nome di battesimo e comincia a impacchettare i suoi lavori con il tessuto senza distinzioni o gerarchie; per lui tutto può essere arte. Rinnega lo stato elitario dell’arte museale, che è qualcosa di intoccabile con un’aurea sacra. Il suo spirito invece è in linea con gli artisti della Pop-Art. Un concetto di arte popolare e inclusiva. Di fatti le sue istallazioni non avranno mai un biglietto di ingresso. Il 1964 è un’altra data di svolta per la coppia. Christo e Jeanne-Claude emigrano negli USA a New York, città che era diventata la nuova capitale artistica.
Il critico David Bourdon ha coniato una formula paradigmatica, “svelare occultando” perché i due coniugi hanno veramente impacchettato di tutto, dalle lattine a un pezzo di costa australiana: Wrapper Coast, Little Bay, Australia, 1968-1969. Questa loro pratica consiste nell’usare tessuti e fili per ricoprire e avvolgere edifici, ponti, oggetti. Si occulta qualcosa per esprimerne la sua fisicità.
Wrapped, che tradotto dall’inglese significa avvolto, impacchettato, sarà la parola che troviamo spesso nei titoli di molti lavori di Christo e Jeanne-Claude, ma wrapping non è affatto il denominatore comune delle opere. Il vero filo conduttore non è un filo, ma è il tessuto. L’uso di questo mezzo fragile e sensuale proietta sulla loro arte il senso di temporaneità. La loro è un’arte effimera come il vento che soffia e cambia l’aspetto dei tessuti. L’opera risulta sempre diversa; un po’ come Monet che dipinge la cattedrale di Rouen in diverse fasi del giorno, così che i visitatori dei siti possano vedere un’opera in continuo mutamento. Infatti classificare l’opera di Christo e Jeanne-Claude come semplice arte dell’impacchettamento è una visione semplicistica. The Umbrellas, Japan-Usa, 1984-1991 per esempio è un progetto che non ha nulla a che fare con la copertura di edifici attraverso dei teli.
Come potremmo allora classificare il lavoro di Christo e Jeanne-Claude? Forse è impossibile, loro stessi dicono:
“Crediamo che le etichette siano importanti, ma soprattutto per le bottiglie di vino”
Possiamo identificare dei concetti chiave, primo su tutti l’effimero. Il fatto che la loro arte, per come è concepita, sia temporanea, è anche la spiegazione del perché non possiamo definire in una precisa etichetta il loro lavoro.

(Immagine tratta da, Christo e Jeanne-Claude di Jacob Baal-Teshuva – Taschen 2016)
Però possiamo dire che Christo e Jeanne-Claude puntano molto sull’urgenza, sulla memoria collettiva e sulla volubilità dell’arte. Le loro opere in media rimangono visibili e visitabili per poco tempo, si parla di settimane e il fatto che l’opera non rimanga, crea l’urgenza di vederla, poi tutto svanisce e torna com’era prima. E se non esistessero gli occhi della tecnologia il tutto rimarrebbe nel bagaglio dei ricordi di chi l’ha visto. Per questo l’amore e la tenerezza sono una loro qualità estetica, ciò che Christo e Jeanne-Claude vogliono imprimere nella loro arte. Si provano questi sentimenti per un qualcosa che sappiamo avere una fine, come per esempio l’infanzia. Se qualcuno vedesse un tramonto non potrebbe dire, “lo guarderò domani”, lo scorrere del tempo crea l’urgente necessità di espressione e di relazione con l’opera.
Un altro concetto chiave, fondamentale e imprescindibile è il concetto di libertà. La ricerca di quest’ultima è il motivo per cui Christo è fuggito dal suo paese natale soffocato dal dominio comunista. I lavori giovanili e quelli realizzati in coppia diventano fondamentali per finanziare i progetti maturi che piano piano iniziano a proiettarsi su larga scala. I due si sono sempre autofinanziati vendendo schizzi, bozzetti e collage degli stessi progetti.
Questa pratica è una decisione estetica, vogliono lavorare in totale libertà, avere la possibilità di fare quello che vogliono, come vogliono e dove vogliono. Sul quando, ci sono degli ostacoli. Per esempio ci sono voluti 24 anni per ottenere il permesso per il Wrapped Reichstag e 10 anni per The Pont Neuf Wrapped a Parigi. Tutto il ricavato dalla vendita viene impiegato per le spese di preparazione, installazione, manutenzione e rimozione dei progetti. Non c’è profitto né rimborso. È proprio come far crescere un bambino e qui torna l’amore e la tenerezza spese e impiegate dai due artisti. Non è questione di guadagno, ma di libertà artistica. Questo è esemplificato anche dal fatto che Christo e Jeanne-Claude non hanno diritti d’autore né sui libri né sui film che trattano delle loro opere, il loro è un lavoro sulla volatilità dell’attimo.
“Ogni nostra opera è un grido di libertà” dice Jeanne-Claude.
Ultimo aspetto centrale. I progetti sono sostenibili, è sbagliato pensare che le installazioni siano uno spreco di risorse e una trasformazione del territorio. I due sono attenti in maniera scrupolosa a riciclare tutti i materiali usati e a non intaccare gli ambienti in cui le loro opere vivono. Un loro punto di forza è quello della ricerca del consenso, non solo da parte delle autorità locali, ma anche da parte di chi vive in quei luoghi. Una sola volta fecero un’installazione senza permesso, Wal off Oil Barrels, Iron Curtain, Rue Visconti, Paris. Il periodo è tra il 1961-62 ed è uno dei loro primi lavori. Una strada fu bloccata da dei barili. Non ci fu denuncia e forse senza quel coraggio oggi non godremmo dei ricordi delle loro opere.
Nel 2009 Jeanne-Claude muore, ma il loro progetto sopravvive. Quando Christo e Jeanne-Claude si sono conosciuti hanno condiviso la passione per la spontaneità dell’arte intesa come creazione, interazione tra due menti. Il loro incontro ha partorito una serie di opere figlie di passione. Opere importanti, portate avanti da battaglie e determinazione. Il loro percorso ci ha regalato momenti che purtroppo non ho vissuto e che quindi posso solo raccontare da fonti dirette e non, ma mi piace immaginarli figli di un amore autentico.
Ci sarebbe un’altra opera di Christo di cui parlare, realizzata dopo il 2009, ma il finale non renderebbe giustizia alla loro storia autentica. L’ho cambiato.
Un giorno Christo si alza e decide di portare avanti un progetto non ancora realizzato. C’erano dei bozzetti che prefiguravano dei moli galleggianti sull’acqua, ricoperti di tessuto, ma era un progetto giovane, mancavano molti elementi. Christo doveva decidere il colore e optò per un giallo brillante. Scelse il luogo: il lago Iseo, tra Sulzano, Montisola e l’isola di San Paolo perché era congeniale all’istallazione. Il biglietto non c’era e come sempre il lavoro fu autofinanziato con bozzetti precedenti. Ma c’era una stranezza, a differenza di tutte le loro opere, i bozzetti, i collage e i modellini di Floating Piers sparirono dopo lo smantellamento dei pontili galleggianti. Questo fu un mistero irrisolto al quale Christo nelle interviste rispose in maniera schiva, facendo capire che si trattava di un furto. Il 31 maggio del 2020 Christo muore e viene ritrovata una lettera che dice:
Ho volontariamente fatto sparire i bozzetti e tutti i lavori preparatori di Floating Pears. Vi chiederete perché. Trovate voi la risposta. Posso solo dire che la mia idea di arte è qualcosa di effimero, che non posso trattenere, ma ho voluto fare un’eccezione per la nostra ultima opera.
Tutta una vita dedicata alla temporaneità, alla volatilità e poi si è voluto portare per sempre quei bozzetti con sé in un segreto eterno. Anche i più grandi delle volte si contraddicono o forse era un segno del destino che i due stessero per sempre insieme, dalla nascita alla morte.
Ovviamente i bozzetti non sono mai scomparsi, ma a me, il finale, piace pensarlo così.