Three Faces

La terza faccia della medaglia

Antidoti Visuali – Bue2530 || Intervista


Antidoti Visuali - Bue2530
Il nostro incontro con Bue2530, uno dei più quotati street artist attivi a Firenze, inizia in maniera tragicomica. Arriviamo di fronte a Lacrima Nera, lo studio in cui, tra un graffito e l’altro, lavora come tatuatore. Lasciamo la bici di fronte al negozio, legata ad un lampione. Sulla soglia c’è un ragazzo con vestiti larghi e tatuaggi ben in vista, che fuma una sigaretta.

Tra la nostra posizione e lo studio corre una stradina. D’improvviso, ecco materializzarsi tra noi e il ragazzo una volante dei carabinieri. “Documenti, prego”. Ce l’hanno con noi. “Ma, veramente, noi staremmo andando a fare un’intervista..”. Non sentono ragioni, si fanno consegnare le nostre sdrucite carte d’identità e si isolano al terminale per una buona decina di minuti, lasciandoci lì nel nostro imbarazzo. Intanto sulla porta dello studio la scenetta ha attirato altra gente, che osserva ridacchiando.

Finiti i controlli gli agenti ci rendono i documenti e, a mò di saluto, ci fanno: “Buona giornata signori, e a quello che dovete intervistare ditegli che garantiamo noi per voi!”. “Sarà fatto, signor agente”, mordendoci la lingua per non schiantargli a ridere in faccia.
Il ragazzo sulla porta che aveva assistito a tutta la scena, ovviamente, era Bue.

Dopo aver fatto conoscenza ed esserci fatti due risate su quanto appena accaduto, entriamo nello studio e ci sistemiamo nel suo cubicolo per svolgere l’intervista. Nel cubicolo accanto, Fone, altro brillante street artist/tatuatore, sta lavorando ad una scritta sulla coscia di un ragazzo: un bell’A.C.A.B. A tinte rosso sangue. Quando si dice il caso…

 


Quando e come nasce la tua passione per il disegno e per la street art?

Il momento preciso non lo ricordo, ma è nata quando ero veramente piccolo. Mi pare addirittura che frequentassi le elementari. A Lamezia Terme, da dove provengo, c’era Copa – uno dei primi writer all’epoca – che iniziò a fare i primi pezzi, dei rooftop (
NdR: pezzi su tetti e palazzi), dopodiché iniziarono a formarsi le prime crew che disegnavano insieme.
Io ho cominciato a dipingere nel ’97. Ho fatto la mia prima tag e mi hanno sgamato subito, proprio alla prima! Taggato/sgamato, alle tre di pomeriggio, in pieno giorno. Ero inespertissimo, non sapevo neanche a che distanza tenere la bomboletta.
Da lì abbiamo iniziato a dipingere in tre, con Luigi e Antonio, tuttora attivi anche se sparsi per la penisola. Le nostre tag sono Luis, Ya e Bue, mentre la crew si chiama N’Duja Style: tutti i sabati e le domeniche andavamo a giro a fare le murate, e tutte le sere andavamo a giro a taggare. Più tardi abbiamo iniziato a frequentare il liceo artistico a Catanzaro, e la scena dei graffiti da quelle parti era molto, molto più grossa rispetto a quella di Lamezia Terme. I writer là avevano già iniziato a fare i treni. Abbiamo conosciuto un sacco di nuova gente che dipingeva, venendo in contatto con nuovi stili. Poi ci sono state delle innovazioni tecniche delle bombolette che hanno veramente aperto dei mondi. Facevamo follie per accaparrarci le nuove uscite per quanto riguardava i tappini. A quei tempi non c’era ancora internet, o meglio non era ancora esploso come adesso, quindi ordinavamo tutto dalle riviste, telefonicamente o via fax. Uscirono le Montana, delle bombolette nate appositamente per il writing, che hanno una pressione più alta rispetto a quelle normali, e noi le usavamo esclusivamente per fare i pezzi più grandi e impegnativi, anche se in realtà è si prestano a qualsiasi utilizzo. Da lì si è aperto un mondo, perchè possono essere molto più precise, hanno cambiato il modo di dipingere. Andavamo a comprarle a Catanzaro, facendo forca. Costavano tantissimo per l’epoca, tipo 3.500 lire a spray. Noi comunque svaligiavamo il negozio, visto che non c’era una gran fornitura: facevamo letteralmente le corse nei metri prima degli scaffali per accaparrarci i pochi pezzi disponibili.
Da lì piano piano abbiamo iniziato a fare di tutto: ci hanno concesso dei muri su cui dipingere legalmente a Lamezia, tra i quali c’era un grandissimo centro commerciale, molto visibile. Poi abbiamo iniziato a fare le prime jam a Catanzaro, fino a vincere i primi contest. Abbiamo conosciuto tantissima nuova gente proveniente da posti diversi, tra i quali alcune crew di Cosenza: dei mostri, bravissimi.
Dopodiché, nel 2002, io e Ya siamo venuti a Firenze, mentre Luis è andato a Bologna, quindi siamo entrati in contatto con la scena fiorentina e quella bolognese, dato che ci facevamo spesso visita. Abbiamo conosciuto altra gente e il giro si è un po’ allargato. Ho conosciuto Ninja e altri che nel corso degli anni se ne sono andati da Firenze, visto che la maggior parte non era di qui. In quegli anni sono nati altri tipi di spray, è stato un periodo di evoluzione incredibile. Nacque pure il Graffiti Shop: uno shop online dedicato esclusivamente all’attrezzatura per fare writing, gestito da dei ragazzi di Pavia.
Bue2530 Castiglione del LagoCosa ti ha spinto verso il writing e non verso altre forme di pittura più tradizionali?
Quando sei ragazzo e vedi questi graffiti stupendi a giro non puoi fare a meno di rimanerne impressionato. Poi era l’atto di farlo, non il fine: l’atto “vandalico”, l’adrenalina, il fascino del vietato. In seguito, piano piano, inizi a sviluppare una tecnica: affini così tanto lo stile che non ti puoi più permettere di fare cose illegali, perché per realizzare un pezzo ci vuole molto più tempo. La cosa si sviluppa cosi quasi per tutti, almeno nella mia generazione: facendo cose illegali – e chiaro, c’è chi continua a farlo -.
Però esiste un filo sottile che divite la street art dai graffiti, anche se una cosa non esclude l’altra. Anzi, per dirla meglio, l’una è la conseguenza dell’altra: se nessuno avesse mai fatto una tag su un muro, un atto di vandalismo, probabilmente non sarebbe mai nata la street art.
Poi, negli anni, tantissimi artisti che dipingevano su tela si sono avvicinati al mondo della streetart perché hanno visto che è un giochino che funziona. Si sono avvicinati un po’ per comodità e non per una vera e propria passione. E, avendo vissuto quegli anni nei quali eravamo visti malissimo perché dipingevamo sui muri, ho notato un vero e proprio cambiamento.
Bue2530 Sketch2A livello istituzionale come funziona quando fate pezzi più grandi, magari in luoghi pubblici e molto visibili?
Quelli sono tutti commissionati dal Comune. La principale sponsor è stata l’assessore alle politiche giovanili Cristina Giachi che ci fece fare, ad esempio, il pezzo alla Fortezza da Basso.
Il sottopasso delle Cure invece è sempre stata una zona libera in cui si poteva dipingere. Quando sono arrivato c’erano addirittura dei pezzi vuoti, che abbiamo “sverginato” noi.
Invece a Rifredi, per quanto riguarda il lungobinario, girava la leggenda che fosse passato Berlusconi in treno e che avesse fatto sbiancare tutto: la sera stessa che lo dipinsero di bianco, ci siamo trovati, per puro caso, con tutti i writers della scena fiorentina – interi squadroni! – e non solo, per accaparrarsi i migliori pezzi disponibili. Fu un’esperienza bellissima: in meno di un mese siamo riusciti a ridipingere tutto. Era così normale ritrovarsi là che se sentivi un rumore alle tue spalle non ti giravi neanche più, perché tanto sapevi che si trattava di un altro writer che stava arrivando per dipingere. Tutti agguerriti per prendere gli spazi più grandi. Cercavamo tutti di fare pezzoni giganti con ogni mezzo possibile: si usavano rulli, secchi di vernice… era impossibile fare tutto a bomboletta. Molto bello quell’anno. Era il 2009, me lo ricordo come fosse ieri.

Ormai la street art può essere considerata una forma d’arte a tutti gli effetti?
Gli street artist sono sicuramente riconosciuti come artisti. I writer sono quelli hanno iniziato questo percorso, gli street artist sono quelli che si sono presi il merito. In tutti i festival organizzati ci sono sempre gli artist invitati, con alloggi pagati e tutto il resto, mentre i writers del posto che organizzano tutto e si sbattono non se li caga nessuno. C’è stato un passaggio così repentino che ha fatto in modo che chi ha fatto venire a galla questo mondo, appena stava per emergere, sia stato spazzato via da gente che, alla fine , faceva tutt’altro. L’unica cosa che li collega è solo il supporto, il muro. Strana questa cosa. Io sono stato prima l’uno e poi l’altro. Quando sento i writers che mi chiamano per dirmi che non li hanno cagati (*), capisco l’incazzatura che c’è dietro.
Tanti festival danno qualche spazio anche a loro, ma le facciate giganti sono riservate soprattutto agli street artist. Poi c’è anche gente come Dime e Sick che, anche facendo graffiti e scritte, viene preso in considerazione. Si tratta però della minoranza.

Hai mai avuto problemi con le autorità?
Avuti, ma niente di ché: nessun multone esagerato. Giusto qualche denuncia da pischello per aver taggato un camion o cose così. O, per esempio, quando ho disegno sopra l’impalcatura della chiesa di Santo Spirito. Le prime erano veramente cazzate: per farvi rendere conto vi racconto la storia del camion. Ho fatto una piccola firma a pennarello, che in seguito ho anche cancellato, e il proprietario mi ha denunciato: siamo ancora in causa, da 11 anni! Il camion in questione è stato pure buttato nel frattempo, fra l’altro.
Per quanto riguarda Santo Spirito, si trattava degli ultimi giorni in cui tenevano l’impalcatura. I carabinieri, mi hanno portato in questura e mi hanno chiesto i documenti. Niente di ché.
In italia funziona così: ti fermano, ti prendono i dati e stop. Finché non c’è la denuncia del proprietario non succede nulla. Gli sbirri non si prendono la briga di fare l’esposto all’intestatario del muro.
Bue2530 BoscartDa quanto ti sei avvicinato al mondo del tatuaggio?
Da cinque anni, dal 2010. Il primo in realtà l’ho fatto a 14 anni: mio cugino, tatuatore da venti anni, mentre stava tatuando mio padre mi disse “dai, fagliene un pezzetto te”. Alla fine gli feci un pezzo enorme.
Ma come mondo, devo dire la verità, non mi aveva affascinato da subito. Ne ho fatto un altro a 18 anni, sempre tramite mio cugino per un amico, dopodiché ho cominciato veramente a 25 anni. Da quando mi sono avvicinato per bene ai tatuaggi ho iniziato a tralasciare leggermente i graffiti, perché il tatuaggio richiede molta pratica, tanta dedizione, e per acquisire la tecnica ci vuole veramente tanto. Non è come disegnare su un muro, la pelle non è un supporto che reperisci così facilmente. Trovare gente che si fidi di te non è così immediato, anche se lo fai gratis. Però ho avuto la fortuna di essere già abbastanza conosciuto tramite i graffiti, e grazie a questo, ho avuto più facilità nel trovare volontari.
Ho iniziato a lavorare qui a Lacrima Nera da quando ha aperto, tre anni fa. Prima sono stato con Lorenzo per un anno in un altro studio, dopodiché sono rimasto con lui quando ha aperto questo studio insieme a Riccardo Riccobono.
Bue2530 TattooE’ cambiato il tuo modo di disegnare con la transizione dal muro alla pelle?
Sì, è cambiato moltissimo perchè nel tatuaggio devi sintetizzare un’infinità di cose e il margine del particolare è molto più ristretto. In poche parole, tanti dettagli nei tatuaggi non puoi farli per una serie di problematiche: se fai linee troppo vicine col tempo si attaccano, può essere poco leggibile da una certa distanza, devi rispettare le forme del corpo, che non è piatto come un foglio. Quindi prima di tatuare ci deve essere uno studio approfondito dell’anatomia e dei movimenti corporei. Tutto deve sempre essere in armonia con il corpo. Questo mi ha portato a rivisitare tutto il mio lavoro, mantenendo però il mio stile. E’ stato interessante come processo, anche perché, tornando dal tatuaggio ai graffiti, mi ha portato a migliorare la tecnica anche in quel campo. Le due cose si sono influenzate a vicenda: è stato una specie di ciclo.

Degli Angeli del Bello cosa ne pensi?
Non ho parole. Sono allibito. Per contrasto vorrei fondare una crew e chiamarla gli Angeli del Brutto.

La scelta dei muri come avviene? Cerchi di evitare posti che potrebbero essere “rovinati”?
All’inizio non me ne fregava un cazzo, sinceramente. Disegnavo anche sulle macchine. Poi nel tempo, cominciando ad esporti un po’ di più, cambia la visione sul dove farlo e come farlo. Oltre che per accortezza personale anche nel senso “perchè andare a rompere i coglioni a chi non lo merita?”. Poi se riesci a mantenerti nel filo tra legalità e illegalità è perfetto, perché comunque ci stai mettendo la faccia e tutto il resto. Più passa il tempo e più sei rintracciabile.
Diventa sempre più difficile trovare un posto dove farlo che sia in vista ma che non comporti rotture di palle. Però esistono dei metodi, come il dipingere sulle impalcature usandole come una tela, che anche se come pratica è illegale, viene tollerata. O attaccare una maschera a giro (NdR: come quella esposta sopra l’entrata dello studio di Clet, o in piazza Ciompi) che puoi staccare e riattaccare in ogni momento. Queste cose fanno la differenza.
Bue2530 MaskE’ più facile affermarsi come street artist o come tatuatore?
Con la street art, sicuramente. Infatti, come vi dicevo prima, un sacco di gente si sta avvicinando a questo mondo. Anni fa l’ambiente era molto più genuino: quando ti trovavi insieme a qualcuno a dipingere un muro sapevi che lo stava facendo per passione, e non per apparire. Era lì per dipingere, punto. C’era competizione, ovviamente, ma era una competizione “sana”. C’era gente, come me agli inizi, che si piantava come un avvoltoio a guardarti lavorare per cercare di carpire le tecniche. Perché un conto è guardare un pezzo finito, un altro guardarne uno in costruzione, mentre viene realizzato. Vedi delle linee sottilissime e ti domandi “come cazzo hanno fatto?”. Guardando la realizzazione ti rendi conto che si parte da una linea molto più grande per poi tagliarla con il colore. Quando abbiamo scoperto questa cosa ci si è aperto un mondo. Da lì abbiamo cominciato a fare cose mostruose. Abbiamo capito che per realizzare un murales complesso è tutto un lavoro di sovrapposizione di livelli. Prima c’era una costruzione più classica: riempivi di colore e poi facevi l’out-line. E’ stata un po’ una rivoluzione.

Come è nata la tua tag?
All’inizio facevo dei disegni che messi insieme formavano delle scritte. E quindi per la mia tag cercavo una scritta che fosse armonica e la “B” la “U” e la “E” – se fatta tondeggiante – sono forme speculari che, combinate, danno una forma armonica. Già solo lo scheletro della tag mi permettava di fare una scritta lineare su di un muro.
Per quanto riguarda il numero, sono due voti dell’accademia che ho preso da due professori diversi per la stessa scultura. Il primo mi diede 25, mentre il secondo mi disse “quanto vuoi? Hai fatto tutto da te, non sei mai venuto a lezione, quindi deciditi il voto”. Mi misi trenta. Da questo nasce un po’ una mia filosofia: passare con lo stesso lavoro dal 25 al 30, mi ha fatto capire che se già dentro l’accademia, un’istituzione in cui dovrebbe esserci una certa uniformità di giudizio, lo stesso lavoro può avere un riscontro così diverso, figurarsi quando uno si affaccia nel mondo reale. È diventata l’appendice di Bue perché mi fa sempre pensare a questo: se nella vita prendo venticinque non mi butto giù, se prendo trenta non mi esalto. È il filo che mi fa rimanere sempre coi piedi per terra. Anche perché non è giusto né esaltarsi, né buttarsi giù.

I termini stranitional e stupiditional sono stati coniati da te?
Si. Tutti facevano traditional, e questo è stato lo stile a cui mi sono avvicinato inizialmente: a quella sintesi, a quei colori, anche un po’ a quell’anatomia. Gli stranitional hanno l’anatomia dei disegni tradizionali ,ma con delle forme esasperatissime. Sentivo il bisogno di dargli una nuova definizione. Quando mi chiedono che stile faccio, rispondo “Boh? Stupiditional, stranidional…”.
Bue2530 Sketch

La quarta di copertina per StreetBook Magazine #2, di cui Bue2530 ci ha gentilmente omaggiati.
Bue2530 X Three Faces
(*) Errata Corrige: nella versione cartacea questa frase appare come “non li ho cagati” per un errore di trascrizione. La redazione si scusa profondamente per la svista.

Antidoti Visuali – Bue2530 || Intervista

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