Agosto: guida in città
di Corto Durden

È un bel po’ che non scrivo, e infatti avverto la ruggine, nella mente e nelle dita. Ho automatizzato altri movimenti sulla tastiera, altre scorciatoie, parole chiave da immettere in tabelle piene di dati e numeri e statistiche. Preferisco tradurre i miei pensieri su un file word piuttosto che informazioni asettiche su fogli di calcolo, ma mi sembra di avere sempre meno tempo per farlo. Riuscire a coniugare il lavoro e i propri interessi e al tempo stesso resistere alla sempre più opprimente afa di agosto, poi… beh, siamo quasi nella dimensione dell’utopia.
Per andare al lavoro adesso uso la macchina. L’automobile. In pratica ho 29 anni, ho preso la patente a febbraio ma ho iniziato a guidare dalla metà di luglio di quest’anno. Ho acquistato un’utilitaria usata insieme alla mia compagna, e sto imparando a portarla davvero solo adesso. Ho attaccato il foglio con la “P” sul lunotto, in bella vista, come uno scudo contro le ire di chi mi sta dietro: “Qui c’è la P, amico… sono protetto, lasciami guidare in santa pace e in sacrosanta insicurezza”. Non sempre funziona, a volte probabilmente sortisce l’effetto opposto, ma alla P per principianti do comunque un 6.5 su 10 per la sua efficacia.

Guidare la mattina è più piacevole rispetto al tardo pomeriggio, il traffico scorre meglio, ci sono meno veicoli e anche il sole è meno violento. Alle 8 è un pugile che sta facendo stretching, ma alle 18 è ancora in piena trance agonistica e pronto a demolire tutto quel che si trova sotto prima della fine dell’incontro.
Fa caldissimo ad agosto in città. E non c’è aria condizionata che tenga, quando sei ancora un pilota alle prime armi e sei fermo alla rotonda aspettando il momento giusto per inserirti con una coda di macchine dietro la tua, e un tizio sempre pronto a sbranarti in primo piano nello specchietto retrovisore; oppure quando devi parcheggiare in una situazione complicata, magari con qualcuno che ti osserva e ti giudica silenziosamente. In quei momenti io inizio a grondare sudore, e si gronda che è una bellezza.
Qualche giorno fa ero su una strada a scorrimento e sono arrivato a un bivio. Avrei dovuto girare a sinistra ma me ne sono accorto tardi e, trovandomi ancora nelle corsie di destra, non ho potuto far altro che proseguire nella direzione sbagliata. Mentre realizzavo l’errore ho rallentato – gradualmente – cercando di capire come fare per tornare sul percorso giusto. Ho rallentato ma non ero fermo, l’auto continuava ad andare a un ritmo tutto sommato accettabile – o perlomeno era accettabile secondo me, e mi duole dirvelo ma l’unica opinione che leggerete in merito è la mia. Il tizio alla guida dell’auto dietro ha invece ritenuto necessario farmi sentire il suo clacson – alla P per principianti do in questo caso l’insufficienza.
Ad ogni modo il tipo mi ha fatto innervosire, perché non avevo fatto nulla di pericoloso e volendo poteva anche sorpassarmi sfruttando l’altra corsia. Ho alzato una mano come a dire “calma”, e l’ho guardato dallo specchietto centrale. Una classica faccia di culo, più o meno della mia età. Avete presente, no? Dalla t-shirt spunta il collo e attaccate al collo ci sono due chiappe. Ecco, è più o meno questo ciò che ho visto nel retrovisore.
Comunque quest’anno pare che il traffico sia calato nelle due settimane centrali di agosto – neanche così tanto rispetto al passato perché in piena crisi da Covid la gente ci ha pensato un po’ su, giusto un po’, prima di prendersi le ferie – prima di tornare a inflazionare le strade nell’ultima. Verso lo scadere di agosto hanno iniziato a riformarsi le stesse code chilometriche che avevo potuto apprezzare a luglio: momenti mistici di claustrofobia motorizzata in cui vorrei potermi fermare e far librare un drone, per riprendere dall’alto le strade straripanti di scatole d’alluminio che gettano CO2 su CO2 nell’aria – tu chiamala se vuoi “aria”. È il 2020 e non si vede una macchina elettrica nemmeno a pagare (magari ce n’è qualcuna a metano, ma non avrei idea di come riconoscerla).
Nemmeno io ho una macchina elettrica, o a metano. La mia utilitaria inquina. Ma io sono come la Cina, ho preso la patente molto tardi, rivendico il mio diritto di sporcare l’aria e compromettere l’ambiente come hanno fatto tutti prima di me… non è vero, non rivendico un bel niente, e spero di potermi presto permettere un mezzo meno inquinante. Anzi, mi piacerebbe ancor più trovarmi casa vicino al lavoro, o un lavoro vicino casa, ed evitare così le code-il casino-il malumore connaturati alla vita nel traffico.
Guidando mi sono reso conto di una cosa, e cioè che l’ambiente della strada e degli automobilisti è come quello delle sezioni commenti su Facebook, o Twitter, o qualsiasi social vi venga in mente insomma. Ognuno si sente libero di inveire sugli altri autisti e di esprimersi a sproposito quando è al sicuro nel proprio abitacolo, proprio come avviene nella dimensione online dove ci sentiamo protetti per via della distanza, dello schermo che ci separa dai nostri interlocutori.
Suoniamo, imprechiamo, ci mandiamo affanculo, siamo sempre pronti a litigare da un finestrino all’altro, senza curarci delle conseguenze né dei fattori che magari hanno influito sugli errori dell’altro o dell’altra. Lo stile comunicativo che vige sulla strada e permea le interazioni tra autisti è aggressivo e sboccato, un linguaggio che viene universalmente percepito come normale nelle situazioni di guida.

Che poi, la maggior parte delle incazzature e delle imprecazioni sono dovute alla guida lenta di chi ci precede. Certo, l’utilizzo del clacson può esser legittimo o necessario, ma molte volte è la lentezza a innescare gli autisti portandoli a suonarlo con tutta la nevrosi di cui dispongono. Come se dovessimo procedere per forza a ritmo spedito, come se l’unico modo di percorrere una strada fosse sempre il più velocemente possibile. Ma chi l’ha detto che dobbiamo andare perennemente di fretta, o col peperoncino in culo, come dicevano grandi sagge e saggi d’altri tempi e d’altri luoghi?
“Un tempo le strade assecondavano il paesaggio, l’importante era il viaggio e non la meta. Oggi le strade tagliano il paesaggio senza pensarci due volte, l’importante non è più il viaggio ma arrivare a destinazione”.
Parecchi anni fa ho sentito questa frase o una cosa simile in un film, vorrei tanto potervi dire quale film ma purtroppo non riesco a ricordarlo né a rintracciarlo su Google. Fatto sta che quella frase mi colpì molto quando la sentii, e oggi mi torna in mente perché rispecchia appieno le mie impressioni sul nostro modo di vivere l’auto e la guida. Guidare potrebbe anche essere piacevole se fossimo tutti liberi di farlo a nostro modo e coi nostri ritmi – rispettando le regole, chiaro, non me la sto mica prendendo col codice stradale anche se questo discorso m’è sempre sembrato molto convincente –, senza qualcuno che ci corre costantemente dietro, ma il più delle volte non lo è.
Nulla di cui stupirsi, in fondo. Che viviamo in una società ossessionata dalla velocità d’esecuzione lo sapevo già, lo sanno tutti, si nota in ogni cosa – da come lavoriamo a come passiamo il tempo libero a come guidiamo a come consumiamo qualsiasi cosa che possa esser consumata. Nessuno si gode il viaggio, nessuno sembra nemmeno interessato al fatto che possa esserci un viaggio da godersi. Ciò che conta è bruciare i tempi, tutti i giorni e ogni giorno di più.
So che molte delle cose scritte qui sopra sono banali, che mi sono parse degne di nota solamente perché sono ancora agli albori della mia carriera automobilistica e devo imparare tante cose – fregarmene degli altri, essere più attento a interpretare i segnali, padroneggiare la vettura. Magari imparerò a guidare bene a velocità sostenute e inizierò anch’io a lamentarmi della lentezza degli altri. Magari suonerò il clacson e imprecherò contro i neopatentati che non accelerano abbastanza, e lo farò in parte perché andrò di fretta, e in parte perché sarò stato influenzato dal linguaggio dominante nell’ambiente strada.

Per ora, guidare è per me un’esperienza prevalentemente ansiogena che mi fa sentire a disagio… anche se non mancano i momenti in cui riesco a godermi il viaggio, per l’appunto. Momenti in cui tutto accade alla velocità e alla temperatura giusta, le manovre e i cambi di corsia filano via lisci, non ho paura di fare cagate e, come per magia, non ne faccio.
Qualche sera fa ero di ritorno dal lavoro e mi accingevo a percorrere un sottopassaggio nella corsia centrale di una strada molto trafficata, mi sentivo tranquillo al volante nonostante le tante auto intorno a me e mi piacevano i brani che la radio stava passando. Tra un pezzo e l’altro, nell’oscurità del sottopassaggio, una voce profonda ha recitato queste parole: “Tutti gli scrittori devono fare pratica ogni giorno, allenandosi a scrivere per almeno un’ora. Non importa quali siano gli ostacoli, se vuoi inseguire la tua passione devi essere pronto a fare dei sacrifici” o comunque una cosa del genere.
Per un attimo mi hanno aperto la mente, perché le ho sentite come dirette a me in un periodo in cui faccio davvero fatica a trovare spazi, nelle mie giornate, da dedicare alle mie passioni o alle mie ambizioni. Mentre riflettevo e uscivo dal sottopassaggio è partito un altro brano, ho beccato due verdi di fila e la macchina andava e io insieme a lei, verso la mia lei, e verso i miei pensieri.