Senza titolo
Virginia Fabbiani
Partecipazione al contest letterario #Lafirenzechecrea
by Progeas Family – Ache77 – Three Faces
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Su questo treno fa un freddo bestiale. Nonostante fuori ci siano 10 gradi si ostinano a tenere accesa l’aria condizionata. Mi consola il fatto che il viaggio duri poco: Copenaghen – Malmö, mezz’ora per passare dalla Danimarca alla Svezia, due terre collegate dal ponte Øresund, 3 km di tunnel sottomarino e poi siamo sospesi sul mare fino a Malmö. Il tunnel sottomarino non fa effetto, sembra di essere in galleria, ma quando usciamo siamo sospesi sul mare, il mare del nord, scuro, con le onde bianche e spumeggianti. Questo viaggio mi mette sempre agitazione. Una volta a settimana, mezz’ora di viaggio, quando arrivo mi rendo conto che il tempo è volato, ma mentre sono qua sopra i minuti non passano mai. È facile nascondersi di solito, ma non oggi.
Di solito questo treno è pieno, ma non oggi, nel vagone con me ci sono solo due persone, ognuna seduta da sola. Sembra che entrambi abbiano una storia da raccontare, ma sembra che nessuno dei due abbia intenzione di farlo. Due sedili più in giù di dove sono seduta c’è un ragazzo, capelli neri e barba scura, ciò che mi colpisce in lui sono gli occhi, la luce de sole li illumina e sembrano arancioni con delle sfumature gialle. Da quando siamo saliti il suo sguardo è fisso sul mare, ha un tatuaggio sul braccio, è una scritta in islandese “inní mér syngur vitleysingur”, attivo il traduttore, “dentro di me un pazzo canta”. I suoi occhi sembrano così tormentati e le sue sopracciglia sono aggrottate, un misto di rabbia e tormento, ha la stessa espressione da quando siamo partiti. Magari sta scappando da qualcosa, forse è un trafficante o un assassino, o forse sta andando incontro a qualcosa da cui vorrebbe scappare, genitori infuriati, una vita che non lo soddisfa. Ho deciso, potrebbe essere uno spacciatore di Christiania che ha combinato un bel casino e sta scappando. In alternativa potrebbe essere un padre di famiglia che sta tornando a casa da un figlio che lo riempie di preoccupazioni. L’unica cosa che so è che devo smettere di guardarlo, ha distolto lo sguardo dal mare e per un secondo mi ha guardata, con uno sguardo che mi ha fatto rabbrividire. Lasciamo lo spacciatore/padre di famiglia solo con i suoi pensieri. Alla mia destra c’è un uomo calvo, con poca barba e due grandi baffi neri, mi fissa con lo sguardo di un padre compassionevole. Ha lo sguardo di una persona felice, di quelle che hanno condotto una vita semplice e serena, avrà lavorato sodo e ora si godrà una felice pensione con i nipotini. Sono in treno con un potenziale serial killer e con uno pseudo papà.
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Perché questa ragazza continua a fissarmi? È seduta due seggiolini avanti a me, ha la pelle chiara, gli occhi scuri e i capelli neri raccolti, e mi fissa, fissa il mio tatuaggio, fissa i miei occhi, quegli occhi arancioni che tutti fissano sempre, fissa me, si starà chiedendo perché guardo il mare. Guardo il mare perché questo mare mi separa dalla mia salvezza. E se lei fosse stata mandata per spiarmi, per seguirmi, per vedere dove vado? O forse è solo incuriosita da me. Gli sguardi mi hanno sempre messo in soggezione, e da sempre ho lo sguardo delle persone addosso. Tutta colpa dei miei occhi. Mia mamma mi racconta sempre che quando sono venuto al mondo ho aperto gli occhi e lei ha visto questi due grandi fanali arancioni. Pensava fossi malato, posseduto, maledetto. Poi quando ha appurato che avevo semplicemente gli occhi arancioni l’ha buttata sul ridere e mi ha chiamato Appelsin, “arancia” nella nostra lingua. Immaginate le domande con questi occhi e con il mio nome. Questi occhi che mi hanno sempre portato sulla via sbagliata e che ora mi stanno portando a fuggire. Questi occhi che mi hanno sempre fregato, l’unica parte di me che non ho mai potuto nascondere e che mai mi ha potuto nascondere. Uno sguardo brusco alla ragazza e lei smette subito di guardarmi. Potrebbe essere stata inviata per seguirmi, forse sta semplicemente viaggiando o tornando dalla sua famiglia. Nel sedile accanto al mio c’è un uomo strano, è seduto accanto all’uscita di emergenza. È calvo, ha poca barba e i baffi, ha le mani aperte come quando in chiesa si recita il “padre nostro”, è buffo perché in questo momento il sole sta proiettando un’ombra sulla sua testa che sembra un’aureola. Abbiamo un santo tra noi. La spiona, il fuggitivo e il santo.
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Dio fa che questo treno arrivi in Svezia Dio fa che questo treno arrivi in Svezia Dio fa che questo treno arrivi in Svezia
Odio questo treno, potrebbe deragliare da un momento all’altro. Il ponte Øresund, capolavoro ingegneristico, potrebbe crollare anche adesso e noi finiremmo tutti in mare, nel glaciale mare del nord. Di solito inganno il tempo conversando con i miei compagni di viaggio ma oggi il treno è inspiegabilmente vuoto. Nel mio vagone ci sono solo due persone, una ragazza con i capelli raccolti e un ragazzo dagli occhi arancioni, mai visti degli occhi così. Lei non stacca gli occhi di dosso da lui. Ecco davanti a me due giovani spensierati che si fanno la corte a distanza, probabilmente finiranno insieme e vivranno in una casetta nelle campagne svedesi. Lui sembra un artista, forse un pittore e lei potrebbe scrivere storie per bambini. Si, li vedo proprio così, un pittore e una scrittrice, la loro vita insieme sarà meravigliosa. Io invece gran parte della mia vita l’ho già vissuta, e tra poco sarò in Svezia, Malmö e poi Göteborg, casa mia, la mia famiglia, mia moglie, i miei figli e i miei nipoti. Io, papà marito e nonno; sono passati due mesi dall’ultima volta che li ho visti. Due mesi a Copenaghen, a chiudere il capitolo più duro e doloroso della mia intera e lunga vita. Quando perdi qualcosa di bello non lo recuperi quasi mai, il bene non ti rincorre mai, ma quando devi liberarti del dolore e delle scelte sbagliate non è mai così facile, perché queste non ti abbandonano mai, pensi di averle eliminate ma poi rispuntano fuori. Spero che basti il gelido mare del nord a tenerle lontane da me. Se sopravvivo a questo viaggio sarò salvo per sempre, è l’ultimo passo, l’ultimo ostacolo verso la salvezza. Giovani ragazzi accanto a me vi darò un consiglio, se arriveremo tutti in Svezia alla fine di questo viaggio, godetevi la spensieratezza di questa vita, amatevi e state lontani dalle scelte sbagliate. C’è amore nell’aria. I giovani innamorati e il vecchio inseguito dal passato.
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L’altoparlante parla, tutti e tre alziamo lo sguardo: “tra 5 minuti saremo a Malmö”.
Uno dei passeggeri del mio vagone si alza all’improvviso, trema, ha lo sguardo perso nel vuoto. Non ci facciamo caso ma poi abbassa lo sguardo e si volta verso di noi. Il suo sguardo si alterna tra noi due, tiene i pugni stretti e le braccia rigide lungo il corpo.
“Vi prego guardatemi. Non posso continuare così. Ho qualcosa di importante da dire. Devo liberarmi da questo peso prima di farlo”.
“Aspetta. Io so chi sei, sei qua per me?”
“Fai silenzio, non si tratta di te, ma di me.”
“Non farlo.”
Uno sparo.
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“Signori e signore, la destinazione è raggiunta, siamo nella stazione centrale di Malmö. Ci auguriamo che il viaggio sia stato di vostro gradimento e che tornerete presto a viaggiare con noi. Benvenuti in Svezia!”
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