Per colpa di
di Chiara Lastri
Partecipazione al contest letterario #Lafirenzechecrea
by Progeas Family & Three Faces
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La sensazione più bella è quando ti senti libero dal perdono. Ma non parlo di quando vieni perdonato, bensì di quando sei capace di concederlo.
Mio fratello ed io da piccoli giocavamo a tutti i giochi del mondo, tutti i giochi che riuscivamo ad immaginare. Io che sono il minore non avevo altro che da imparare da quella testa colorata, di qualche anno più ricca e matura; era forte soprattutto nei giochi di ruolo, mentre io non sono mai stato bravo a fare il protagonista, al massimo ero l’aiutante. Lui era l’eroe di ogni storia che raccontava ed io ero d accordo perché mi ci portava dentro: riusciva a creare le cose, gli alberi e le montagne e tutto intorno a noi prendeva forma e colore e occupava lo spazio. Che ammirazione, mi compiacevo nel giardarlo…tipico morbo da fratello minore. Ne ero orgoglioso e accettavo tutto da parte sua, anche quando mi picchiava o mi sbeffeggiava davanti ai suoi compagni di classe. Dentro di me pensavo :”tanto dopo a casa siamo solo io e lui, come sempre!”.
Quando ha finito le elementari, devo dire la verità è cambiato molto; è diventato assente e scontroso e quello che mi ricordo era che si annoiava a giocare con me nel giardino vicino casa. Mia madre e mio padre tuttavia mi rassicuravano spiegandomi che stava arrivando la tanto attesa adolescenza e che era normale che qualcosa in lui cambiasse; come ad esempio niente più pallone ma appostamenti per guarare ragazzine, ogni giorno tragiche litigate con i genitori e tutte quelle cose là insomma. Io al tempo proprio non riuscivo a spiegarmelo, anzi, a maggior ragione lo perseguitavo con i miei giochi e non mi stancavo di prendere le botte quando entravo nella sua stanza senza bussare. Molto spesso lo trovavo di spalle e quando si girava era rosso paonazzo e aggeggiava sotto le coperte; in quei momenti balzava sul letto e provava a prendermi ma io scappavo veloce ed ecco che nella mia testa stavamo dinuovo giocando ma lui sei che era arrabbiato. Ame andava bene anche quel poco.
Un giorno fu lui a venire da me e mi disse che aveva fatto delle grandi scoperte; in realtà erano srati i suoi compagni ad istruirlo a dovere, perché malgrado fosse il fratello maggiore devo ammettere che non era proprio un ragazzo sveglissimo. Insomma mi portò in camera sua e si tirò giu i pantaloni e lentamente e con cura mi iniziò alla pratica della masturbazione. Io ero abbastanza disgustato all inizio, soprattutto quando lo provò su dime, per farmi capire meglio s intende!
Dal disgusto sfocia nel rilassamento, nel piacere e nel godimento, fino a scoprire la famigerata finale eiaculazione. Inutile dire che passarono mesi di applicazione simultanea personale e diventammo dei giovani esperti in poco tempo, anche grazie a nostro padre che comprò un computer . Ricordo che lo mise nella stanza di mio fratello convinto che un po di tecnologia nel 2016 poteva sostituire pienamente il pallone e le scorrazzate nei giardini; disse :” mi raccomando impara e poi insegnalo a tuo fatello ma controlla sempre ciò che guarda”. Che bella trovata, che bel regalo ci fece nostro padre, lui nemmeno si immaginava per cosa lo avremmo usato.
Quello che so è che di li a poco cominciai a stancarmi di quei filmini, bi quelle urla di piacere o dolore non sapevo di cosa fossero. Mio fratello invece era completamente assuefatto e a scuola raccontava ai compagni le tecnologiche imprese di quelle persone e di come si riproducevano su di lui. Cominciai lenramente a lasciarlo perdere ad un certo punto anche perché sparsa la notizia del computer il ritrovo era a casa nostra e come erano felici i miei ignari genitori. Passavano le giornate a masturbarsi. Anche questo non lo capivo io.
Successe in un giorno d estate, appena prima delle vacanze, che io volevo uscire a giocare a palla ma mia madre me lo proibì: “chiama tuo fratello e i suoi amici e se volete uscite insieme ma non mi piace che tu vada da solo..”.
Mi fece proprio andare su tutte le furie, le furie di un bambino chiaramente, e per un secondo pensai di raccontarle quello che facevano davanti al computer tutti i giorni.
Entrai in stanza di mio fratello, stizzito come non mai e sbatacchiai forte la porta urlando. Probabilmente gli interruppi sul più bello. Dapprima si voltarono, tutti sudati lì in piedi con i loro cosi duri rivolti verso di me, mi si buttarono addosso e cominciarono a picchiarmi.
Ma non erano le solite botte ricordo: cominciarono a premere i loro maledetti uccelli su di me, sulle gambe e sul petto mentre continuavano a picchiarmi; ed io lo vedevo che li piaceva. Erano quattro, cinque con mio fratello ma lui non si era voltato e ancora guardava lo schermo. Mi girarono a pancia sotto e picchiavano e premevano, non capivo più la differenza. Neanche mi resi conto di come sarebbe finito quel pomeriggio. Povero bimbo.
Mi tirarono giù le mutande e mi spezzarono l’ano con i loro cosi duri schifosi, uno a uno, per poco per fortuna talmente erano eccitati. E furono furbi anche a tenermi la bocca chiusa quasi da soffoc
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