Budapest: ‹‹Zappa qua e semina là›› di R. Dell’Ali || Viaggio || THREEvial Pursuit


 

Budapest: ‹‹Zappa qua e semina là››

di Roberta Dell’Ali

 

Budapest dell'ali (2)

Ragazzi miei, qui la situazione mi è sfuggita di mano e scriverci sopra è diventato un bordello.

Da dove partire? Dunque, principierei dicendovi una serie di cose importanti tipo che una ventina di giorni fa, per il mio compleanno, ho comprato due piantine e le ho messe in balcone: basilico e menta – non siate maliziosi. Poi è essenziale dire che ieri sera ho preparato il sugo di pomodorini, ho impastato mezzo chilo di cavatelli (eravamo in due a mangiare, ma li abbiamo fatti fuori comunque) e ho ripassato il tutto in forno con mozzarella e grana: Gesù, se sono venuti buoni! Altrettanto importante è confessare una grande falla nel mio sistema di dignità e decenza personale: ho recentissimamente finito di vedere Il paradiso delle Signore: ebbene sì, dopo una vita di strenua resistenza ho ceduto alla leggerezza tutta italiana di una serie tv firmata Rai. The last but not the least alle 02.39, due secondi fa, ho concluso una gloriosa videochiamata in diretta da Bolo durata un’ora e mezza con l’amico Brioski: non parlavamo da marzo, mo’ per entrambi c’è il pericolo di inguaiarsi male a ore 12, e dovevamo un attimo tirare le somme; nessuno come un amico sa tirare la linea sotto i numeri matti che hai incolonnato a cazzo.

Ahimè, nulla di ciò che è stato detto sopra mi aiuterà a raccontarvi quale sia l’attuale situazione della sottoscritta: femmina, venticinque anni (Fuck!), capelli attualmente melanzana, occhi banalmente marroni, statura media, fisico medio, vita media, sicula, trapiantata temporaneamente a Bologna, momentaneamente immigrata a Budapest per ragioni di ordine superiore (cfr. sono in Erasmus).

Budapest dell'ali (1) piccolaDa qui in poi non saprei proprio come continuare, l’intenzione iniziale era di raccontarvi della città, delle persone che ho incontrato, delle esperienze che ho vissuto, ma l’Organicità questa sconosciuta! E qui, cari tutti, il titolo assume chiarezza: mio uso e costume sin da pargola è stato di iniziare le cose (libri, attività sportiva, studio di strumenti musicali, conversazioni, etc. etc.) e poi iniziarne altre e poi smetterle per tornare a quelle di prima e poi annoiarmi e interessarmi ad altro e poi distrarmi e penso che il concetto sia chiaro. In altri termini, alias quelli di mia madre, io ‹‹zappo qua e semino là››. Però ecco, io ho pensato che questa incapacità non sarebbe per forza un problema se solo voi accettaste di seguirmi per un attimo nella mia follia inconcludente, no?

Per esempio, vi ho detto che prima di abitare in Nemet utca stavo in una casa di merda in Erzsebet kӧrut? E che quando sono arrivata lì, rischio di tifo e lebbra a parte, non c’erano né acqua calda né riscaldamento, ve l’ho detto? O che il mio coinquilino di allora, che io pensavo gay, si è innamorato in una maniera inquietantissima di me e quando ho categoricamente detto no si è chiuso in stanza per giorni e pensavamo fosse morto? E che il proprietario era uno schizzato che mandava numero n di registrazioni da un minuto e mezzo ciascuna sull’importanza della comunicazione e di, cito testualmente, ‹‹rimanere nell’onda e stare sulla frequenza››? Mi sa che no, non ve l’ho detto, del benvenuto magiaro logisticamente disastrato e a meno dieci gradi centigradi.

Ma zappiamo un po’ di là eh? Sì, perché Budapest, seppur difficile, si è subito rivelata bella. Intendiamoci, la capitale ungherese non è bella nel senso più tipico; è ispida, difficile. Una donna che veste di grigio, ma con begli accessori ed abiti ben confezionati, un po’ femme fatale, un po’ ragazza di campagna che sogna di andare a scuola, un po’ barbona e un po’ principessa. Budapest non si capisce, a volte sembra che nemmeno lei sappia cosa voglia, proprio come una donna: ‹‹Si, cioè, non so. Dai si, lo faccio! No, no. Cazzo no! Mo’ m’arrabbio eh? E non mi fare piangere che sono sensibile!››. Che poi, vogliamo parlare degli abitanti della city? Un pugno di fuori di testa.

Tra i vari ungheresi conosciuti i miei preferiti sono sicuramente D. e N., sono una coppia, lui somiglia a John Snow, lei a una fatina dei boschi incantati. Lei fa teatro, lui lavora al Falafel Bar (Dio abbia in gloria il Falafel Bar). Lei a tratti è adorabile, a tratti lo scazzo fatto persona. Lui è tendenzialmente sciallone e dice che l’arte è una cosa silenziosa, cosa che gli ha insegnato suo papà artista, a suo dire ‹‹a really good artist, a really shitty father››. E comunque, come si dice dalle parti di Three Faces, sono ganzi.

Loro me li ha fatti conoscere M., maschio, svizzero, sociopatico (sospettato in quanto ex cuore d’oro). L’ultima volta che l’ho visto sarà stato quattro giorni fa al Pontoon durante uno dei suoi esperimenti sociali in cui prende e invita ad una serata nello stesso posto venti persone che solo lui conosce e che, con ogni probabilità, non hanno un cazzo in comune, così per vedere come si approcciano l’un l’altro. Con lui c’era C., tedesca, minuta, dolce e bellissima. Ovviamente, come a tutte, le ha spezzato il cuore e io e Ro lo abbiamo cazziato a motore. Lui dice che non può avere una relazione perché secondo lui l’unico modo di crescere è scoprire e sperimentare, i luoghi, i cibi e le donne. Sospetto comunque che P. lo abbia fregato, gli serve solo tempo per rendersene conto.

P. è una tipaccia: femmina, ungherese, fa yoga. L’ho conosciuta tramite M. all’ILL Panorama, uno dei miei posti preferiti qui a Budapest. Una volta al mese ci fanno un festone da paura, la location è la vita: un palazzone dalle memorie soviet in riva al Danubio, ha una terrazza panoramica che alle 04.00 del mattino, con le orecchie sfondate e gin e pàlinka al posto del sangue, nemmeno ve lo dico cosa è: la bellezza.

L’unica cosa che batte l’ILL è IL City Matiné: ogni due settimane in un’isola sempre diversa c’è una festa che pompa nelle casse dalle 10.00 alle 22.00. Le famiglie hippie, gli ungheresi sfatti, l’erbaBudapest dell'ali 2 (1) piccola asciutta sotto il sole di primavera, primavera che qui è esplosa magnifica ed incontestabile. Questa città ad aprile sboccia e ti innamora, non ti lascia scelta e ti fa stare bene.

Ci sono ancora due cose in ordine sparso e screanzato che ho bisogno di dirvi. Uno, in Brody Sandor 19 c’è un luogo noto come Painter Palace: è una galleria dove T. (inglese, bello e fricchettone), M. (ungherese, simpatico e troppo touchy) e altri bell’imbusti di varie nazioni, artisti ed artistoidi, si esprimono. Un’accozzaglia di poltrone e sofà recuperate da non voglio sapere dove, fogli e tele ovunque, concerti di gente che sa la musica e che – chissene dei soldi – la fa suonare per chi il venerdì va al PP per il Drink&Draw: scendi questa scaletta segnalata sulla strada da un cartello che cita “don’t be shy, come in!”, vai sotto terra e trovi fogli, penne, carboncini e colori di ogni genere. Entri, bevi una cosa (spesso una ventina) e disegni ed enjoy la gente e la musica e quel che capita: andare al PP fa stare sempre bene.

La cosa numero due di cui vorrei parlarvi è una persona che in realtà è in ogni riga di questo pezzo e in ogni momento del mio Erasmus: Roberta Priore, femmina, pugliese, poetessa delle piccole cose. Lei l’ho conosciuta circa un anno fa in occasione dei colloqui per accaparrarsi il posto dello scambio europeo; entrambe Roberte, entrambe ricce, entrambe nell’abisso più nero. Ci siamo presentate e ci siamo volute bene. Insieme abbiamo sviluppato teorie complessissime e assolutamente scientifiche sulla vita e sull’amore. Adesso lei è alle prese con G., maschio ungherese dagli occhi blu e con cicatrice nei pressi della tempia (che, ammettiamolo, fa davvero figo), è un fotografo e per adesso non possiamo dire altro, ma coviamo segretamente grandi speranze sul suo conto.

Io e Ro, qui intorno note come Robertas, vorremmo dire una cosa a tutti gli italiani: il Rosé è buono e fa bene all’anima. E se non credete a noi, fidatevi della saggezza degli antichi, perché in medio stat virtus. Certo, io ho ancora qualche problema col frӧccs, ma la mia omonima si è appassionata così tanto che gli amici ungheresi non hanno nemmeno fatto caso alla mia diffidenza nei confronti di questa bevanda opinabilissima.

Potrei dirvi del mio personale inguaiarmi, ma questo rimarrà tra me e il bel V., vogliate perdonarmi.

Avrei voluto raccontarvi molto altro e molte altre persone, ma lo spazio è quello che è.
Spero non vi siate annoiati, spero vi sia venuta voglia di fare un salto qui, che vi prego: è centro Europa, non est. E per gli ungheresi è assolutamente importante che questo punto sia chiaro.

E poi un po’ di foto da Budapest:

 

 

 

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